La nostra storia di oggi inizia in un piccolo comune della Lorena, Metz, e finisce a Napoli. Si ambienta nei primi anni del Seicento, ed ha come protagonisti due pittori. Tutti e due ebbero lo stesso nome: Monsù Desiderio.
Non stiamo parlando metaforicamente: ci furono effettivamente due pittori, attivi a Napoli nel primo Seicento, accomunati da una simile visione artistica, cupa e inquietante, ma allo stesso tempo onirica e luminosa, e da uno pseudonimo con il quale firmarono le loro opere.
Di queste due personalità, ce n’è però una dominante: quella di François Didier Nomé. Com’è immaginabile, ricostruire la sua biografia non è semplice, dal momento che sin da subito la sua personalità si confonde e sovrappone a quella di altri artisti operanti nella nostra città.
Tuttavia, ecco l’elemento dirimente: da un archivio salta fuori il suo contratto di matrimonio con Isabella Croys, figlia del pittore fiammingo Loise Croys, matrimonio celebrato a Napoli nel 1613. Incrociando perciò la ricerca con altri documenti d’archivio, si è potuta delineare una biografia, anche se vaga e ancora densa di mistero.
Nato intorno al 1593, François giunge a Roma nei primi del ‘600, e inizia a lavorare presso la bottega di Baldassare Lauri. Una decina d’anni a Roma, e decide di trasferirsi a Napoli.
Qui, forse ispirato dall’animo talvolta oscuro e misterioso della città, la sua vena artistica trova la più fervida espressione, e François riesce ad ottenere anche un discreto successo. La storia del pittore, che parrebbe giunta a una conclusione a lieto fine, si complica tuttavia proprio in questo punto.
Intorno al 1619, infatti, giunge a Napoli un altro pittore, anche lui proveniente proprio da Metz. Il suo nome è Didier Barra. La sua strada si incrocia con quella di François, e i due, a quanto ci è dato sapere, iniziano a lavorare fianco a fianco. Sono molte le supposizioni, ben pochi i dati a nostra disposizione: soprattutto le dicerie riguardanti una relazione amorosa tra i due iniziarono presto a diffondersi in città.
Quello che è certo, ad ogni modo, è che entrambi firmavano le loro opere con lo stesso pseudonimo, quello – appunto – di Monsù Desiderio. E questo nonostante lo stile dei due fosse in qualche modo differente: le opere di François continuavano a raccontare di visioni oniriche e inquietanti, mentre i paesaggi e le architetture di Didier giocavano con la luce e con l’armonia.
Nel tempo, questa doppia anima sotto una sola firma cominciò a creare la leggenda di un singolo, oscuro artista dotato di due personalità, rappresentate dai due differenti stili del sogno e dell’incubo.
Attraverso i documenti conservati all’Archivio del Banco storico di Napoli, è possibile, comunque, seguire le vicende della bottega di Monsù Desiderio fino al suo esaurirsi, intorno agli anni della peste.
Il fascino di questa doppia figura leggendaria ha colpito, nei tempi recenti, almeno due illustri nomi: Andrè Breton, il grande surrealista, e Mircea Cărtărescu, scrittore rumeno tra i più geniali della nostra epoca. In particolare, nel secondo volume della sua trilogia Abbacinante, Cărtărescu delinea una biografia appassionata dei due artisti.
Chiusi nel loro atelier in riva al golfo, lavoravano senza sosta, l’uno perché avessero entrambi di che vivere – le vedute di Didier, simili a delle foto colorate che ogni gentiluomo napoletano avrebbe desiderato avere nel suo salone per gli ospiti – l’altro, del tutto inselvatichito, per poter partire, sulla tela tremante, le sue maestose, apocalittiche allucinazioni […]. Uscivano solo di sera, mano nella mano, per contemplare il golfo e la città proosa, di tufo vulcanico, dove i panni stesi ad asciugare su centinaia, migliaia di corde fluttuavano al vento… Al di sopra si ergeva, si sarebbe detto di vetro, il cono placido del Vesuvio.
M. Cărtărescu , Abbacinante. Il corpo
Ci sono ancora molti punti oscuri nella storia di Monsù. C’è chi sostiene che ci sia addirittura un terzo pittore, chi si ostina a credere che fosse uno solo; chi narra la sua storia, come Cărtărescu, si lascia spesso guidare dall’istinto e dalla fantasia. Dopotutto, se pure imprecisa, o forse soprattutto per questo, la storia di Monsù Desiderio è ancora tra le più affascinanti del Seicento napoletano.
Beatrice Morra
N.B. il nostro articolo è solo un input; per approfondimenti vi consigliamo il testo Le vite di Monù Desiderio, di Fausta Garavini, ed. Bompiani, e una visita a Il Cartastorie, il museo dell’Archivio storico del Banco di Napoli.
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