Immaginiamo, anche solo per un attimo, di poterci trovare davanti alla possibilità di immergerci in prima persona fra le strade di Napoli di cent’anni fa. Questa non è fantasia, ma la possibilità offerta dal gigantesco Archivio Carbone, con i suoi oltre 500.000 negativi ancora da scansionare.
Si tratta di una vera e propria miniera di pellicole dal contenuto misterioso, in quanto è stato digitalizzato poco meno del 10% dell’intera collezione. Le operazioni di recupero sono gestite dai componenti dell’associazione Riccardo Carbone Onlus: Renato Carbone, figlio di Riccardo, Letizia Del Pero, Federica Nicois e Giovanni Nicois, che gestiscono l’Archivio, e i fondi per i lavori arrivano grazie all’”adozione” dei servizi o mediante crowdfunding e donazioni.
Archivio Carbone: una macchina del tempo in una stanza
Molti immaginano gli archivi come un’immensa biblioteca da film di Dan Brown. In questo caso la realtà è spesso deludente, risponderebbe il buon Thanos. Almeno in apparenza.
Tutto l’archivio Carbone è infatti raccolto in una piccola stanza di pochi metri quadri, a Via Toledo 406, capaci di raccogliere i ricordi di una vita intera del fotografo Riccardo Carbone, che consumò chilometri di pellicola fra il 1922 e il 1973. Raccontò con le sue fotografie tutta la storia d’Italia, ma specialmente fu attivo nella sua Napoli. D’altronde, in un articolo da lui scritto nel 1942 spiegò il suo legame con la città natale.
“Tutti i personaggi più importanti del mondo prima o poi passano per Napoli. Questa è la città che ha dato il primo saluto pieno di sole a tutti i visitatori della nostra Italia”
Riccardo Carbone
Per attivare la sua specialissima macchina del tempo c’è un procedimento specifico: innanzitutto si consultano i registri cartacei annotati minuziosamente da lui, in cui sono annotate tutte le informazioni legate ai suoi servizi fotografici: dalla data al numero della busta al titolo. Sul sito web i volontari della Associazione Riccardo Carbone Onlus hanno già trascritto tutti i registri delle pellicole, ma la stragrande maggioranza dei servizi è ancora da popolare con le fotografie in digitale. Una volta individuato il servizio desiderato, si posizionano i negativi sul tavolo luminoso e, con la magia della fotografia analogica, compaiono i fotogrammi da poter analizzare con una lente d’ingrandimento.
Dentro l’Archivio Carbone si viaggia così dalla missione dei militari italiani sull’isola di Corfù nel 1923, con tanto di immagini degli ufficiali che posano assieme al pope, arrivando agli scugnizzi che fanno il bagno nella fontana della Sermoneta, senza dimenticare i momenti indimenticabili dell’ultima festa della ‘nzegna a Santa Lucia.
Ogni pellicola è una sorpresa, in quanto di 36 pose (o 12, nel caso delle medio formato), solamente una o due venivano vendute ai quotidiani. E tutte le altre fotografie, che magari non furono pubblicate, rimasero comunque custodite da Riccardo Carbone e poi dal figlio Renato. Ecco ancora allora che compare una insospettabile Sophia Loren, di appena 15 anni, che compare fra i volti delle candidate ad un concorso di bellezza.
All’epoca era ancora sconosciuta e, infatti, non compare il suo nome nel registro dei negativi compilato con precisione certosina dal fotografo.
Riccardo Carbone e la sua storia: una vita in anticipo
La vita di Riccardo Carbone può riassumersi così: una continua corsa per l’anticipo. E, come accadde a tantissimi talenti, inizialmente nemmeno doveva fare il fotografo.
Nacque a Napoli nel 1897 in zona Mercato. Frequentò la facoltà di chimica fino al terzo anno, quando capì che non era affar suo la carriera in un laboratorio convenzionale.
Una cosa, però, l’aveva appresa dalla sua esperienza chimica: l‘arte dello sviluppo fotografico e dei bagni dei negativi in camera oscura. E fu così che decise di dedicarsi alla fotografia amatoriale.
