Tra Napoli e Portici, come testimonianza dell’antico splendore del regno di Ferdinando II, si erge oggi il Museo di Pietrarsa. Proprio a Pietrarsa infatti nacque il primo nucleo industriale della storia d’Italia.
La storia
Secondo il progetto di Ferdinando II, Napoli doveva raggiungere livelli altissimi negli ambiti tecnologici e scientifici, in particolare il sovrano scelse di puntare sul settore ferroviario. Fu così che il 3 ottobre 1839 venne inaugurata la prima strada ferrata d’Italia. Era lunga 7.411 metri e congiungeva Napoli a Portici. L’anno dopo venne acquistata la prima parte del terreno dove sarebbe sorto il complesso di Pietrarsa, luogo in cui Napoli avrebbe potuto realizzare e riparare le proprie locomotive diventando per la prima volta indipendente dalle fabbriche inglesi e francesi che, all’epoca, erano le uniche industrie capaci di gestire le nuove tecnologie di viaggio. Dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia la fabbrica perse lentamente la sua importanza e la produzione di treni venne delocalizzata, finché nel 1975, le Ferrovie dello Stato chiusero ufficialmente Pietrarsa. Oggi però, in ricordo di quegli anni d’oro, sui binari di Pietrarsa sorge un museo di fama internazionale e ha inizio un’altra storia.
La Bayard
L’ambizioso progetto della ferrovia era dell’ingegnere francese Bayard da cui prese il nome una delle prime locomotive a percorrere la Napoli-Portici. Oggi al museo di Pietrarsa è conservata una riproduzione perfettamente funzionante della Bayard costituita da più carrozze. Oltre alla locomotiva, infatti, sono presenti la carrozza della prima classe, detta anche la carrozza reale, seguita dalla carrozza della seconda classe, originariamente provvista sui sedili di cuscinetti in paglia che spesso pungevano i passeggeri a bordo. La carrozza della terza classe, invece, non comprendeva il tettuccio e i passeggeri venivano avvolti dal fumo proveniente dalla locomotiva. Infine i cani da caccia di Ferdinando II avevano un vagone, il quarto, appositamente costruito per il loro trasporto.
La collezione del Museo di Pietrarsa
Camminando nel Museo di Pietrarsa sembra a compiere un viaggio indietro nel tempo. Le sale dove un tempo lavoravano oltre 1000 operai oggi ospitano 55 rotabili storici: sono conservate locomotive, carrozze, macchinari, modelli e plastici ferroviari. In particolare nel padiglione destinato alle locomotive, queste sono disposte in ordine temporale, partendo dalla Bayard fino all’ultima che risale alla prima metà del ventesimo secolo. Sulle targhe di ciascuna locomotiva sono segnate due numeri: le prime tre cifre rappresentano il modello, le ultime tre il numero di serie.
Uno dei pezzi più noti e affascinanti conservati al Museo di Pietrarsa è l’antico treno per i viaggi del re, commissionato alla Fiat negli anni ’20. Era dotato di tecnologie modernissime e disponeva di tre carrozze curate nei minimi dettagli: una per la regina, una per il re e la sala da pranzo. La carrozza del re è andata perduta nel secondo conflitto mondiale, ma ancora oggi è possibile vedere le altre due. Il lussuoso allestimento interno fu opera dell’architetto Giulio Casanova e comprendeva ricche decorazioni in oro e ottone. Con la fine della monarchia, vennero apportate alcune modifiche alle decorazioni, eliminando i riferimenti alla Casa reale e al regime fascista. Nacque così il nuovo treno presidenziale, consegnato nel 1948.
Negli antichi padiglioni dell’opificio borbonico sono conservati anche alcuni dei primi treni elettrici della storia delle ferrovie italiane. In quegli anni i macchinisti iniziarono a soprannominare i vari treni sulla base delle loro particolarità. A Pietrarsa si trovano, per esempio, la Vipera così chiamata per la sua forma allungata, la Tartaruga, che raggiungeva 200Km all’ora, e il Caimano il cui movimento particolare ricordava l’alligatore.
Oggi il Museo di Pietrarsa porta con sé un pezzo di storia in una sede affascinante, con il giardino che affaccia sul Golfo di Napoli ed ancora i visibili binari dei tempi di Ferdinando II.
Laura d’Avossa
fonti: https://www.fondazionefs.it/content/fondazionefs/it.html
Lascia un commento