Tra le tante ricchezze italiane non possono mancare quelle linguistiche, anche legate alle cozze, che a Bacoli sono un’eccellenza millenaria. La varietà dei nostri dialetti è, infatti, una caratteristica rara e preziosa che è importante conoscere e conservare. Proprio grazie a questa ricchezza, capita di spostarsi per la penisola e sentir nominare lo stesso oggetto nei modi più vari.
L’Italiano e i suoi geosinonimi
Avete mai pensato a quanti termini esistono in italiano per definire anche un oggetto semplicissimo come la gruccia per appendere gli abiti nell’armadio? Gruccia è un termine ormai comunemente usato in tutta Italia, ma prima che si affermasse in modo così ampio era usato solo in area toscana. Accanto a gruccia usiamo anche un altro termine molto comune: stampella, ormai usato dovunque ma di origine romana. Ci sono poi forme linguistiche più particolari e meno sentite come appendino, croce e crocetta usate nel sud Italia e attaccapanni, omino e ometto, nel settentrione.
Spesso succede che, a furia di parlare e parlare, alcuni di questi geosinonimi prevalgano su altri e si affermino come forme comuni. Pensiamo, ad esempio, alla parola toscana balocco che oggi suona piuttosto arcaica e desueta, essendo stata quasi completamente sostituita dal veneziano giocattolo.
Cozze e non solo cozze
Un altro caso di questo tipo è la parola cozza, usata oggi in tutta Italia per definire un particolare tipo di mollusco di mare, molto buono “abboffato” (concedetemi il termine) di pepe, ma fino ai primi anni del ‘900 usata solo nel napoletano. Ma facciamo qualche passo indietro.
Il termine cozza deriva dal latino COCHLEAM che significa chiocciola, guscio di lumaca, evidentemente in riferimento alla conchiglia dei molluschi. Una antica e particolare attestazione del termine nella forma cocceche (che più tardi diventerà cozzeche) la ritroviamo nella nota di un commentatore napoletano posta al margine delle Chiose Filippine, un manoscritto che riporta la Divina Commedia di Dante. Il commentatore legge nel testo la parola fiorentina schianze e, non riconoscendola come forma della propria lingua, la traduce nel napoletano cocceche. Per approfondire la questione vi rimando all’accurato articolo di Beatrice Morra: La Divina Commedia a Napoli: quando Dante «teneva ‘e cozzeche»
Mitili, moscioli e peoci
Cozze non è, dunque, il solo modo per definire i nostri molluschi e non è neanche il modo scientifico. Il termine tecnico è, infatti, mitilo dal latino MITULUM, usato già dai Romani per definire alcuni tipi di molluschi. Nelle sue Satire, ad esempio, Orazio scrive che i mitili, affianco ad un bel bicchiere di vino bianco dell’isola di Coo, sono un ottimo lassativo (Hor. Sat. 2.4). Sorvolando volentieri sulla efficacia del trattamento, torniamo a tempi più moderni e, girando per le varie regioni italiane, non sentiremo dire né cozze né mitili. In Veneto, infatti, sentiremo dire peoci (che in dialetto veneto significa anche “pidocchi”), nelle Marche sentiremo mòscioli e in Liguria muscoli.
La fortuna dei muscoli
Il termine muscolo, in particolare, è molto interessante perché è attestato in una area abbastanza ampia dell’Italia centrale (toscana soprattutto) e nord-occidentale fin dal ‘500. Muscolo deriva, tanto per cambiare, dal latino MUSCULUM e da questa forma hanno attinto numerose lingue europee. Pensiamo al francese moules, al tedesco Muscheln e all’inglese mussles.
Anche Fabrizio De André non ha resistito a non citare i muscoli in quello che è, forse, l’esperimento musicale più straordinario del grande cantautore ligure: l’album Crêuza de mä, con le sue canzoni scritte in un musicalissimo e quasi esotico dialetto genovese. Proprio nella canzone che dà nome all’album, Crêuza de mä, alla fine a cantare non è più De André, ma il mercato del pesce di Genova con le sue potenti voci e i suoi rumori. Ad un certo punto interviene una voce maschile, è un pescatore di cozze che in dialetto ligure grida a voce spianata: “arselline, muscoli nostrani, i muscoli spagnoli non prendeteli perché sono molli!”
Muscoli o cozze?
Dai primi anni del ‘900 il termine cozza ha però preso decisamente il sopravvento sugli altri geosinonimi, fino ad affermarsi come termine italiano più comune. Il perché è difficile da definire ed è una questione che lasciamo ai linguisti, ma, alla fine, che la vogliate chiamare muscoli o cozze, l’importante è non mangiarle mai nei mesi con la “r”, come raccomandano le nonne, e che restano senza alcun dubbio tra i piatti più deliziosi delle tavole italiane.
Claudia Grillo
Bibliografia e sitografia:
Paolo D’Achille, L’italiano contemporaneo, Bologna, Il Mulino, 2010
Manlio Cortellazzo, Carla Marcato, Dizionario etimologico dei dialetti italiani, Torino, Utet, 2017
https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/in-liguria-le-cozze-scalzano-i-muscoli/1144