“Il Mattino”, quotidiano napoletano fondato nel 1892 dai coniugi Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao, fu messo a dura prova durante il ventennio fascista. Passato nel 1917 nelle mani del figlio dei fondatori, Paolo Scarfoglio, il giornale subì poi alcuni inevitabili adattamenti per poter essere pubblicato all’interno di un regime dittatoriale.
Il Mattino, 1917-1927
Tra l’ottobre 1917 e il dicembre 1925, Paolo Scarfoglio si ritrovò a dirigere “Il Mattino”. Questo fu un periodo tutt’altro che semplice dal punto vista politico e Scarfoglio sapeva bene di dover assumere una posizione chiara all’interno del giornale nei confronti del potere mussoliniano. Inoltre, avrebbe dovuto esprimere il proprio parere anche sui restanti problemi di natura sociopolitica, come la debolezza del liberalismo parlamentare e l’avanzare del socialismo.
Il rapporto tra il regime e “Il Mattino” fu oscillante: inizialmente il quotidiano ne espresse un grande consenso, poi una forte opposizione dopo il delitto Matteotti del 10 giugno 1924. In realtà, il definitivo distacco fra “Il Mattino” e il fascismo vi fu nel 1927, con la morte di Matilde Serao, ex codirettrice del quotidiano. Infatti, se fino ad allora il giornale non aveva mostrato piena ostilità nei confronti di Mussolini, era dovuto al fatto che quest’ultimo ammirasse la Serao e fosse con lei in buoni rapporti. Inoltre, l’anno della morte di Matilde Serao fu anche quello dell’inasprimento dell’ingerenza fascista, che portò la famiglia Scarfoglio a tagliare definitivamente i ponti col regime.
Dal 31 dicembre 1925 al primo marzo 1928 la direzione passò nelle mani di Riccardo Forster (poeta, giornalista e critico teatrale).
La fascistizzazione del giornale
A partire dal 1928, “Il Mattino” si trovò costretto a piegarsi al verbo del regime: la direzione passò a Nicola Sansanelli (ex segretario del PNF) e a Francesco Paoloni (membro attivo del PNF) fino al dicembre 1931.
In questo periodo, i giornalisti de “Il Mattino” elogiarono smisuratamente Mussolini sia per le sue doti politiche, sia addirittura per quelle letterarie e culturali. Un esempio emblematico è dato dall’articolo di Giuseppe Villaroel che descrisse il dittatore come degno erede di Dante, Petrarca, Ariosto, Foscolo, Carducci e D’Annunzio.
Ancora, in altri articoli de “Il Mattino”, Mussolini veniva descritto come il genio nazionale, uomo dal multiforme ingegno, acuto conoscitore della storia d’Italia. In generale, poi, sul giornale era spesso elogiato l’uomo fascista: colui che si impegna alla lotta e che è artefice del proprio destino, che segue il fascismo inteso come “volontà totalitaria di civiltà”.
Che i giornalisti de “Il Mattino” credessero o no a ciò che scrivevano è difficile da stabilire. Nel corso del Ventennio, non vi era altra scelta per i redattori che promuovere il pensiero fascista ed esaltare la figura di Mussolini. Era un “atto dovuto”, un compromesso a cui gli operatori di cultura dovevano attenersi per poter continuare a lavorare.
La terza pagina de “Il Mattino” sotto il fascismo
Sorprendentemente, anche negli anni del pieno consolidamento del potere fascista, la terza pagina de “Il Mattino” riuscì a conservare la propria autonomia. La terza pagina è storicamente lo spazio di un quotidiano riservato a temi di cultura, e “Il Mattino” la dedicò ad articoli di buon interesse culturale, passando da un argomento all’altro, spesso firmati da autori importanti.
La terza pagina, in ogni giornale dell’epoca, fu il luogo in cui passò la migliore letteratura e critica italiana. Anche articoli di natura storica ebbero molto rilievo ne “Il Mattino”: in molti scrissero sulla storia di Napoli, dei suoi personaggi, vicoli, rivoluzioni, dialetto.
Dunque, se da un lato la prima pagina celebrava il duce e le sue azioni (come, obbligatoriamente, in ogni quotidiano durante il Ventennio), dall’altro la terza pagina non mostrava alcuna subordinazione al regime, e si esprimeva in “libertà”. Ciò nonostante, “la libertà” era limitata unicamente a quel piccolo spazio del quotidiano: “Il Mattino” in generale non fu un giornale in grado di esprimersi autonomamente, essendo tra i più bersagliati dal regime.
Infatti, il corso violento delle ingerenze fasciste portò addirittura all’acquisizione dell’azienda editoriale de “Il Mattino” da parte di una società azionaria, secondo le direttive del PNF. Per fascistizzare la stampa napoletana, Mussolini riuscì ad ottenere un finanziamento di dieci milioni dal Banco di Napoli.
Dopo la Liberazione di Napoli (ottobre 1943), gli Alleati decisero la chiusura de “Il Mattino” per la connivenza che aveva (per costrizione) mostrato col regime fascista.
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale il Banco di Napoli fu proprietario della testata e dal 9 aprile 1950 “Il Mattino” ritornò in edicola, finalmente e per sempre libero.
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