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Napoli e il curioso culto della melagrana

Travolti dalla vita frenetica di Napoli spesso non ci rendiamo conto di quante immagini sfuggano ai nostri occhi.
Sono simboli, sono misteri che questa città rivela solo a chi sa osservare, a chi cerca, a chi non è mai sazio di scoprire.
C’è un frutto in particolare che troviamo rappresentato in numerose opere d’arte: la melagrana.
La stringono tra le mani la madonna col bambino nella cappella Minutolo (presso il Duomo) e la donna raffigurata all’entrata del complesso di San Giovanni. Spostandoci a Salerno questa diviene lo scettro della Madonna del Granato e a Paestum la protagonista di alcune statuette nel Museo Archeologico.
Ma perché questo frutto ricorre così spesso nell’iconografia campana?
In uno dei suoi inni Omero racconta la storia di Persefone che, intenta a raccogliere narcisi, fu attratta da un “bel giocattolo” e lo prese tra le mani. A quel punto la terra si aprì d’improvviso sotto i suoi piedi e la fanciulla precipitò nell’oscurità profonda.
Iniziò così a cercarla sua madre, la dea Demetra. Disperata si rivolse alle sue compagne più fidate che, però, non seppero far nulla per aiutarla.
Il dolore si trasformò in angoscia, poi in rabbia, e mossa dall’ira, la dea le trasformò in esseri mostruosi con il busto di donna e il corpo di pesce. Furono proprio queste creature a divenire poi le fondatrici di Napoli.
Ma la sofferenza di Demetra aveva effetti anche tra gli uomini. Essendo la dea della vita e della fertilità, questo suo stato così afflitto impediva alla terra di germogliare. I campi erano sterili, le giornate fredde, gli alberi spogli: la natura pareva morta in un inverno interminabile. A intervenire fu Zeus che decise di rivelarle il destino della giovane Persefone. La sua incantevole bellezza aveva ammaliato Ade, dio degli Inferi, a tal punto da spingerlo a rapirla e portarla con sé nel mondo sotterraneo di cui era padrone. Poiché Demetra pretese di rivedere la figlia il padre degli dei ordinò che fosse riportata in superficie, ma prima che ciò avvenisse Ade escogitò un altro dei suoi inganni.
Riuscì a farle mangiare sei chicchi di quel “bel giocattolo” che tanto le era piaciuto e che tanto l’attraeva. Si trattava di semi di melagrana che la resero, una volta ingeriti, per sempre legata al suo nuovo sposo. Sarebbe quindi tornata dalla madre, ma ogni anno discesa negli inferi per tre mesi.
È proprio durante questi giorni che Demetra ancora oggi piange per la mancanza della figlia e la terra si fa arida e spoglia, il clima freddo, il cielo buio. La tristezza della “dea-madre” invade il mondo e lo priva dei suoi colori.
Poi ecco che la terra si apre di nuovo e Persefone torna a casa, tra le braccia a lei più care.
Allora si risveglia la primavera.
La Campania felix rinasce nella sua prosperità. Ogni germoglio è vita, è felicità e amore della dea madre.
La melagrana, associata alla figura di Demetra, diviene così simbolo di fertilità, abbondanza, vitalità, tuttavia essa è la causa per cui Persefone sprofonda negli Inferi e con lei la floridezza della natura.
Questo frutto dunque cela in sé un affascinante contrasto: è al tempo stesso ricchezza e sterilità, bene e male, vita e morte.
Il decesso non è altro che la tappa di un ciclo, il passaggio a una nuova realtà. Così il confine tra mondo terreno e ultraterreno sfuma fino a divenire quasi impercettibile tanto che questi possono essere considerati due facce della stessa medaglia. Vita e morte si comprendono senza annullarsi l’un l’altra, sono differenti momenti dell’eternità che le racchiude.
Ciò si rispecchia a pieno nel particolare rapporto che i napoletani hanno con l’aldilà, nutrito di superstizioni, religione e credenze popolari.
Napoli crede che dopo la morte le anime dei defunti non lascino la terra e vaghino, benigne e veglianti sui loro cari, o maligne e vendicative.
La melagrana per il suo duplice significato diviene anche un amuleto in grado di scacciare il male.
Non a caso un’antica credenza popolare vuole che si conservi in cucina una ciotola di melograni acerbi aspettando che questi maturino e si aprano nei primi giorni di novembre. Si dice infatti che proprio nel periodo dei morti i loro semi siano in grado di attirare le energie negative così da liberare la casa dagli spiriti maligni.

Disegno e testo di Laura d’Avossa

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