La luminosa mattina del 23 giugno 1448, per le strade di Napoli, e precisamente dalle parti dei vicoletti del Purgatorio ad Arco, si svolgeva una curiosa processione.
Era la vigilia della festa di Giovanni Battista e, come da tradizione in quella occasione, popolo e nobili si erano riuniti per le strade del centro storico cittadino per onorare il santo. Le ragazze, belle e sorridenti, erano solite offrire una pianta d’orzo o di grano al proprio innamorato e rivolgergli un composto, grazioso inchino.
Tra le dame e le nobildonne che componevano il corteo, quel giorno si aggirava, splendida e affascinante, l’appena diciottenne Lucrezia d’Alagno. Figlia di Nicola d’Alagno, primo feudatario di Casale di Torre dell’Annunciata, e di Covella Toraldo, la bella Lucrezia quel giorno avrebbe dato una svolta imprevedibile alla sua vita.
Ecco che d’un tratto tra la folla passa un fremito, di bocca in bocca vola un sussurro – il re, il re, sua maestà! – le teste si girano e appare fiero a cavallo Alfonso V d’Aragona. Il sovrano, diviso ormai da anni dalla legittima moglie, debole e malata in Spagna, nota subito tra la gente gli occhi vivaci di Lucrezia.
Lei prontamente gli si para davanti, sfodera un sorriso dolce e gli porge la sua piccola piantina d’orzo. Affascinato, il re la accetta e offre alla giovane una borsa colma di monete. Lucrezia sorride di nuovo e silenziosamente, con un cenno, rifiuta.
Tutti i cronisti dell’epoca narrano questo incontro, forse un po’ leggendario, sicuramente idealizzato. Quello che d’ideale ebbe ben poco, e di concreto tutto, fu il fatto che, da quel giorno, la giovane dama e il re rimasero legati sino alla morte.
Lucrezia divenne ben presto, dunque, la favorita del re, seduta alla sua destra durante ogni cerimonia, ogni banchetto, ogni torneo ed ogni festa.
Pare, tuttavia, stando alle fonti dell’epoca, che la giovane fosse riuscita a mantenere col sovrano un rapporto puramente intellettuale, resistendo fieramente agli ardenti desideri di Alfonso.
Vere o meno che siano le voci che indicavano Lucrezia come “vergine incontaminata”, certo è che ella arrivò a godere di un tale potere che Loise De Rosa, cronista di corte, scrisse nei suoi Ricordi che “…chi voleva alcuna grazia da lo re andava da Madama Lucrezia”.
Ben presto ella divenne ricchissima, oltre che potente, e riuscì a sistemare in posizioni di rilievo, gran parte della sua famiglia.
Perdutamente innamorato di lei, re Alfonso chiese a lungo all’allora papa Callisto III di annullare il suo matrimonio con Maria di Castiglia, per potersi unire ufficialmente alla bella giovane che anni prima gli aveva donato la sua pianticella d’orzo.
Persino Lucrezia stessa, ormai forte della sua ricchezza e delle sue conoscenze e sicura del suo fascino, si recò a Roma con la scusa di un pellegrinaggio e invano provò a convincere il sommo pontefice: questi mai accettò di annullare il matrimonio.
Era solo il primo di una lunga serie di bocconi amari che Lucrezia, da quel momento in poi, fu costretta ad inghiottire. L’anno successivo, infatti, – siamo nel 1458 – inaspettatamente Alfonso morì, e la giovane amante non solo non si vide nemmeno citata nel testamento, ma dovette cominciare a subire le angherie e le malevoci della corte intera: ormai, senza la protezione del re, era completamente esposta all’invidia e ai pettegolezzi.
Fu così che la sua storia si avviò alla fine: invisa anche al nuovo re Ferrante e a sua moglie Isabella, Lucrezia d’Alagno fu costretta a fuggire in Dalmazia con un capitano di ventura, col quale, tra lo scandalo, “divideva il letto”, e di qui poi rifugiarsi prima a Ravenna e in seguito a Roma, decaduta ormai dalla sua posizione di prestigio ma ancora forte delle ricchezze che aveva accumulato negli anni.
Ricchezze che però non le valsero a fermare il tempo: fiera come sempre era stata, si spense il 19 febbraio 1479 nella sua residenza romana, portando con sé il segreto e il dubbio sulla purezza del suo rapporto con il sovrano e il fascino ancora intatto del suo sguardo vivace, non troppo diverso da quello della diciottenne che tanto, tanto tempo prima aveva donato alla persona giusta la sua pianticella d’orzo.
Beatrice Morra
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