Le fotografie di Giorgio Sommer sono fra le più importanti e belle testimonianze che ancora oggi ci raccontano com’era Napoli antica.
Fu infatti uno dei più attivi fotografi in Italia nel XIX secolo e ci ha regalato migliaia di testimonianze di strade, persone e panorami che avremmo altrimenti perso per sempre. Il suo studio rimase sempre a Napoli e fu attivo per oltre 60 anni, dai tempi del Regno delle Due Sicilie alla Prima Guerra Mondiale.
La fotografia nel sangue
Sommer era figlio di una famiglia borghese di Francoforte. I genitori desideravano per lui un futuro da imprenditore e lo iscrissero alla facoltà di Economia. Il giovanissimo Sommer aveva però progetti diversi: aveva un grande spirito d’osservazione per i panorami, ma non sapeva disegnare. Fu così che i genitori gli regalarono la prima macchina fotografica quand’aveva appena vent’anni, nel 1851. E da quel momento fu solo amore la fotografia.
Presto decise di abbandonare lo studio e seguire la sua passione lavorando per un atelier locale. La fotografia era un’arte nuovissima e trovare lavoro era abbastanza semplice per un buon tecnico: fu così che ricevette il primo ingaggio ufficiale dalla Confederazione Elvetica: il governo svizzero gli chiese di realizzare alcune fotografie di paesaggi montani per studiare la costruzione di nuove strade e ferrovie.
Fu il primo passaggio, l’inizio di una carriera da fotografo che ha raccontato un mondo che non esiste più.
Ma il giovane Georg era attratto dall’Italia e dall’antichità. Non a caso era nato nella stessa città di Goethe e, proprio come il suo compaesano, sognava di poter fotografare di persona le meraviglie di Roma e di Napoli.
Presto detto: dopo un breve periodo nella capitale dello Stato Pontificio, nel 1856 si trasferì nella città di Ferdinando II di Borbone ed aprì uno studio di fotografia a Salita Chiaia numero 168. Un po’ come accadde con Pitloo tanti anni prima, Sommer si scontrò con le barriere linguistiche e, davanti all’insistenza dei napoletani, cambiò il suo nome da “Georg” in “Giorgio”.
La fotografia, all’epoca, era cosa per pochi. Per scattarla erano necessarie competenze tecniche avanzate e macchine ingombranti che producevano lastre negative di grande formato. Nei primi periodi la tecnica richiedeva esposizioni che duravano anche 10 o più minuti per realizzare una singola foto. Ed era già un passo avanti incredibile, se confrontato con la lentezza di un dipinto.
Molte fotografie “folkloristiche” dell’epoca sono state realizzate in studio.
Eppure i limiti tecnici dell’epoca non fermarono nemmeno per un attimo la passione di Sommer, che portava con sé il suo enorme banco ottico e visitò l’Italia intera per realizzare panorami, da Bologna a Venezia, passando per Genova, Milano, Firenze e Roma, in cui fondò una società con il suo compatriota Edmondo Behles.
Il fotografo tedesco ad esempio ci ha regalato molti panorami di Messina prima che venisse distrutta dal terremoto del 1908, così come sono preziosissime le sue tante fotografie di Catania e Palermo, in cui aprì la succursale del suo studio assieme al figlio.
Una carriera così ricca fu premiata presto, quando ne 1865 fu nominato primo fotografo ufficiale di Vittorio Emanuele II.
Sommer e le prime foto dell’Unità d’Italia, del Vesuvio e del terremoto di Casamicciola
Napoli rimase il centro della vita e delle opere. Nel suo studio vendeva le fotografie scattate durante i suoi tanti viaggi, ognuna realizzata con tecniche e strumenti sempre più raffinati: la scienza della fotografia avanzava rapidamente e si passò in un battibaleno dal dagherrotipo al collodio, arrivando poi alla pellicola che ancora oggi conosciamo. Allo stesso tempo, lo sviluppo dei negativi era un procedimento chimico estremamente lungo e complesso, degno della precisione e della puntualità di un tedesco.
Ma Sommer fu anche fra i pionieri del fotogiornalismo. Dopo ogni evento storico, si fiondava sul posto per documentarlo con le fotografie. Ed ecco che abbiamo immagini dal valore inestimabile sul terremoto che rase al suolo Casamicciola nel 1883 (lo stesso che portò Mercalli a creare la Scala Mercalli), così come abbiamo testimonianze storiche incredibili.
Sommer aveva una attenzione maniacale per i dettagli e per la pulizia dell’inquadratura e, una cosa che si capisce chiaramente nel suo amore per i panorami e i campi larghi.
Fu un precursore anche nella Still Life: lavorò per il Museo Nazionale e li aiutò a documentare, catalogare e vendere immagini delle opere d’arte esposte. Praticamente un modo di mostrare agli altri la fotoricordo di un oggetto visto durante un viaggio, quando erano inimmaginabili i cellulari, Facebook e le fotocamere portatili .
I tedeschi e la fotografia, un amore contagioso
Dopo un’intera vita passata a sviluppare le immagini d’Italia nel suo piccolo studio di Largo Vittoria, Sommer morì a 79 anni. Era il 7 agosto 1914.
Il caso volle che pochi giorni dopo la morte di Sommer un altro tedesco, l’ottico Ernst Leitz, fondò a Wetzlar la Leica, l’industria che ha raccontato il mondo grazie alle sue fotocamere.
-Federico Quagliuolo
Fonti e approfondimenti:
Una bella rassegna delle sue fotografie si può trovare in questo PDF, ad opera di Giovanni Fanelli: clicca qui.
Un archivio immenso è presente nel sito web dei Fratelli Alinari:
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