Lucrezia d’Alagno: una bellissima “trezza bionda“, grandi e profondi “occhi negri“, movimenti aggraziati come quelli di una “ninfa” e un’intelligenza straordinaria che svegliava ogni attenzione. Fu una donna tanto straordinaria da far perdere la testa ad Alfonso d’Aragona, all’epoca degli uomini più potenti d’Europa.
Aveva appena 18 anni quando incontrò per la prima volta Re Alfonso, che invece aveva ben 54 primavere. Bastò uno sguardo per far scoppiare una passione talmente intensa e travolgente che convinse il re a fare qualsiasi cosa per assecondare voglie, desideri e bisogni della sua giovane amante che riuscì ad ottenere un potere pari a quello del sovrano, pur non ottenendo mai la corona.
La sua vita, però, finì tragicamente.
Un incontro fortuito nella festa dell’amore
Il 23 giugno era l’occasione della festa di Giovanni Battista, che dalle parti del Mercato angioino di Napoli si festeggiava con un solenne corteo composto da popolo e Sedili nobiliari.
Era una festa di origini pagane che, di notte, terminava con un festoso bagno a mare e, di giorno, con la ricerca di un marito da parte delle donne: le giovani portavano una piccola piantina d’orzo o di grano da offrire al proprio innamorato che, in caso di interesse, rispondeva con un piccolo dono.
Quel 23 giugno 1448 il re Alfonso d’Aragona, che cinque anni prima era entrato a Napoli, aprì il corteo. Il sovrano catalano amava passeggiare fra le strade del popolo ed era particolarmente appassionato di cortei e feste solenni: cercava ovunque andasse eleganza, sfarzo e grandi banchetti, anticipando di un secolo le mode rinascimentali.
Si avvicinò alla sua regale figura una giovane ragazza dai lineamenti incantevoli e dalla presenza quasi mistica. Alfonso fermò l’intero corteo per osservarla mentre, con gesto quasi naturale, gli offrì una piantina d’orzo. Era un segno.
Il sovrano, sorridendo le diede alcune monete d’oro per ricambiare il suo gesto: queste monete erano soprannominate “Alfonsini“ perché c’era l’effigie del re. Fu così che Lucrezia d’Alagno ricambiò il sorriso e, con le mani piene d’oro, rispose: “Di Alfonso me ne basta uno“. Fu amore.
Anzi: “Un amore miraviglioso“, per dirlo con le stesse parole del re.
L’amore tanto miraviglioso
Alfonso d’Aragona volle subito indagare sull’identità della giovane ed ottenne subito le informazioni desiderate: si era da poco trasferita a Torre del Greco ed era figlia di una famiglia della nobiltà originaria di Amalfi appartenente al sedile di Nido: Cola d’Alagno, il padre era un ex dignitario del potente re Ladislao, insignito di diversi.
Per amore Alfonso si trasferì per lungo tempo a Torre del Greco, dove fece ristrutturare una torre, oggi sede del Municipio, e regalò un giardino intero alla sua amata, che ancora oggi si chiama Orto della Contessa.
Queste storie sono raccontate da Loise de Rosa, uno dei più informati cronisti dell’epoca angioina e aragonese, era un “mastro di casa” che prestò servizio per 80 lunghi anni presso le famiglie nobiliari e le corti reali: fu un grande “inciucione” del suo tempo, per dirla in modo semplice, e raccolse tutte le sue memorie in un libro.
Una regina senza corona
Lucrezia d’Alagno aveva in pugno il cuore e l’animo di Alfonso. L’intera corte di Napoli celebrava la sua bellezza in poemi, sonetti e racconti e la donna raccolse un tesoro di “molte centinaia di migliaia di ducati“, oltre ad aver avuto in dono San Marzano, Caiazzo, Somma Vesuviana e addirittura il Castello Aragonese e l’intera Isola d’Ischia. Si diceva che per ottenere una raccomandazione bisognava parlare prima con lei
La moglie di Alfonso il Magnanimo, Maria di Castiglia, era sterile e separata fisicamente dal re: viveva infatti fra Castiglia e Catalogna e faceva gli interessi del marito dall’altro lato del Mar Tirreno. La donna, negli anni ’50 del XV secolo, era molto stanca e malata e il re sperava che morisse in modo naturale. Poiché tardava a morire, il re catalano escogitò un diverso stratagemma: mandare Lucrezia d’Alagno in visita dal Papa, per chiedere l’annullamento del matrimonio.
Callisto III la accolse, ma diede picche. Lucrezia tornò amareggiata e sconfitta: bisognava solo sperare nella morte della moglie di Alfonso. Ironicamente, la moglie del re morì nel 1458, sei mesi dopo la dipartita del marito.
La tragica fine di Lucrezia d’Alagno
Dopo la morte del suo regale protettore, cominciarono guai serissimi per la bella Lucrezia, che ormai di anni ne aveva circa 38. La corte aragonese la odiava e la temeva, ma nessuno le aveva mai torto un capello: era il momento della vendetta. E il figlio illegittimo di Alfonso, Ferrante, odiava la potente amante del padre, che vedeva come una ulteriore minaccia per il suo potere già logorato dalla guerra con il cugino Giovanni d’Angiò e contro i nobili napoletani.
Il nuovo re di Napoli fu spinto dalla famiglia Sanseverino nella crociata contro Lucrezia d’Alagno, dato che Roberto Sanseverino era desideroso di demolire la potente contessa (e magari prendere i suoi territori).
A demolire ulteriormente la figura della donna ci pensò Giovanni Torella, suo cognato, che diffuse la voce che Lucrezia d’Alagno stesse appoggiando la fazione angioina sia economicamente che logisticamente, fino a consegnare l’intera isola d’Ischia a Giovanni d’Angiò. Fu proprio nei mari dell’isola che, nel 1465, ci fu la battaglia finale che sancì la vittoria di Ferrante. Nessuno, nemmeno la famiglia, protesse l’antica amante di Alfonso.
Il nuovo re aragonese, una volta ristabilita la pace, fece un’offerta a Lucrezia: o la morte o un esilio in Puglia per tutta la vita con una pensione di 300 ducati al mese. Lei rifiutò con sdegno e se ne andò a Roma chiedendo aiuto alla sorella, ma visse in miseria.
Morì nel 1479, sulla soglia dei 50 anni, il giorno dopo aver chiesto aiuto per l’ennesima volta invano a suo nipote che, con tragica ironia del destino, si chiamava proprio Alfonso.
Fu una storia degna di una tragedia greca: dopo aver quasi toccato la corona di Napoli, finì nella miseria più nera. il tarocco della torre rappresentato in una donna.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Treccani
https://www.historiaregni.it/ferrante-daragona-la-battaglia-ischia/
Gio. Antonio Summonte, Historia della città e del Regno di Napoli, Antonio Bulifon, Napoli, 1671