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Era il 1974 e la giovante artista Marina Abramović era stata derisa dai giornali di Belgrado dopo la sua ultima performance. La sua era un’arte corporea non capita, denigrata dalla critica del tempo. Il mondo non sapeva ancora che poche decine di anni dopo a New Tork ben 750mila persone avrebbero aspettato in fila per condividere con lei uno sguardo nella sua performance retrospettiva al MoMa. Marina Abramović era destinata a diventare una delle più importanti rappresentati dell’arte contemporanea.

Marina Abramović al MoMa

Il progetto a Napoli

Negli anni ’70 la giovane artista espose per la prima volta al pubblico le sue opere corporee, ma non venne capita. Il suo obiettivo era quello di mostrarsi al pubblico in due stati: prima vigile e poi priva di sensi, ma le sue stesse azioni sembravano metterla in pericolo e suscitavano paura nello spettatore. L’Abramović venne così coperta di ridicolo dai media del tempo: i giornali scrivevano che quello che faceva non aveva nulla a che fare con l’arte, il suo era solo esibizionismo masochista. Così, quando nessuno avrebbe mai scommesso su di lei, fu Napoli ad accoglierla. “Vieni qui e fa’ quel che vuoi” fu l’invito. L’artista decise così di cogliere quella nuova opportunità per spingersi oltre, superare ancora una volta i propri limiti e fare qualcosa che nessuno prima d’allora aveva pensato di mettere in atto.

Rytmn 0, istruzioni per l’uso

Con Rytm 0 Marina Abramović decise di lasciare il controllo completo al suo pubblico, lei sarebbe stata l’oggetto della sua opera. Venne accolta nella galleria Studio Morra a Giugliano e mise in atto una performance di sei ore. Si posizionò in piedi davanti a un tavolo su cui erano disposti 72 oggetti tra cui una rosa, degli aghi, un rossetto, una pistola con un proiettile accanto. Sul tavolo era poi disposto un foglietto con una sorta di regolamento:

Sul tavolo ci sono 72 oggetti che possono essere usati a piacimento su di me. Io sono l’oggetto. Durante questo intervallo di tempo mi assumo ogni responsabilità.

All’inizio il pubblico interagì poco in l’artista. Qualcuno le porse a una rosa, qualcun altro la accarezzò. Ma con il passare del tempo le persone si resero conto che l’Abramović non si opponeva a nessuna provocazione: era divenuta davvero un oggetto nelle loro mani. Iniziarono a farle assumere diverse posizioni, c’era chi la difendeva e chi la pungeva con gli aghi. Trascorse le sei ore il gallerista annunciò che il tempo era scaduto e la performance si era conclusa. Fu a quel punto che per la prima volta l’artistica smise di guardare il vuoto e volse il suo sguardo ai presenti. Si mosse. Al rivedere quel corpo prendere vita molte persone presenti nella sala si affrettarono ad uscire. Alcuni non riuscirono neanche a sostenere il suo sguardo e qualcuno arrivò a telefonare il giorno dopo alla Galleria per scusarsi di quanto era accaduto. Non sapevano cosa fosse successo, non erano in loro.

Marina Abramović in Rytmn 0

Oltre i limiti

Il suo porsi senza difese, vulnerabile e passiva aveva reso il pubblico libero, concedendogli di superare i propri limiti.

“Come in tutte le mie altre performance, in Rytm 0, non facevo che inscenare le paure per il pubblico usandone l’energia per spingere il mio corpo più lontano possibile. Facendo ciò, liberai me stessa dalle mie paure. E mentre succedeva divenni uno specchio per il pubblico: se potevo farlo io, potevano farlo anche loro.”

Così scrive Marina Abramović nella sua autobiografia “Attraversare i muri”:

Le sue opere sono state a lungo discusse e criticate, ma non sono mai passate inosservate. Le sue provocazioni rivelano le parti più profonde dell’animo umano e i suoi desideri più nascosti. Ancora oggi Napoli la ricorda. Da settembre 2020 è esposta la sua nuova mostra Estasi al Castel dell’Ovo, nella città dove più di 40 anni fa aveva stupito i napoletani per la prima volta.

Marina Abramović nell’immagine che fa da locandina all’esposizione Estasi

Laura d’Avossa

riferimenti: “Attraversare i muri. Un’autobiografia”, Marina Abramović

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