Pietro Calà Ulloa
Pietro Calà Ulloa, fonte Associazione Nazionale Ex Allievi Nunziatella

Pietro Calà Ulloa fu un vero napoletano, quando questo termine indicava l’appartenenza non solo alla città di Napoli ma allo stato di cui questa era capitale. Di quel regno fu infatti un fedelissimo, lo guidò nelle sue ultime tragiche fasi come capo del governo e ancor prima servì a lungo l’amministrazione pubblica come magistrato e consigliere della Corte suprema di Giustizia.

Nonostante gli studi presso la Nunziatella, si dedicò poco alla carriera militare, essendo più avvezzo ai libri e alle idee: era uno di quelli che Ferdinando II avrebbe definito “pennaruli“, termine un po’ scherzoso e un po’ dispregiativo con cui il re si riferiva agli intellettuali. Fu un infatti un prolifico scrittore, numerosi i saggi in ambito storico e giuridico, che gli valsero vari riconoscimenti accademici. Lottò contro la cattiva amministrazione e la magistratura corrotta dai latifondisti in Sicilia, i suoi scritti da procuratore a Trapani sono passati alla storia come alcuni dei primi documenti ufficiali nei quali si descrivono fenomeni assimilamili alla criminalità mafiosa.


Fedele ai Borbone, rimase a fianco al re a Gaeta durante l’assedio e in seguito a Roma , dove fu primo ministro del governo in esilio: nonostante fosse convintamente costituzionalista era anche un legittimista, continuò quindi a difendere con vari scritti i diritti di quella corona che aveva deluso il suo sogno di una costituzione per l’talia meridionale. In questi testi immagino anche un’unione degli stati italiani in senso confederativo, che sarebbe stata un’alternativa all’unità d’Italia per come è avvenuta.

Pietro Calà Ulloa, storia di un intellettuale napoletano

Duca di Lauria, Pietro Calà Ulloa nacque dall’unione tra l’irlandese Elena O’Raredon e il famoso ufficiale dell’esercito borbonico Giovan Battista Ulloa, fama dovuta alla coraggiosa battaglia di Tolone del 1793, ma anche al fatto che aveva aderito in seguito alla Repubblica partenopea. Nonostante il passato politico del padre e i suoi problemi economici (e con il gioco) Pietro e i suoi due fratelli riuscirono ad entrare nella Scuola Militare Nunziatella.

Le vicende del fratello Girolamo, che divenne poi ufficiale dell’esercito delle Due Sicilie, tornarono in seguito a inclinare il rapporto tra i duchi di Lauria e la Corona quando questo decise di restare a Venezia dopo la spedizione in Lombardia, disobbedendo al Re.
A differenza del fratello, come già detto, Pietro preferì dedicarsi allo studio e alla scrittura, ma avviò anche una brillante carriera da avvocato, diventando uno dei professionisti più in vista della città.

I contribuiti di Pietro Calà Ulloa allo studio del diritto gli valsero la medaglia d’oro dell’accademia statistica di Marsiglia e quella del giornale “Progresso“, fu così in seguito nel 1836 nominato magistrato. Inizialmente assegnato al tribunale di Avellino, fu poi trasferito a Trapani. In quegli anni la situazione in Sicilia era tumultuosa, nel popolo cresceva il malcontento e la corruzione dilagava. I siciliani avevano subito pochi decenni prima un declassamento, con la corona che si era spostata a Napoli, che ancora generava rancore e vedevano come un affronto il fatto che dei napoletani potessero ricorprie cariche pubbliche in terra siciliana.

Nelle missive che Ulloa inviò al ministro Parisi nel 1838 descriveva l’illegalità e l’omertà diffusa, denunciava la prepotenza di un’organizzazione criminale che allora non aveva ancora una denominazione precisa: fu tra i primi a descrivere la criminalità organizzata e lottare contro quella che poi sarebbe stata definita mafia.

Il governo in esilio a Roma di Pietro Calà Ulloa

Nonostante il fatto di avere un fratello in esilio non giocasse a favore di Ulloa, fu da Francesco II nominato consigliere della Corte suprema di Giustizia nel 1859. Un anno dopo Vincenzo Niutta, presidente di quella stessa corte, accolse Garibaldi pronunciando un discorso pubblico di benvenuto. Ulloa fu quindi nominato primo ministro dal re all’ultimo momento, quando aveva già lasciato Napoli. Seguì il re prima a Gaeta e poi a Roma, in quel periodo cercò di lottare per quel regno la cui storia volgeva inevitabilmente al termine. Fu il “letterato del ministero“, scrisse i proclami e le proteste firmate dal Re, le note diplomatiche che denunciavano i Piemontesi, tentativi vani mentre le maggiori potenze europee riconoscevano il nuovo stato italiano.

La fedeltà di Ulloa alla sua patria lo spinse a mettere da parte l’amore per i suoi ideali di liberale e costituzionalista, restò leale al re pur subendo l’osteggiamento dei più puri o sanfedisti.
In quegli anni si dedicò a raccontare la storia di Napoli, con anche l’intenzione di difendere le sue ragioni e quelle della corona, lasciando una delle più ricche testimonianze sul corso degli eventi in quel periodo da parte borbonica.
Con vari tra questi, come “L’Unione, non l’unità, d’Italia”, pubblicato dopo il definitivo scioglimento del governo borbonico in esilio, raccontò la sua idea di un’unità d’Italia diversa, di uno stato federale. Nonostante volesse il ritorno dei Borbone sul trono di Napoli, si sentiva italiano oltre che napoletano.

Nel 1870 l’ormai ex primo ministro Pietro Calà Ulloa tornò a Napoli, in seguito all’entrata a Roma dei Bersaglieri. Dedicò i suoi ultimi anni agli studi storici e morì nel 1879 prima di poter terminare le sue ultime opere, instancabile nella sua lotta per la verità storica e i diritti di una terra che ancora oggi cerca il suo riscatto.

Bubliografia

“La nazione napoletana”, Gigi Di Fiore, UTET 2015

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