Qualche tempo fa vi abbiamo parlato della magnifica storia del Castello del Carmine. Nei pressi dei suoi torrioni, c’è ancora un altro splendido monumento storico della nostra città che deve pagare l’ingiusto conto dell’abbandono e del degrado: la Chiesa di Santa Maria di Portosalvo.
La storia di questa chiesa è particolarmente affascinante. Siamo nel XVI secolo, e un marinaio, tal Bernardino Belladonna, miracolosamente scampato a un naufragio, decide di fondare, in segno di ringraziamento, una Congrega, e di annettervi anche una Chiesa. Sceglie di costruire quest’ultima nella zona del Mandracchio, ossia fuori le mura della città: è per questo che la Chiesa di Santa Maria di Portosalvo viene ancora chiamata, tra i più anziani, “fuori le mura”.
Ottenuti i permessi necessari, Belladonna inizia i lavori con il sostegno dei primi tre iscritti alla congrega, Fra’ Marco Albano, Nardo Calvanico e Annibale di Pronillo, nel 1554. A dispetto della terribile carestia che falcidiò la popolazione nel 1560, i lavori proseguirono e si conclusero nel 1564.
La Congrega di Santa Maria di Portosalvo fu, nei secoli, sempre attentissima alle cure della Chiesa, premurandosi di rimodernarla e arricchirla con tele e opere di artisti famosi. Nel 1749 fu inoltre conclusa la costruzione della palazzina annessa alla Chiesa, sede ufficiale della Congrega stessa.
Nell’abbandono e tra i rifiuti, nei muri scrostati e crollati, si ravvisa ancora oggi un’antica bellezza: la facciata stuccata, di un delicatissimo stile rococò che già risente della armonica sensibilità ottocentesca, ormai alle porte; un portale in piperno bugnato, colonne e lesene decorative; e, all’interno, un’unica, semplice navata, con due cappelle per lato e un presbiterio la cui balaustra è decorata splendidamente con marmi e madreperle.
Gli artisti che nel tempo onorarono la Chiesa su commissione della Congrega furono molti, tra orefici, falegnami, indoratori, pittori. In particolare, oltre alla balaustra dell’altare già descritta, ad opera di Dioniso Lazzari, ricordiamo le tele di Girolamo Imparato e Battistello Caracciolo e, per quanto riguarda la cupola, gli splendidi affreschi di Nicola Russo.
Quella che oggi è una triste aiuola, nei pressi della Chiesa, era un tempo un grazioso giardinetto. Vi si ergevano (e vi si ergono ancora, seppur devastati dal tempo e dall’incuria) il quinto degli obelischi di Napoli (dopo quelli dell’Immacolata, di San Gennaro, di San Domenico e di Materdei), l’arcata di un antico fondaco di epoca aragonese e la Fontana della Maruzza.
Oggi, dopo anni di oblio, sono finalmente in corso le attività di restauro della Chiesa e dell’obelisco. Per adesso, però, la triste facciata, dimentica del suo antico splendore, e vicino a lei il costernato spirito del miracolato Bernardino Belladonna, stanno ancora lì, in silenzio, ad osservare il traffico scorrere su Via Alcide de Gasperi.
Beatrice Morra
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