La Sala d’Africa nascosta nella Biblioteca Nazionale: la storia della duchessa d’Aosta
La sua instancabile voglia di viaggiare e di scoprire la portò a compiere il giro del mondo quando si impiegavano giorni per percorrere lunghe distanze. Si innamorò così di un Paese ancora oggi poco conosciuto e decise di raccogliere tutto ciò che poteva: foto, cimeli, piante, per far conoscere quanto più possibile quei luoghi alla sua Terra d’origine.
Questa è la storia di Maria Elena d’Orléans che portò un po’ d’Africa nella Biblioteca Nazionale di Napoli .
Di nobili origini e considerata una delle donne più belle del suo tempo, sposò il duca d’Aosta. Agli inizi del Novecento soggiornò con il marito nella reggia di Capodimonte a Napoli e, affezionatasi alla nuova casa, vi rimase anche da vedova.
Ma la sua vita non fu mai monotona, la duchessa fu molto impegnata nel sociale. Dopo l’esperienza come crocerossina durate la Prima Guerra Mondiale iniziarono i suoi itinerari in giro per il mondo
Elena viaggiò in Africa, Asia e Australia, collezionò nella sua mente ricordi di luoghi lontani e volle raccontarli all’Italia attraverso fotografie, cimeli e manoscritti. Dei suoi viaggi, infatti, annotò i momenti più significativi e trasse ispirazione per i suoi libri: “Viaggi in Africa”, “Verso il sole che si leva”, “Vita errante”, “Attraverso il Sahara”.
Gran parte delle testimonianze che Elena portò con sé sono oggi raccolte nel prezioso fondo Aosta, donato dalla stessa duchessa nel 1947 alla Biblioteca Nazionale di Napoli.
Alcune sale generalmente non accessibili al pubblico conservano circa 11.000 tra manoscritti e opuscoli, cartine geografiche, fotografie in bianco e nero. Tra tutte spicca la Sala d’Africa, dedicata al Paese dove la duchessa tornò più volte tra il 1907 e il 1911. Oltre al patrimonio librario qui sono infatti esposti trofei da caccia, armi e manufatti che le furono donati dalle tribù che incontrò e animali tassidermizzati. Busti alle pareti, pelli e persino il corpo di un esemplare di leone oggi estinto.
Quest’ultima una scelta che può probabilmente oggi impressionare e andare contro i nostri principi morali, ma in un’epoca in cui i mezzi di comunicazione erano quasi inesistenti e la ricerca ai suoi albori, questo poteva risultare uno dei pochi modi possibili per far conoscere all’Europa specie tanto rare.
Infinte tra i reperti, forse il più affascinanti è un’antichissima iscrizione in alfabeto fenicio ritrovata nel Sahara algerino e databile al primo millennio avanti Cristo. Gli studiosi non sono ancora riusciti a tradurla del tutto, ma è stata interpretata come un verso d’amore.
Elena portò con sé pezzi di vita quotidiana per raccontare nella maniera più vera possibile una cultura distante e tanto diversa da quella europea ma che la incuriosiva e affascinava sempre più. Ancora oggi la sua raccolta riesce a concretizzare il suo vissuto, rendendo più vicino quello che dista da noi migliaia di chilometri.
Laura d’Avossa
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