Le salite e le discese ripidissime di Napoli sono la caratteristica della vita cittadina. Eppure, al netto delle colline più grosse che circondano il centro storico, è difficile riuscire oggi a tracciare i confini di tutte le alture naturali di Napoli. Ci stupirà allora scoprire che sono ben 12.
Dopotutto, la stessa città è nata su due alture diverse: Palepolis infatti nacque sul Monte Echia, sul lato di Chiaia, mentre Neapolis vide la luce sul Colle Monterone, dalle parti dell’attuale Piazza San Domenico. Questa sua particolare forma dovuta alla posizione particolarissima in mezzo a due vulcani, ci ha regalato tantissime salite suggestive che collegano le parti alte e basse della città: dalle salite dai Colli Aminei alla Sanità, arrivando ai borghi che caratterizzano i pendii del Vomero, i luoghi panoramici di Napoli hanno fatto per secoli la gioia di pittori e fotografi.
Monte Echia (o Pizzofalcone)
Dove nacque tutto. Fra tutte le colline di Napoli, è quella che ha conservato un fascino straordinario.
Proprio qui, quasi tre millenni fa, si stabilirono i primi abitanti di una città che in seguito fu chiamata “Palepolis“. La forma della collina di Pizzofalcone era infatti perfetta: garantiva una visione perfetta di tutto l’ambiente circostante, era protetta dal mare in tre punti ed era raggiungibile tramite una sola strada.
Abbiamo detto bene sui tre punti: oltre al mare che bagna Chiaia e quello che tocca il lato del Porto, fino ai tempi della Magna Grecia sappiamo che anche Via Chiaia era un corso d’acqua. In pratica era un’altura inattaccabile, che però cadde a seguito di una guerra con gli abitanti di Neapolis, di cui non abbiamo notizie specifiche.
Oggi ospita la Scuola Militare Nunziatella, che sorge in un ex convento, e l’Univeristà Parthenope, che un tempo era il Real Istituto di Incoraggiamento borbonico.
Colle Monterone
A poco più di due chilometri, più basso e ormai invisibile sotto le migliaia di tonnellate di cemento che lo coprono, il Colle Monterone fu la casa della città rivale di Palepolis.
I coloni di Neapolis si stabilirono infatti proprio qui, godendo di una posizione perfetta: in tempi antichissimi -e parliamo di circa 2700 anni fa – l’attuale Porto di Napoli doveva apparire come una spiaggia con una scogliera alle sue spalle. Oggi è quasi impossibile riuscire a immaginarla come doveva essere all’epoca!
Custodisce anche un reperto dal valore inestimabile: la “Tomba di Partenope”, ovvero un manufatto di epoca greca in cui, per la prima volta, viene menzionata la leggendaria sirena. Si trova dentro la chiesa di San Giovanni Maggiore.
La sommità del Colle Monterone era l’antica acropoli greca, dove oggi c’è Sant’Aniello a Caponapoli: troviamo infatti anche un pezzettino delle antiche mura della città. Alle spalle, poi, c’era una ripidissima discesa che portava al Colle di Fonseca, che chiaramente all’epoca nemmeno aveva un nome.
Vomero
Saliamo in alto. Molto più in alto.
Il Vomero è da sempre stato considerato la collina privilegiata di Napoli: si trova infatti in una posizione centrale, permette di osservare l’intera città, dal lato di Posillipo al lato del Porto. Non a caso qui fu costruito il Castel Sant’Elmo, che aveva una doppia finalità: da un lato serviva a difendere Napoli, dando una vista privilegiata per eventuali invasioni giunte dal lato di Chiaia, dall’altro difendere il governo dagli stessi napoletani. E infatti l’unico bombardamento di Sant’Elmo fu fatto proprio contro la popolazione napoletana. Idem per i suoi assedi: furono i napoletani, durante la rivolta di Masaniello, ad accerchiare la fortezza per cacciar via il viceré. Lo ritroviamo poi nel 1799, protagonista della rivoluzione per la Repubblica Napoletana, assaltato dai repubblicani.
Oggi è uno dei quartieri più vivi e attivi della città, eppure è stato considerato “fuori Napoli” fino all’inizio dell’800, quando Ferdinando I di Borbone lo incluse all’interno del Muro Finanziere. Prima di quel momento, la collina era divisa in quattro piccoli villaggi, alcuni frequentati sin dai tempi della Magna Grecia: Vomero Vecchio, Antignano, Case Puntellate e Arenella. Per capire l’antichità di questo posto, ci basterà pensare che l’antica “Via del Vomero” (che oggi sopravvive solo in un tratto di Via Cifariello) era un pezzo della Via Puteolis Neapolim per Colles risalente agli antichi romani. E proprio qui San Gennaro fece il suo primo miracolo.
