Il vero Natale napoletano si festeggia con una tradizione antichissima: quella del bruciare la pigna per passare un Natale felice. Senza dimenticare poi la leggenda dei lupini.

La casa si riempie di un odore dolcissimo, quello della resina che si scioglie sul fuoco, e il fumo della pigna è come un incenso che apre i polmoni. Si dice che questo rituale sia figlio della storia della fuga in Egitto della Sacra Famiglia.

Prima di raccontare perché sia necessario bruciare la pigna in casa, dobbiamo un attimo parlare dell’amaro lupino.

Magari, il tutto diventa ancora più buono se mangiamo vicino i tradizionali dolci napoletani.

Bruciare la pigna
Bruciare la pigna su un fornelletto: un’operazione semplice e antica

L’amarezza del lupino

La Bibbia ci insegna che la Sacra Famiglia di Nazareth fu costretta ad intraprendere un viaggio per salvare la vita di Gesù Bambino prima che la spada di un soldato mandato da Erode giungesse a tagliargli la gola.

Si tratta di un tema molto caro alla cultura meridionale e particolarmente nella tradizione popolare napoletana.

Nella fuga fra lande desolate Maria, afflitta e stanca, chiese aiuto a tutte le piante e agli alberi che si trovavano lungo il percorso accidentato.

Ad un certo punto, presa dalla debolezza, Maria s’avvicinò ad una pianta dall’alto fusto: la pianta di lupino. In mezzo a quei rami, Lei e suo Figlio, avrebbero potuto trovare riparo sicuro e rinfrancarsi dallo sfinimento del viaggio. La Madonna pregò il lupino di aprire i suoi rami per accoglierla, ma il lupino si rifiutò di offrire ospitalità alla donna e al suo infante e per questo motivo, in spregio alla sua asprezza, venne irrimediabilmente condannato a generare per l’eternità frutti assai amari.

La fuga in Egitto di Maria
La fuga in Egitto

La tradizione del bruciare la pigna

Maria era disperata. Cercò in ogni modo riparo e si imbatté casualmente in un pino che, senza esitazione, aprì le sue fronde.

Il piccolo Gesù, teneramente involto in un candido manto, si ridestò e solennemente benedisse il frutto di quell’albero e in ogni singolo pinolo volle imprimere un segno perenne della sua sconfinata gratitudine.

Ad ogni pinolo lasciò in regalo una sua “manina” e volle donargli l’odore ineguagliabile del santo incenso affinché quella sensazione inconfondibile restasse impresso come il ricordo perpetuo della sua immensa generosità.

Probabilmente in memoria di questo gesto a Napoli, durante tutte le festività natalizie e il giorno stesso di Capodanno, c’è ancora la tradizione del bruciare la pigna per buon augurio. Poi si raccolgono e si mangiano i suoi frutti mentre spande l’odore della resina che si scioglie al fuoco. Quando si sguscia il pinolo abbrustolito sui carboni vi si trova un frutto bianco al cui interno c’è una fioritura candida: è quella la “manina” di Gesù.

La leggenda venne rielaborata dal maestro Roberto De Simone che la riscrisse e la musicò affidandone il canto a Concetta Barra.

Alessandro Basso

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