“Peter, ma se io dovessi definirti,come dovrei presentarti ai miei lettori?”.
Mi guarda con il suo occhio vispo ed esclama: “Un curioso!”.
E a pensarci bene non c’è un altro aggettivo che potrebbe definirlo meglio. Peter è così! Scrittore, guida, archeologo, studioso di scienze naturali, ma soprattutto un gran curioso. Lo conobbi qualche anno fa: era venuto a recensire il mio locale per la sua guida in tedesco sul Golfo di Napoli e il Cilento. Rimasi affascinato dalla sua infinita cultura e dal fatto che per più di quattro mesi l’anno si trasferisce da Monaco a Giungano dove conduce gruppi di turisti tedeschi in giro per tutto il Meridione.
Tutto ha inizio nel 2008 quando giunto nel Cilento per la sua prima guida, si innamora di questi posti e decide di “trovare casa” o meglio di “cercare un luogo” dove poter trasferire la loro idea di giardino. E fu così che, scrutando dai sentieri di montagna, videro questo luogo immerso nel verde e lontano da altre abitazioni. Era un vecchio casolare abbandonato che loro hanno ristrutturato restituendogli forma e dignità.
Qui, insieme alla sua metà, Gundula, ha creato una piccola oasi di pace e di macchia mediterranea e guardando su Instagram le foto di questo posto stupendo gli ho chiesto di fargli visita per raccontare una storia unica come la loro.
Tutto comincia con un’antica storia d’amore
“Abbiamo liberato tutto noi, non si poteva nemmeno accedere. Avevamo cercato anche tramite agenzie immobiliari, ma loro vendevano case, non vendevano luoghi. La trattativa è stata lunga, ma dopo tre anni siamo riusciti finalmente a coronare questo sogno. Quando siamo entrati per la prima volta” – racconta Peter – “i muri erano tutti anneriti dal fumo del camino e man mano, pulendo, abbiamo ritrovato questi disegni sulle pareti.
Zia Chichina, l’antica proprietaria del casolare, era innamorata di un bel ragazzo, ma l’amore era osteggiato dal padre. Questo ragazzo è partito in guerra e non è mai più tornato. Lei ha trascorso la sua vita in questo casolare, dove nessuno poteva entrare. Si era chiusa qui, insieme al suo dolore e da questa finestra guardava il mare, in attesa del ritorno del suo amato. Molto probabilmente uno di questi disegni potrebbe rappresentare lo sbarco degli Alleati, perché è visibile una grande nave battente bandiera e altre imbarcazioni più piccole intorno. Sulla parte opposta della parete, invece, un altarino dell’epoca, disegnato e colorato con l’azzurro, a richiamare il colore mariano”.
Quanti pistacchi ci sono?
Resto incantato non solo dal luogo, ma anche dal racconto di zia Chichina e nel frattempo mi dirigo sul terrazzo per vedere il mare e capire quanto possa essere lontana da qui la spiaggia di Agropoli. Mi affaccio e vengo rapito dalla ricca vegetazione e da una strana pianta, molto rigogliosa e verde. Chiedo a Peter di cosa si tratta. Ebbene è un pistacchio. Non l’avrei mai detto e lui mi spiega che “esistono tre specie di pistacchio: il primo Pistacia Vera, quello che mangiamo spesso, originario della Persia e che nel Medioevo è stato anche impiantato in Sicilia dagli Arabi; il secondo è il Pistacia Terebinto, da cui si ottiene una specie di latte utilizzato per lucidare legno pregiato; il terzo, invece, viene denominato Pistacio Lentiscus o Mastice, proprio perché da esso si ottiene una sostanza più appiccicosa utilizzata per attaccare le barbe finte. Nell’antichità, invece, veniva utilizzato per chiudere le ferite, oppure, se masticato rinforzava le gengive”.
Resto di sasso e gli chiedo come faccia a sapere tutte queste differenze su una sola pianta. Mi risponde che tutto deve partire dallo studio del paesaggio circostante, perché è ciò che ci è stato lasciato dai nostri antenati e che ha formato quest’Europa.
“Se guardo il dato totale sull’abbandono delle terre lo so che è deprimente, ma mi rincuoro guardando il dettaglio. Questa è la mia idea di turismo: uscire da casa propria con gli occhi aperti”.
Peter e Gundula, cittadini d’Europa in Cilento
Peter dopo un’infanzia in Romania e una fanciullezza in Germania, inizia il lavoro di guida turistica nel 1993, realizzando viaggi culturali in Sicilia, Campania, Molise, Basilicata e Puglia. Sono gli anni in cui si appassiona enormemente al Sud Italia, fino a scoprire le bellezze del Cilento. Ne resta incantato e per questo il “leitmotiv” di tutte le guide che ha scritto sul Sud Italia, è stato sempre quello di far innamorare di questi posti prima di tutto le persone del luogo e poi quello di creare una rete tra produttori, al fine di far comprendere al turista che i motivi per tornare al Sud sono infiniti.
La mattinata scorre veloce e ci ritroviamo a tavola, dove, quasi per magia, Gundula, che in Germania è insegnante in due università di musica barocca, ci rinfranca con dei manicaretti buonissimi.