Scudillo
Lo Scudillo in realtà è un’entità indefinita. Copre più o meno l’area del Rione Alto e dei Colli Aminei, ma abbiamo pochissime notizie sui suoi confini antichi. Confina infatti con Vomero, Capodimonte e Camaldoli, scendendo ripidamente poi verso Chiaiano e Piscinola. Alle sue spalle è delimitata dal Vallone di San Rocco.
Prende il nome dall’unica strada che conduceva qui ai tempi dell’antica Roma: oggi è un tristissimo percorso abbandonato. Non abbiamo idea dell’etimologia del nome: c’è chi si riferisce ad un piccolo scudo (scutillum), oppure al napoletano “scurillo“, dato che la zona era caratterizzata da una fittissima pineta secolare che lasciava un’ombra perenne sull’intero territorio.
Quel che è certo è che oggi gli ultimi pini sono solo un contorno malconcio per l’urbanizzazione incontrollata del territorio attorno a Viale Colli Aminei, che prima si chiamava “Via dello Scudillo”.
Capodimonte
La collina del Re. Già il nome lascia ben intendere: diverse alture spesso erano chiamate “monti” nel passato e, prima della costruzione della Reggia e del Bosco, ospitava un piccolo insediamento risalente più o meno al ‘500, che ancora oggi esiste proprio alle spalle dell’ingresso di Porta Grande.
Gino Doria ci spiega che assume questo nome intorno all’undicesimo secolo, quando Napoli era ancora un ducato libero. Prima, in tempi antichi, si chiamava “Ara Vetus“, probabilmente per la presenza di un tempio antico che non esiste più.
Fra le varie colline di Napoli, questa fu scelta da Carlo di Borbone per costruire la sua reggia: per salire a Capodimonte bastava infatti percorrere Via Toledo e poi risalire per la Sanità. Era anche un luogo pressoché intatto ed aveva un’aria purissima, la stessa che poi portò alla costruzione della Zona Ospedaliera sullo Scudillo. Insomma: una soluzione perfetta per star lontano dalla città, senza trovarsi davvero lontani. Quando Murat fece costruire il Ponte della Sanità, poi, il quartiere ebbe un vero e proprio boom edilizio e diventò anche una zona industriale: qui nacque ad esempio il primo birrificio di Napoli! Prima era invece famosissima per la sua industria di porcellane, che ancora oggi sono fra le più rinomate al mondo. Non dimentichiamo le altre eccellenze di questa zona: è infatti sede dell’Osservatorio Astronomico, il primo d’Italia.
La Costigliola (o San Potito)
La collina che non ti aspetti, anche se la salita si nota benissimo all’altezza del Museo Nazionale. La collina della Costigliola compare già nei testi aragonesi, essendo indicata come feudo della famiglia Carafa. Le mura della città infatti finivano all’altezza dell’attuale Piazza Dante e tutto ciò che era fuori era pressoché incontaminato. Il piccolo colle prende nome dalla presenza del monastero di San Potito, che fu costruito nel XVII secolo. Notiamo infatti ancora adesso benissimo la rampa che porta alla collinetta all’altezza dell’incrocio fra Santa Teresa degli Scalzi e Via Pessina.
Colle di Fonseca
Si trova di fronte alla Costigliola ed è proprio quella collinetta sulla quale si poggia il Rione Materdei. Anticamente era conosciuto come “Colle del Castrum”, ma compare per la prima volta solamente sulla mappa del Duca di noja nel 1775: ancora oggi esiste una “Via Fonseca” alle spalle del museo, che ci racconta la vera origine di questo nome. Il terreno apparteneva infatti a un tale Giovanni Ruiz Fonseca, un nobiluomo spagnolo giunto con Carlo V a Napoli.
Si estendeva per dimensioni fino al Largo delle Pigne, l’attuale Piazza Cavour, e aveva come limite superiore il baratro che separava la strada con l’attuale Corso Amedeo di Savoia che, prima della costruzione del Ponte della Sanità, era separato da un netto taglio. La sua urbanizzazione massiccia è cominciata sul finire del ‘700, dato che la città fu espansa da Carlo di Borbone verso Capodimonte. Il boom edilizio, però, arrivò solo dopo l’epoca di Gioacchino Murat, dato che il Ponte della Sanità fece crescere a dismisura la popolazione in zona. Corrisponde più o meno al Rione Stella e Materdei.
