La storia di Giotto e di Napoli sono state intrecciate per molto tempo, tant’è che la sua eredità è presente ancora oggi.
L’ascesa della sensibilità artistica italiana è molto spesso associata al Rinascimento, tuttavia è ingiusto credere che questo sia assoluto, infatti già da due secoli prima, tra il ‘200 e il ‘300, numerosi nobili definiti “mecenati” sovvenzionavano artisti affinchè rendessero onore al proprio casato o alla propria città.
La Napoli angioina non fu da meno e tra i numerosi uomini di cultura e autori artistici ospitò anche il più famoso della sua epoca: Giotto.
Giotto, l’artista innovatore
Si dice che fosse nato a Colle di Vespignano nel 1267, nonostante alcune incertezze riguardo l’anno di nascita, tra chi lo ritiene indicativo e si orienta in un periodo di due anni, chi invece, come Vasari, sposta la data di nascita di Giotto al 1290.
Tuttavia appare improbabile questa versione dato che almeno orientativamente l’autore ha realizzato le sue prime opere intorno ai 20 anni.
Al contrario di moltissime storie di “artisti maledetti“, rinnegati in vita e apprezzati post mortem, Giotto riuscì grazie alle rivoluzioni artistiche da lui condotte ad essere rispettato e ben pagato in vita ed ammirato anche dopo la sua dipartita, avvenuta nel 1337 a Firenze.
La serie aneddotica che lo riguarda è molto particolare, si dice infatti che durante una “selezione” di artisti da parte della Chiesa per commissionare un’opera, ad ognuno dei partecipanti fu chiesto di svelare le proprie abilità con un disegno, nel quale avrebbero dovuto trasmettere la propria arte.
Giotto consegnò una O perfetta.
Quando il delegato papale portò il foglio contenente la O di Giotto a Benedetto XI, il pontefice si rese conto di essere di fronte ad un uomo con un talento superiore e capì che non fosse necessario esaminare ulteriormente il pittore.
Un altro aneddoto su è legato al suo apprendistato, allievo del noto artista Cimabue, Giotto disegnò una mosca su una tela, l’insetto era così realistico che il maestro cercò di cacciarla via salvo poi rendersi conto che l’effetto ottico era dato dalla qualità dello schizzo del suo apprendista, che ormai aveva finito il suo periodo di apprendimento.
Fu per certi versi il primo ad utilizzare tecniche artistiche come la prospettiva e il chiaoscuro.
Giotto alla corte angioina: la convocazione del re
Giotto era già un artista affermato in Italia e in Europa ed aprì una sua bottega con apprendisti che letteralmente pendevano dalle labbra del loro maestro.
Dopo numerosi viaggi per la realizzazione di opere architettoniche e artistiche a Roma, Padova, Ferrara, Assisi, Firenze e Prato, il re Roberto d’Angiò chiamò Giotto nella sua corte a Napoli nel 1328 e grazie alla qualità delle sue creazioni e al legame che avevano stretto lo nominò “famigliare” e “primo pittore di corte nostro fedele“.
Giotto ebbe una grandissima considerazione a corte e formò numerosi maestri che avrebbero contribuito a far crescere il patrimonio artistico partenopeo, come Roberto d’Oderisio e Pietro Ormina.
La nota dolente tuttavia è nella sua impronta diretta nel territorio, infatti, nonostante la sua permanenza fino al 1333, molte delle sue opere sono attribuibili anche ai suoi allievi che lo avevano seguito, come “La lamentazione del Cristo morto” di Santa Chiara e le figure degli “Uomini illustri” a Castelnuovo.
Nonostante poi l’artista abbia lasciato Napoli, la considerazione che la città ha provato per lui, grandemente ricambiata da subito, il rapporto con il re angioino che lo nutrì di titoli e meriti e la sua eredità nella formazione di nuovi esponenti aiutano a far comprendere come e quanto l’uomo Giotto fosse legato a questa terra.
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