Vincenzo Russo e “I’ te vurria vasà!”

Baciarsi.

La maggior parte delle storie d’amore inizia proprio così, con un semplice bacio.
Eppure un desiderio così spontaneo, come baciare la donna che si ama, può diventare un tormento se quest amore non riesce ad alimentarsi d’altro che di fantasia.
Questa è la storia di Vincenzo Russo, poeta napoletano in cui disperazione ed ispirazione hanno lo stesso nome, quello di Enrichetta Marchese.

Siamo nel 1900, Vincenzo è un giovane ragazzo di umili origini, la cui incerta salute non gli permette di conseguire gli studi regolarmente. Nonostante le circostanze familiari lo spingano ad usare le mani come operaio piuttosto che la penna come poeta, ben presto in lui le spinte artistiche saranno sempre più pressanti.
Ed è un amore, come spesso accade, a guidare questa sua passione per le parole e per la musica.
Vincenzo Russo è un innamorato, come tanti. E come tanti vive di attese e di speranze. Il suo amore per Enrichetta Marchese, figlia di un ricco gioielliere, è fortemente osteggiato dalla famiglia di lei. E se questo sentimento che non riesce a farsi spazio nella vita reale, diventa il soggetto principale di un continuo sogno.

Da un sogno nacque una delle più belle canzoni che Vincenzo Russo ha regalato a Napoli: “I’ te vurria vasà”.

                                     « Ah! Che bell’aria fresca…
                                       Ch’addore ‘e malvarosa…
                                      E tu durmenno staje

                                    ‘ncopp’a sti ffronne ‘e rosa!”

Siamo in un meraviglioso giardino, ovunque si respira profumo di malvarosa. Un amore impossibile prende forma in quel perfetto locus amoenus.
I due amanti vengono ritratti in un momento di profonda tenerezza ed intimità: il poeta veglia la donna durante il suo sonno tranquillo.
Eppure qualcosa lo tormenta. Il giovane è combattuto tra la volontà di darle finalmente un bacio e il desiderio di preservare l’incanto che quel sogno aveva creato.bacio

                                                        I’ te vurría vasá…
                                                       ma ‘o core nun mmo ddice
                                                        ‘e te scetá…
Ma i sogni finiscono, e al sopraggiungere dell’alba milioni di amanti sono costretti a separarsi. Quello di Vincenzo restò un bacio mai dato. Egli continuò fino alla morte ad amarla e a dedicarle versi musicati.
Si dice infatti che anche la sua ultima composizione ” L’urdema canzone mia” sia stata scritta dopo aver visto dalla finestra, la chiesa addobbata per uno sposalizio. Russo immaginò che lì vestita di bianco ci fosse proprio la sua dolce amata.
L’autore morì, senza aver mai realizzato il suo sogno, all’età di 28 anni a causa di una tubercolosi.
Fortunatamente ancora sopravvivono le sue parole, e questa meravigliosa canzone. Il successo di “I’ te vurria vasà” è legato, indubbiamente, anche all’amicizia con Eduardo Di Capua( famoso autore di ‘O sole mio) che ne musicò i versi.

Fotografia di Federico Quagliuolo.

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