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L’ elegante galleria Principe di Napoli non è sempre stata come ci appare oggi, bensì ha origine tutt’altro che elegante: il terreno su cui sorge era un deposito di grano in una zona un tempo periferica di Napoli, che ha subito moltissime modifiche nel corso dei secoli.

Le fosse del grano

La prima traccia della storia di quell’ area di Napoli che ci giunge fino ad oggi risale alla seconda metà del ‘500: don Pedro de Toledo, che in quel periodo stava mettendo in atto un’ampia gamma di progetti di ristrutturazione urbana, quali la famosa via Toledo e la pavimentazione di buona parte del centro cittadino, prese la decisione di costruire un’ampia riserva di grano per la città, che doveva essere subito fuori le mura, per una rapida reperibilità del materiale e per facilitarne la difesa.

Il progetto originario fu affidato a Giulio Cesare Fontana, figlio del famoso Domenico Fontana, a cui si deve anche la struttura originaria dell’ Università di Napoli, edificio che diventerà, nel 1777, il Museo Archeologico Nazionale. Il successivo ampliamento delle riserve di grano avvenne nel 1587, ad opera dell’ ingegnere Giovanni Vincenzo Della Monica. Nacquero così le “fosse del grano“, chiamate in tal modo perchè probabilmente sfruttavano dei naturali avvallamenti del terreno.

Nei primi anni del ‘600, le fosse subirono altre modifiche ad opera di altri costruttori, venendo ampliate e vedendo sorgere dei depositi. Nelle vicinanze sorsero le chiese e i rispettivi conventi di San Giovanni Battista delle monache e Santa Maria di Costantinopoli, da cui prenderà il nome la via in cui la chiesa si trova tutt’oggi.

Le fosse del grano nel 1627, grazie al sito palazzi di Napoli

Le fosse del grano servirono la città per quasi quattro secoli, fino a che, nel 1804, fu abolito il monopolio annonario. I depositi persero la loro funzione originaria e furono successivamente adibiti a caserma militare e prigione.

I progetti del 1800

Nel 1848 si cominciò a pensare di abbattere quelle vecchie strutture per sostituirle con un nuovo parlamento, in occasione della concessione di un governo costituzionale, ottenuta a seguito delle rivolte. Tuttavia non fu fatto nessun progetto concreto.

Nel 1853, fu l’ architetto Gaetano Genovese a decidere le sorti di quel terreno: vi fu un vasto abbattimento, non solo dei depositi, ma anche dei fatiscenti edifici circostanti, ad eccezione delle chiese, per un’espansione di via Toledo, che portò a tracciare la nuova “via delle fosse del grano“. Fu abbattuta anche Porta Costantinopoli, creata tempo prima da don Pedro. A partire da quell’ anno, vennero proposti numerosi progetti, dalle varianti e dai costi più disparati, tra cui la possibilità di costruire un ampio parco davanti al Museo Archeologico, ma nel 1856 i lavori si interruppero.

Parco galleria principe
Il progetto, mai realizzato, di un parco davanti al Museo

Dopo l’ Unità, si sentì nuovamente bisogno di cambiamenti: via delle fosse del grano fu ribattezzata “via del Museo Nazionale” (successivamente diventerà via Pessina) e furono avviati dei nuovi progetti per la zona circostante il Museo, come la costruzione, nel 1864, dell’ Accademia delle Belle Arti. Nel 1868 fu approvato il progetto che ha dato origine ad un nuovo assetto viario della zona, che è quello che vediamo oggi.

La costruzione della galleria

Tra il 1870 ed il 1883, gli architetti Breglia e De Novellis progettarono e costruirono la prima galleria commerciale della città, l’ elegante galleria Principe di Napoli, che sarebbe dovuta essere uno dei “salotti buoni” dell’ alta società napoletana. Ma ciò non avvenne senza difficoltà: dovettero creare dei grossi cantieri per riadattare radicalmente l’ area, in linea con quanto stava accadendo con buona parte del centro storico.

Cantiere galleria
Il cantiere della galleria, 1870 circa. Da: Archivio Alinari

La galleria avrebbe dovuto avere quattro ampi corridoi e ad ognuno di essi doveva corrispondere un arco d’accesso. Sarebbe stato possibile solo abbattendo la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, che si trovava proprio in mezzo al cantiere. Ci fu una forte opposizione, che impedì l’ abbattimento della chiesa. Il compromesso fu trovato integrandola nella struttura, al costo di uno dei corridoi, che avrebbe costituito il quarto braccio della struttura a croce.

Galleria Principe di Napoli
Galleria Principe di Napoli vista da piazza Museo
Interno della galleria
Interno della galleria

La galleria, nata come nuovo centro commerciale cittadino, alle porte del centro storico, ricalca il gusto architettonico tipico dell’ epoca, con un soffitto in vetro e acciaio e una distesa di pavimenti in marmo, che sarebbe stato adoperato molto più in grande, nella costruzione della galleria Umberto I , qualche anno dopo. Il termine della costruzione di questo dispendioso progetto è tra i primi atti del Risanamento, che vide la sua massima espressione al seguito dell’ epidemia di colera che colpì la città sul finire dell’ ‘800.

Tuttavia, il destino della galleria fu sempre travagliato. Nel 1965, il crollo di una delle facciate fu tra gli eventi che fecero attribuire a Napoli il soprannome di “città di cartone“, in relazione alle costruzioni e ricostruzioni postbelliche di scarsa qualità.

La galleria oggi

Quello della galleria Principe fu sempre un ambiente apparentemente distaccato dall’ area circostante, mai pienamente integrato e non fu aiutato dalla posizione, oggi un incrocio molto trafficato e con un passeggio rivolto prevalentemente al raggiungimento della più vivace via Toledo. La galleria fu soggetta ad un crescente livello di degrado ed abbandono, finchè non fu chiusa al pubblico per lungo tempo.

Tra il 2007 e il 2009 ci sono stati dei lavori di restauro, grazie ai quali la galleria è stata riaperta, alcuni anni dopo. Oggi i suoi corridoi sono privi di negozi e gli appartamenti dei piani superiori ospitano prevalentemente uffici. Al contrario, la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, già vincitrice della sfida del Risanamento, accoglie ancora fedeli e turisti, ed è rimasta attiva e visitabile.

-Leonardo Quagliuolo

Per approfondire:

Palazzidinapoli.it

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