A Piazza Dante una statua dell’Italia al posto del Sommo Poeta. No, non si tratta di una proposta, ma di una scultura dallo sventurato destino, collocata in principio al posto del Sommo Poeta.
Caduti i Borbone e sorta l’Italia unita, Napoli si apprestava a ricevere il suo nuovo re, Vittorio Emanuele II.
In questo clima di fervore patriottico, l’emiciclo dell’attuale Piazza Dante si preparava ad accogliere un singolare monumento: una statua in cartapesta raffigurante una “Gran Donnona” coronata d’oro, a simboleggiare l’Italia. Avrebbero completato la scena ritratti di tele dei condottieri che avevano contribuito all’unificazione nazionale: da Medici a Bixio, da Sirtori a Cosenza, passando Thur e Milbits, senza dimenticare, naturalmente, Giuseppe Garibaldi. Un’epigrafe avrebbe dovuto inneggiante all’Italia, suggellando quest’opera tutto sommato effimera.
Un temporale distruttore e una nuova visione
Il destino di questo monumento sembrò avere vita breve. Un violento temporale si abbatté sulla città, distruggendo inesorabilmente la “gran donnona” e i ritratti di tutti gli eroi. L’incidente, quasi come un presagio, segnò un cambio di rotta.
Anziché celebrare l’Italia astratta, si decise invece di erigere una statua al sommo poeta Dante Alighieri, emblema d’altronde della lingua italiana e pilastro letterario su cui il Paese si era forse già riunito diversi secoli prima.
Luigi Settembrini, illustre letterato napoletano, fu posto a capo di un “comitato”, incaricato di reperire i fondi necessari per la realizzazione di questo ambizioso progetto. Ma il vero ideatore fu Paolo Emilio Imbriani, sindaco di Napoli, che, animato dal desiderio di “sbattezzare l’effimero”, si fece promotore del cambiamento che pervase innanzitutto la toponomastica cittadina. Imbriani decise altresì di cambiare il nome di Via Toledo in Via Roma, dando origine ad un dualismo storico tra i Napoletani, tra coloro che preferiscono l’originario nome dovuto a Don Pedro de Toledo e chi invece continua a chiamarla Via Roma.
Piazza Dante, tra scultori generosi e cittadini impazienti
La realizzazione della scultura di Dante fu affidata a Tito Angelini e Tommaso Solari jr., che completò la sua opera ben prima che il comitato di Settembrini riuscisse a raccogliere i fondi necessari. Dante Alighieri rimase così in attesa presso lo studio dello scultore per diverso tempo. Il desiderio della Società Dantesca era di inaugurare il monumento nel maggio del 1865, in occasione del VI Centenario della nascita del Poeta. Ma i fondi scarseggiavano. Fu allora che Angelini e Solari, entrambi membri della stessa Società Dantesca, si offrirono di ultimare l’opera al costo delle sole spese vive. Ma la somma raccolta dalla Commissione sembrava insufficiente persino a coprire il mero costo della statua, la quale dovette attendere anche per il basamento disegnato da Gherardo Rega, che vide la luce solo nel 1869, a spese del Municipio, per essere posta finalmente soltanto nel 1871.
Un orologio capriccioso e un poeta ironico
La statua che avrebbe decorato l’emiciclo non fu l’unica ad avere vita difficile. Anche l’orologio che oggi domina Piazza Dante dall’alto rimase fermo per diverso tempo. Lo racconta Vittorio Gleijeses, dispiaciuto non solo la sua pubblica utilità, ma anche per la mancanza dei rintocchi, a cui i Napoletani erano abituati, e che oggi segnano lo scorrere del tempo nel cuore del centro storico della città.
La Piazza assunse l’aspetto attuale nella metà del XVIII secolo, per opera dell’architetto Luigi Vanvitelli che realizzò il Foro Carolino, monumento celebrativo di Carlo di Borbone che andò a tagliare le mura cittadine aragonesi con un emiciclo che andò ad inglobare da una parte Port’Alba, abbracciando dall’altra la Chiesa di San Michele, che segna il principio proprio di Via Toledo.
Il Foro Carolino di Piazza Dante
L’installazione dell’orologio sul nicchione centrale del Foro Carolino, oggi ingresso del Liceo Classico Vittorio Emanuele II, fu decisa dal Consiglio Edilizio verso la metà del XIX secolo. Il desiderio era quello di costruire un orologio notturno che suonasse un brano musicale prima di dare il rintocco delle ore. Questo progetto fu affidato invece all’architetto Gaetano Genovese. Ma anche la sua realizzazione andò incontro a diverse difficoltà, prima fra tutte l’infedeltà al disegno originale. Il 16 aprile 1858, quando risuonarono finalmente i primi rintocchi, le campane, fuse a Pietrarsa, erano così malfatte da dover essere sostituite. Anche il quadrante opaco sembrava necessitava di una illuminazione. Si optò così per uno fatto di cristallo, dell’orologiaio prussiano Watter, ma il calore dei lumi insieme alle le variazioni climatiche lo fecero crepare.
Le vicissitudini di Piazza Dante e del suo orologio suscitarono l’ironia dei cittadini. Tra questi, il cappellano militare Genoino, dotato di una spiccata vena poetica e comica, che derise costumi cittadini con un poema satirico in dialetto napoletano dal titolo “Lamiento de lo Rilorgio de Lo Mercatiello”, dall’originario nome di Piazza Dante.
Napoli si apprestava così a dimenticare i fasti del Regno Borbonico, il vento del cambiamento soffiava forte sul tessuto cittadino, spazzando via i nomi dei regnanti e, con essi, le vestigia regali di una città che, da Capitale di Regno, diventava provincia dell’Italia unita.
Bibliografia
Napoli dentro e… Napoli fuori, Vittorio Gleijeses
Le piazze di Napoli, Gennaro Ruggiero
Piazza Dante l’ombelico di Napoli, Achille della Ragione
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