Paolo Scarfoglio, che era un amico della famiglia Carbone, decise quindi di assumere il giovane ventenne nel suo quotidiano. E cominciò la carriera come fotogiornalista.
Il lavoro del fotoreporter, oggi nel mondo digitale e ieri ancor più nel mondo analogico, è tutto nel gioco d’anticipo, come un buon difensore in una partita di pallone. Era necessario capire in anticipo dove si sarebbe trovato il bersaglio del servizio, scattare in anticipo la fotografia prima della partenza di un treno o nell’unico istante, consegnare in anticipo i negativi, perché la concorrenza non dovrà mai essere più veloce di te. Sbagliato uno di questi tre passaggi, la punizione è severissima: non si porta il pane a casa. E non esiste sfortuna o casualità che possa giustificare il fallimento.
Ci perdonerà il buon Riccardo per l’inglesismo: amava la lingua italiana e lui stesso si definiva “fotocronista”, correggendo chi lo definiva “fotoreporter”.
Una vita di avventure
Negli anni ’30 non c’erano infatti le raffiche di scatti o gli esposimetri automatici moderni: il fotoreporter doveva essere un cecchino. One shot. E immaginiamo l’ansia se questo colpo te lo devi giocare con un evento storico come la visita di Hitler a Napoli.
Sprecato il colpo in canna con la fotografia mossa o con un frame fuori fuoco, il servizio è andato a farsi benedire.
Lo sapeva bene il buon Riccardo, che cercava di conquistare i suoi bersagli con la fantasia. Ad esempio lui stesso raccontò in una autobiografia sul Mattino che, per fotografare il passaggio di Trotzkij a Napoli, rimase per un’intera notte d’inverno acquattato su una piccola nave da pesca assieme ad un amico. Poi, appena vide le prime luci del giorno, si avvicinò alla barca del rivoluzionario russo fingendosi pescatore e nascondendo la macchina fotografica. Notò che la porta della cabina di Trotzkij si stava per aprire, spostò l’amico che copriva la macchina fotografica e scattò la fotografia in una frazione di secondo, prima che il bersaglio riuscisse a coprirsi il viso. Poi scappò in redazione. Di storie avventurose ne ha raccontate a centinaia, dalle feste a Capri da “imbucato” passando per eventi sportivi, guerre e feste popolari. Era il maestro dei costumi ed un giorno andava in frac alla prima del San Carlo e il giorno dopo lo si trovava nel mezzo di Piedigrotta e poi ancora nelle campagne del Salernitano. Non sfigurava mai, sempre con l’abito e l’atteggiamento adatto.
Dopo il servizio cominciava la corsa per consegnare i negativi alla redazione: per documentare una cerimonia del Duce a Messina, studiò la coincidenza di un treno postale che partiva 7 minuti dopo la fine dell’evento. Nell’epoca dei treni che partivano in orario, il fotografo fu costretto ad una corsa a perdifiato fino alla stazione. Il treno stava per cominciare la marcia e lui, con uno slancio da centometrista, lanciò il pacchetto con i negativi all’interno del vagone postale. Poi si agganciò con le ultime forze ad un vagone merci, in cui viaggiò scomodissimo fino a Napoli. Servizio salvato.
L’Italia, il buon Riccardo, l’ha vista in ogni sua espressione proprio negli anni più difficili del XX secolo. Tutti eventi che troviamo oggi nell’Archivio Carbone e che devono essere ancora scoperti.
Il fotocronista napoletano ha continuato a vivere avventure incredibili fino a 70 anni. Poi, raccolti e catalogati i suoi 500.000 rullini, dopo la morte ha lasciato un’eredità immensa allo stesso mondo che ha raccontato in 50 anni di onorata carriera.
Questo è l’Archivio Carbone, creato dalla volontà del figlio Renato, che oggi si sostiene grazie alle donazioni. È possibile sostenerlo tramite questo link.
-Federico Quagliuolo