Mi pare Pascale Passaguai!

Quante volte abbiamo sentito all’ombra del Vesuvio questa esclamazione, quando si parla di una persona negativa, lamentosa e sfortunata che passa ogni sorta di guaio. Un personaggio che, poi, nel Nord Italia, è diventata la ben più recente nuvoletta di Fantozzi.

Si tratta probabilmente di un personaggio realmente esistito verso la fine del XIX secolo nella compagnia di Antonio Petito, il pazzo personaggio che diventò famoso per essere il più famoso fra gli interpreti di Pulcinella, che tirava scherzi cattivissimi ai suoi compagni di avventura.

Pascale Passaguai, un personaggio di teatro

Probabilmente il buon Pascale Passaguai era in realtà Pasquale Barilotto, uno dei personaggi delle tante commedie di Petito. Era interpretato spesso dal fratello del Pulcinella, Davide Petito, ed era una sorta di “paperino” napoletano: un personaggio del tutto ordinario, sfortunato fino all’inverosimile, lamentoso e vittima degli eventi, nato per essere preso in giro dagli spettatori.

Paradossalmente, se diverse farse e commedie di Petito finirono per lo più nel dimenticatoio collettivo, non si può dire lo stesso per Pascale Passaguai, che invece è sopravvissuto nell’immaginario popolare proprio perché capitano a tutti quei periodi talmente storti in cui sembra non andarne una giusta, proprio come al povero Pascalotto.

In tal proposito c’è una persona che ebbe una vita davvero sfortunata e sopravvive in un detto popolare meno comune, ma ben più concreto: Maria d’Enghien, storpiata in Maria Vrenna.

Maria d'Enghien
Maria d’Enghien in un ritratto che probabilmente la raffigura, Duomo di Galatina

Tene ‘a ciorta ‘e Maria Vrenna

Quest’altro proverbio si riferisce a una persona sfortunatissima, ma davvero in modo tragico: la contessa di Lecce Maria d’Enghien, terza e ultima moglie di re Ladislao.

In realtà era in origine nemica di suo marito, letteralmente: nel 1406 si trovava infatti a Taranto ed era moglie di Raimondo Orsini Del Balzo, il principe di Taranto che riuscì a unificare l’intera Puglia sotto il suo feudo. Questo potere però non piaceva affatto all’ambizioso Ladislao, che tutto desiderava tranne che trovarsi nuovi contrasti interni. Fu così che, dopo l’assedio della città e la morte del precedente marito, la donna sposò proprio il re di Napoli.

Tutti le sconsigliarono il matrimonio con un uomo notoriamente violento e fedifrago, ma lei disse: “pure si moro, moro regina“. Parole che lasciavano intendere un’ambizione sconfinata anche da parte di lei: rispetto a Ladislao, che voleva diventare il primo re d’Italia, a lei bastava essere regina di qualsiasi luogo. Le cose però andarono in modo davvero disastroso.

Se infatti nell’immaginario collettivo essere regina è un gran privilegio, non si può dire lo stesso per la povera Maria che, dopo il matrimonio con Ladislao, fu costretta a convivere per sette anni con le numerose amanti del re, fino alla sua morte improvvisa. Poi, quando salì al potere Giovanna II, le cose andarono ben peggio: perse tutti i titoli nobiliari, fu chiusa in carcere e torturata finché, due anni dopo, riuscì a tornare nella sua Lecce, dove rimase fino alla morte, che di certo non avvenne con gli onori di una regina.

-Chiara Sarracino

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