“Qui a Giungano abbiamo trovato il nostro rifugio” mi racconta mentre apprezziamo il pane di grani antichi del panificio di Trentinara “Cilento e Tradizione”; i formaggi di capra della “Fattoria Cavallo” di Capaccio (un luogo ameno, gestito da giovani che hanno deciso di non perdere l’eredità del nonno, ma di continuare a vivere a contatto con la natura) accompagnati da una confettura di fichi e semi di senape schiacciati e una marmellata di limoni, tutte fatte da lei. Gundula stupisce ancora con un limone tagliato a metà, svuotato e utilizzato per ospitare un bocconcino di bufala di Polito e un pomodoro, il tutto infornato per pochi minuti e accompagnato dalla sapidità e dalla territorialità del Fiano di Luigi Maffini.
Se è un sogno non mi svegliate!
Un terrazzo immerso nella pace e nel silenzio di Giungano, il mare di fronte a me e l’enogastronomia cilentana a suggellare questo incontro.
Il pasto che era stato presentato come “frugale”, ma che di questa frugalità ne godrei per tutta la vita, continua con un altro Fiano che Peter vuole farmi assaggiare, quello di Cantina Rizzo di Felitto. Dorato carico, un vino che non si beve, ma si mastica, che si discosta dai canoni del “dover piacere” e racconta l’altro Cilento, quello impervio, nascosto e nerboruto.
Un giardino meraviglioso
Finiamo di chiacchierare serenamente e scendiamo in giardino. Finalmente posso vedere da vicino tutta la bellezza ammirata in foto.
“La nostra idea di giardino ha bisogno delle montagne che abbiamo intorno, perché cerchiamo di ricostruire qui, ciò che vediamo intorno a noi. L’uomo non è più l’orso che si trova la tana, ma abbellisce ciò che lo circonda. L’uomo, per natura, è uno che crea e la sua creatività può essere in sintonia con il paesaggio circostante o meno, ma se accetti la regola, questa ti dà libertà. Il nostro tentativo è di lavorare con la natura, non contro di essa!”.
Passeggiamo nel giardino mediterraneo, tra piante di pistacchio, di mirto, di rosmarino, di elicriso e di tante altre piante che non necessitano di abbondante acqua, sia perché loro sono qui pochi mesi all’anno, sia per lasciare intatto il contesto. Si limitano a potarle, così come fanno le capre in natura e allora si fidano, perché vuol dire che funziona.
D’un tratto mi ritrovo in un piccolo boschetto, circondato da alberi di leccio, ma disposti in maniera circolare e razionale e non alla rinfusa e Peter mi spiega che lì ha voluto ricreare un luogo che in tedesco si traduce con “hain”, un boschetto, un luogo considerato sacro anche nell’antica Grecia, così come ci sono testimonianze a Paestum. Erano altarini, circondati da alberi. E tutto ritorna, perché questo giardino, Peter e Gundula, hanno voluto chiamarlo “il giardino di Hera”. E, infatti, alla foce del Sele hanno ritrovato i resti di un Santuario poco lontano dalla città di Paestum dedicato a Hera, moglie di Zeus, protettrice del matrimonio, ma principalmente della vita vegetale.
Una leggenda in ogni pianta
Qualche altro passo e mi imbatto in una pianta ormai secca e chiedo il motivo a Peter: “Non è secca. È l’asfodelo. Sta vivendo sotto terra adesso”. Mi sembra di non capire e incalzo Peter che sfoggia il meglio di sé in quest’ultimo racconto che davvero mi emoziona: “Il mito è una forma poetica per raccontare anche il perché di una pianta. Omero utilizzò l’asfodelo per descrivere l’aldilà, ma per capire al meglio questa pianta devo raccontarti del ratto di Persefone, figlia di Demetra, la quale aveva il compito di dare fertilità alla terra. Ade, il dio degli inferi, la rapisce. Passano due anni e Demetra, alla ricerca di sua figlia, non bada più alla fertilità della terra. La terra soffre e ad un tratto inizia a gridare talmente forte da infastidire Zeus, il dio dell’Olimpo. A questo punto Zeus libera Persefone, la quale nel frattempo non solo era diventata la moglie di Ade, ma aveva anche mangiato una melagrana. Essa, in Europa, è simbolo di fertilità, ma nel pensiero greco una cosa ha sempre il suo risvolto e quindi era simbolo di vita, ma anche di morte. Ed è proprio per questo che si raggiunge un compromesso che ti aiuta a capire l’asfodelo e una buona parte della vegetazione mediterranea: nei sei mesi dell’anno (autunno e inverno) che passava nel regno dei morti, Persefone svolgeva la stessa funzione del suo consorte Ade, cioè governava sull’aldilà; negli altri sei mesi (primavera ed estate) Persefone ritornava sulla Terra da sua madre Demetra, facendo rifiorire la terra al suo passaggio. La vita è ciclica e questo mito ce lo insegna.
Ecco perché questi miti possono funzionare bene qui, nel Mediterraneo perché vengono capiti con l’esperienza concreta. In Germania non funzionerebbero, perché è troppo freddo d’inverno e non abbastanza caldo d’estate”.
Guardo Peter con occhi pieni di ammirazione, gli stessi occhi che, sono sicuro, in questo momento avete anche voi per il lavoro e il sapere di quest’uomo.
Li saluto con la consapevolezza che oggi, per il mondo, ho perso tempo, ma in realtà, sono ricco, molto più ricco di quando sono partito.
Grazie Peter! Grazie Gundula!