Capodichino
“Caput de clivo“, questa è una delle ipotesi sull’origine del suo nome: nel Medioevo si chiamava semplicemente “clivo“, ovvero “pendio“, mentre la parte più alta era indicata come “caput”. Sembra più improbabile l’idea che immagina la traduzione di queste parole “capo chinato“, dovuto alla fatica enorme per raggiungere la sommità della collina. Sicuramente, però, è sempre stata un luogo impervio. Questa zona si divideva in due parti: quella più alta e vicina a Napoli è sempre stata un luogo di esercitazione militare, tant’è vero che fino al 1918 era chiamato “Campo di Marte“. Dopo la guerra, l’aeroporto è stato intitolato a Ugo Niutta, mentre il quartiere è rimasto sulle mappe come Capodichino. La parte interna, invece, ospitava il casale di Secondigliano.
La parte inferiore della collina sin dai tempi antichi, è stata immaginata come luogo per le sepolture, tant’è vero che ospita un complesso cimiteriale da 2500 anni. Ai suoi piedi si trova poi Poggioreale, che un tempo era residenza reale degli Aragona, poi diventò un quartiere abbandonato ai confini della città.
Camaldoli
Saliamo nell’olimpo. Con i suoi 457 metri sul mare, è la più alta fra le colline di Napoli. Ed è anche l’unico punto dove, durante l’inverno, è abbastanza facile trovare nevicate.
Dai Camaldoli scendono anche tutti quei torrenti che hanno caratterizzato la forma e la direzione delle strade della città: i “Cavone”, “Cupa” e “Arena” che troviamo nei toponimi cittadini, infatti, sono per lo più strade che nascono dai corsi d’acqua che scendono da questa collina verso il mare. Un esempio perfetto è il Cavone di Piazza Dante, oppure Piazza Arenella.
Il nome, invece, è facile da ricostruire: nasce infatti dai monaci camaldolesi che nel XVI secolo costruirono il loro eremo che, ancora oggi, gode di uno dei panorami più belli, ampi e suggestivi della città: si riesce a vedere dal Rione Flegreo al Circeo, godendo di una vista privilegiata su Ischia e Procida.
Posillipo
Sia promontorio che collina, Posillipo comincia a Via Manzoni e finisce con Riva Fiorita. La sua forma caratteristica, a ben vederla dall’alto, ci fa perfettamente capire che è ciò che rimane di un enorme cratere che finisce con Agnano. Ha anche una posizione privilegiata: dal suo punto infatti si può godere uno dei panorami più belli
In realtà, però, il promontorio di Posillipo è stato urbanizzato in modo intensivo solo recentemente. La zona di Via Manzoni era infatti una strada lunghissima che collegava tanti piccoli borghi sparsi fra le alture e le scogliere rocciose, da Marechiaro ad Angara.
Il suo nome ha un’origine meravigliosa e romantica: “pausylipon“, tregua dai dolori. E non potrebbe essere altrimenti, con l’odore di fiori misto a quello del mare che ancora oggi si sente benissimo nelle giornate primaverili passate a guardare i panorami dalle sue strade. Non a caso, la scuola dei pittori panoramisti napoletani fu fondata da Anton Sminck Van Pitlo e prese il nome di Scuola di Posillipo.
Monte Spina
Andiamo lontano, lontanissimo. In un territorio per giunta caratterizzato (una volta tanto!) da pianure. Monte Spina è l’eccezione: si tratta infatti di un vulcano spento. Rispetto alle altre colline è una recente acquisizione, dato che non ricadeva all’interno dell’area comunale di Napoli fino al XX secolo. Possiede anche un’altra particolarità: è l’unica collina ancora disabitata.
San Loise
Sempre nell’area Ovest, ma più vicino a Fuorigrotta. La collina di San Laise, Lavise o Luisa (compare in tantissimi nomi!) è nota sin dal medioevo. Apparteneva ai Gesuiti ed era poco più di un campo coltivato. Dobbiamo fare un salto lunghissimo per ritrovarla urbanizzata: è infatti diventata la base NATO di Napoli, che oggi è una fondazione. Il Quartier Generale degli alleati americani, infatti, sorge su una altura che è la nostra antichissima collina.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Gino Doria, Le strade di Napoli, Ricciardi Editore, Milano, 1982
Romualdo Marrone, Le strade di Napoli, Newton Compton, Roma, 1992
Italo Ferraro, Napoli: atlante della città storica, Edizioni Oikos (tomi da 1 a 5)
http://giuseppe-peluso.blogspot.com/2015/04/la-collina-di-sain-laise-bagnoli.html
Leave a Reply