È il febbraio 1857 e a Napoli sono in corso i festeggiamenti del Carnevale. Tra saltimbanchi e musica avanza un landò. Sul landò c’è un forestiero barbuto sui quarant’anni: quel forestiero barbuto è Herman Melville.

La vita avventurosa di Herman Melville

Nato a New York da un ricco commerciante, Herman Melville ha vissuto una vita tanto avventurosa quanto quella dei personaggi nei suoi romanzi. Fino al 1830 la sua infanzia trascorse nella ricchezza: in quell’anno, tuttavia, il padre dichiarò bancarotta, facendo sprofondare la famiglia nella miseria, e iniziò a manifestare i segni di una malattia psichica che lo portò alla morte. Herman, che era ancora un ragazzino, ne rimase profondamente segnato. La famiglia, numerosa, fu costretta a trasferirsi in un piccolo villaggio sulle rive dell’Hudson. Herman lasciò la scuola e iniziò a lavorare, ma la vita sulla terraferma non faceva per lui e così, nel 1839, decise di imbarcarsi come mozzo su una nave in partenza per Liverpool.

herman melville

È con questa scelta che la sua vita prende una svolta. Tra baleniere, isole della Polinesia francese, marinai e tribù si inizia infatti a formare l’immaginario narrativo e poetico che confluirà nelle sue forme più alte in quello che è considerato un capolavoro della letteratura di tutti i tempi: Moby Dick. Fu a bordo di una baleniera, l’Acushnet, che probabilmente iniziò a nascere in Melville la figura del capitano Achab e della sua irraggiungibile balena bianca. Moby Dick tuttavia vide la luce molti anni dopo.

Da questo viaggio sulla Acushnet deriva invece più direttamente Typee, che racconta in forma romanzata un avvenimento reale: Melville e un compagno di viaggio decisero di disertare la baleniera una volta giunti a Nuku Hiva, la più grande delle Isole Marchesi. Insomma, la giovinezza dello scrittore trascorse più sul mare che sulla terraferma.  

Il viaggio in Italia

Nel 1847 Herman Melville sposò Elizabeth Show e mise su famiglia con lei. Il successo discreto dei primi due romanzi però non proseguì, e Melville smise di pubblicare. Continuò, tuttavia, a scrivere; e riprese, dopo anni, a viaggiare.

Come molti viaggiatori del tempo, Melville scelse l’Italia, e tra il 18 e il 24 febbraio del 1857 fu a Napoli. In quei pochi giorni visitò tantissimo, compresi gli scavi di Pompei e il Vesuvio. Napoli gli fece una grande impressione, riportata poi nel suo diario di viaggio e riflessa in molte opere degli anni successivi.

Napoli al tempo di re Bomba

Tra queste opere ce n’è una interamente dedicata alla città: Napoli al tempo di Re Bomba, un poema in versi in cui Jack Gentian, vecchio marinaio e alter ego dello scrittore,  noleggia appunto un landò e, come aveva fatto Herman Melville stesso, si avventura fra i rumori, i lazzi, i saltimbanchi e la confusione delle vie napoletane.

Ma cos’era Napoli nel febbraio del 1857? Effettivamente erano in corso i festeggiamenti del Carnevale, che resero l’esperienza di Melville e i versi del poema pieni di immagini stravaganti e goliardiche.

Tuttavia, fino a pochi mesi prima in città non si respirava certo aria di festa. Nel novembre del 1856 il barone Francesco Bentivegna era stato giustiziato, insieme ad altri cospiratori, per aver organizzato insurrezioni in Sicilia a favore dell’unificazione  d’Italia. L’8 dicembre un fante, Agesilao Milano, rompe le righe durante una rivolta militare e quasi riesce a uccidere con la sua baionetta Ferdinando II;  verrà torturato e impiccato a Porta Capuana pochi giorni dopo. A ciò si aggiunge, il 17 dicembre, l’esplosione della polveriera del molo militare, che provoca la morte di diciassette tra ufficiali e soldati e arriva a rompere addirittura i vetri delle finestre del Palazzo Reale.  Qualche tempo dopo, ai primi di gennaio, nel porto salta in aria la fregata Carlo III, carica di soldati e munizioni: trentotto morti.

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Insomma, il clima a Napoli non era dei migliori. Stando alle fonti della polizia borbonica, gli episodi furono isolati e casuali e nessuno di questi eventi risultò connesso a una qualche congiura. Ma di certo evidenziarono tutte le fragilità e le contraddizioni del regno di Ferdinando II.  

Melville colse perfettamente queste contraddizioni in Napoli al tempo di Re Bomba: un esempio per tutti è il passaggio in cui Jack Gentian nota che i cannoni dell’esercito borbonico non sono rivolti verso il mare, cioè verso un nemico esterno, ma verso la città, pronti a sopprimere qualsiasi accenno di rivolta popolare.

Insieme a Jack Gentian, e a Herman Melville dietro di lui, in Naples in the Time of Bomba viaggiamo in carrozza attraverso una Napoli che sfugge alle generalizzazioni oleografiche.

Non sono soltanto i drammi storici e politici contingenti a essere centrali nel poema, neppure combinati con la farsesca e disperata gioia dei popolani. A partire da questi due elementi opposti, come suggerisce il traduttore, curatore e prefatore dell’edizione italiana, il professor Gordon Poole, il discorso viene portato verso una tematica più ampia: la questione della tensione fra il piacere (che trova la sua espressione più intensa nei festeggiamenti del Carnevale) e i suoi limiti sia naturali (rappresentati dal temibile Vesuvio addormentato) che istituzionali (appunto il dispotismo politico).

In Napoli al tempo di re Bomba la città sfugge agli stereotipi o alle prese di posizioni nette e ottuse; anzi, Melville riesce a riportare nei suoi versi l’ambivalente rapporto dei napoletani con il potere borbonico e l’anima popolana alla Pulcinella, che ride farsescamente delle proprie miserie.

Mi butto nella Napoli di Bomba nella stagione dell’uva matura, quando, voltato un angolo, d’un colpo, ah! guarda chi t’incontro: Pulcinella!

Herman Melville, Napoli al tempo di Re Bomba

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