La fervente dedizione del popolo napoletano al culto della Madonna di Costantinopoli non nasce per caso.
Il sanguinario Conte di Lautrec, raccontato in questa storia nel 1528, con un esercito di ventimila uomini, invase il Regno di Napoli installandosi nella zona del Cimitero delle 366 fosse.
Ebbene il conte, uomo senza scrupoli, pianificò di conquistare la capitale prostrandola con la più terribile delle armi: la fame. Chiuse così tutte le vie d’approvvigionamento e – azione che si rivelò fatale – distrusse l’acquedotto della città. Nel caldo di agosto, l’impaludamento delle zone attorno all’accampamento e la terribile arsura, allora, generarono un nemico invisibile: la peste.
Morì il crudele generale del crudele morbo, e l’intera città, senza sapere come contrastarlo, si preparò al peggio.
Quando, inaspettatamente, rapida com’era arrivata, la peste se ne andò, insieme ai francesi.
Ma facciamo un passo indietro.
Cosa c’entra la Madonna di Costantinopoli?
Proprio nei giorni immediatamente precedenti al miracolo, un’anziana donna percorreva affaticata le strade della zona dove oggi sorge il Museo, quando, nella tremula calura dell’estate, ebbe una visione.
La Madonna di Costantinopoli le apparve, e le ordinò, nel tono soave con cui gli angeli danno ordini, di costruire un tempio proprio in quel punto.
L’anziana promise e la peste finì: il popolo allora seppe a chi attribuire quell’insperato miracolo.
Il tempio, negli anni, divenne un centro di culto frequentatissimo nella strada che prese il nome di – appunto – via Santa Maria di Costantinopoli, e nel 1575 si decise di ricavarne una vera e propria chiesa. Sulla sua facciata si legge chiaramente:
MATRI DEI OB VRBE AC REGNVM A PESTE SERVATVM
La chiesa che si erge tutt’oggi nella trafficata via che porta il suo nome.
La cupola maiolicata all’esterno, il soffitto a cassettoni lignei intagliati, il Martirio di San Bartolomeo del pittore fiammingo Wenzel Cobergher e l’altare in marmi policromi disegnato da Cosimo Fanzago sono, da un punto di vista artistico, il vanto di questo edificio sacro.
Ma il suo vanto più grande è, e sarà sempre, avere un posto così importante nel cuore e nella memoria delle tradizioni e della dedizione popolare napoletana.
Beatrice Morra
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