Ci sono persone che, con la loro vita, hanno vissuto, realizzato, raccontato le emozioni più forti ed i desideri più profondi di ogni essere umano. Esistono vite talmente intense ed appassionanti da dover essere tramandate, per non renderle vuote. Una di queste vite è sicuramente quella di Francesco De Pinedo, l’aviatore napoletano che, con il suo aereo Gennariello, per la prima volta riuscì a fare il giro del mondo in volo.
Chissà dove volava la fantasia del giovanissimo Francesco De Pinedo mentre studiava i voli di Icaro ed i viaggi di Colombo durante il Liceo Classico, immergendosi fra libri e storie di uomini vissuti migliaia di anni fa, ricordati per imprese tanto incredibili da entrare nella leggenda.
Marinaio ancor prima che aviatore
Il padre Alberto, austero e severo, da buon esponente della nobiltà napoletana che diede origine anche a personaggi come Armando Diaz, lo indirizzò verso il mare e lo iscrisse all’accademia navale immediatamente dopo il diploma, per mantenere alto il nome della famiglia. De Pinedo così lavorò dieci anni su navi da guerra, distinguendosi per la passione e l’impegno messo nel suo lavoro.
Nel frattempo, mentre D’Annunzio, Ugo Niutta, Francesco Baracca ed i tanti eroi dell’aria della Grande Guerra mostrarono all’Italia la forza travolgente degli aeroplani, sulla terra nacque il mito dell’aviatore: l’Uomo può volare. Una suggestione, un sogno ipotizzato dai filosofi e dai letterati della Grecia di duemila anni fa, improvvisamente divenuto reale: l’uomo riusciva a staccare finalmente i piedi da terra. Per andare in guerra.
Come un’onda inarrestabile, l’entusiasmo dei giovani italiani verso i miracoli dell’aviazione trascinò anche De Pinedo, che di voli ne aveva sentito parlare solo nei suoi studi classici, che mai aveva abbandonato: lasciò la Marina e si iscrisse alla scuola di Taranto, per imparare a guidare gli idrovolanti, infischiandosene di tutti gli ammonimenti dei suoi compagni. Si diceva, infatti, che iscriversi all’aviazione era una condanna a morte, un suicidio certo: i piloti d’aereo, infatti, morivano giovanissimi. D’altronde, nell’immaginario collettivo l’aviatore è giovane e bello, proprio come gli eroi dei miti antichi.
Francesco De Pinedo arriva in Giappone
Unito l’amore per il mare al sogno di poter navigare nei cieli, Francesco De Pinedo imparò subito a pilotare con maestria delle carcasse di idrovolanti, una sorta di zattere con le ali che, nel 1918, si mostravano con quella sacralità che caratterizza le ultime meraviglie della scienza.
Conclusa la guerra, come un folle Magellano del futuro, però,fu spinto dall’entusiasmo e decise di tentare qualcosa di impossibile per un essere umano: provare a circumnavigare la Terra con un aeroplano, precisamente con un idrovolante: “voglio dimostrare che si può viaggiare con un aeroplano meglio che con un bastimento!“, disse.
Riuscì a realizzare il folle volo nel 1925: partì dall’Italia per arrivare prima in Australia e poi a Tokyo. Un viaggio di 55.000 chilometri, qualcosa di mai visto prima nella Storia dell’Uomo.
Il suo aereo decise di chiamarlo Gennariello, per onorare la sua origine napoletana che più volte si disse orgoglioso di rappresentare nel mondo.
Il volo fu difficoltoso e lunghissimo: mentre un altro aviatore napoletano, Umberto Nobile, toccava il Polo Nord, De Pinedo si perdeva nei posti più remoti del mondo, guidando un aereo senza strumentazione elettronica, senza la radio e con riferimenti una bussola ed una mappa disegnata in modo approssimativo.
Spesso si trovò ad effettuare atterraggi di emergenza per rubare benzina dalle auto di qualche paese remoto, spesso fu costretto a riparazioni di emergenza con filo di ferro e tanta fantasia. Eppure, in più di 370 ore di volo, riuscì incredibilmente ad arrivare sfinito a Tokyo, nell’altro capo del mondo. Lo stesso De Pinedo racconta che, durante il ricevimento ufficiale organizzato dall’Imperatore giapponese per festeggiare il suo arrivo, si addormentò a tavola sfinito per l’impresa titanica, fra lo sgomento e lo scandalo dei padroni di casa.
L’ambizione e la tragica rovina
Tornò in Italia e fu accolto come un eroe nazionale: ancora oggi sul Tevere c’è uno scalo dedicato a De Pinedo e Napoli ha dedicato alla sua memoria la strada principale di Capodichino.
La gloria, però, è cosa effimera: nonostante le celebrazioni, gli ori e gli allori, litigò con Italo Balbo, braccio destro di Mussolini, e fu costretto a lasciare l’Italia.
Partì quindi per raggiungere l’altro capo del mondo, New York, con un nuovo aereo battezzato per l’occasione “Santa Maria“, proprio come la caravella di Cristoforo Colombo. I suoi sogni diventarono sempre più alti ed ambiziosi, i suoi record erano sulla bocca del mondo, ma De Pinedo, forse troppo ingenuo, forse accecato dal sogno di poter diventare un eroe leggendario, decise di tentare una sfida impossibile.
Caricato di una quantità di carburante esagerata, riprese il suo piccolo idrovolante (che chiamò “Santa Lucia“, per portare sempre il nome di Napoli con sé) ed annunciò la sua missione più ambiziosa: volare da New York a Baghdad da solo, in una unica sessione di volo continuativa di 6300 chilometri. Una cosa non facile neanche per gli aerei di linea moderni!
Così, come Icaro che provò a sfidare gli Dei volando troppo in alto, Francesco De Pinedo volle sfidare la fisica: l’aereo, troppo appesantito per il carburante, non si alzò durante la fase di decollo, perse il controllo e si schiantò contro un magazzino, uccidendo tragicamente l’aviatore napoletano fra fiamme e dolori atroci.
Ugo D’annunzio lo salutò per l’ultima volta dicendogli: “Solo l’orgoglio fu capace di uccidere De Pinedo“.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Francesco De Pinedo, Un volo di 55.000 chilometri, Mondadori, Milano, 1929
https://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-de-pinedo_(Dizionario-Biografico)/
http://www.aeronautica.difesa.it/storia/ufficiostorico/archiviofondi/Lists/DocumentiArchivioFondi/De%20Pinedo_finale.pdf
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