Il nome di “Rua Catalana” racconta la storia di un complicatissimo intreccio culturale fra la Catalogna, Napoli e i Francesi.
Nacque infatti per volontà della Regina Giovanna I d’Angiò per ospitare la comunità di mercanti provenienti da Barcellona. Poi, nel tempo, si è evoluta: ha ospitato marinai e cannonieri, come ci ricorda la chiesa di Santa Barbara, patrona di questi ultimi. E poi, gli immancabili lavoratori del ferro e della latta che, da 7 secoli, sono sempre nello stesso posto.
Non dimentichiamo nemmeno che la pizza moderna nacque proprio in questa strada!
Rua Catalana è un posto fuori dal mondo, una parentesi sopravvissuta di un tempo antico che oggi va riscoperto e custodito gelosamente.
Perché si chiama Rua Catalana?
Il suo nome è una storpiatura di “Rue” francese, che appunto significa “strada”. Il progetto angioino, infatti, prevedeva la divisione di tutto il centro storico della città in quartieri occupati dalle varie comunità straniere. Troviamo così “Rua Francesca“, destinata ai francesi, “Rua Toscana“, destinata ai mercanti fiorentini, e tantissime altre strade che oggi hanno perso il loro nome o sono state distrutte. Anche “Via Renovella” è di origine francese: si chiamava infatti un tempo “Rue Nouvelle“.
Ma torniamo alla nostra Rua Catalana. Ad andarci oggi, fra le botteghe di falegnami che lavorano ancora i metalli e le opere in latta dell’artista Riccardo Dalisi, si ha la sensazione di trovarsi in un mondo completamente diverso da Via Depretis e Via Medina. Si tratta infatti di uno degli ultimi e tenaci residui di medioevo proprio nel mezzo di Napoli.
I Catalani, infatti, erano specializzati nella lavorazione dei metalli e la regina Giovanna diede loro una strada in cui avrebbero potuto mettere in vendita tinelli, pentole, attrezzi da lavoro e tantissimi altri oggetti di uso comune. Dà i brividi se pensiamo che ancora oggi, a 700 anni di distanza, esistono ancora botteghe aperte.
(Le armature e le armi, invece, si trovavano poco più vicino: c’è anche Via degli Armieri).
Fra taverne malfamate e nobiltà catalana
La storia di Rua Catalana non è però fatta solo da notizie belle. Durante il XIV secolo c’era infatti anche un’ampia zona malfamata, frequentata da prostitute e gente di malaffare. Boccaccio nella novella di Andreuccio da Perugia parla di “taverna del Malpertugio“, che già il nome fa ben capire che non doveva esserci nulla di buono. Nessuno sa esattamente dove si sia trovata e nella storia si sono avvicendate numerosissime ricostruzioni, da Benedetto Croce a Gino Doria, arrivando all’ultima, firmata da Amedeo Feniello. Tutti concordano che questa taverna dovesse trovarsi da queste parti, indicativamente nei dintorni di Via Depretis.
Quel che è certo è che, con l’arrivo di Alfonso d’Aragona e della sua dinastia, la comunità catalana ebbe un vero e proprio boom all’interno della società e della politica napoletana. Ce lo ricorda anche Loise de Rosa, spiegando che in tutta Napoli si diffusero numerosissimi cognomi provenienti dal nord-est della Spagna.
Antico e moderno
Un po’ come il Borgo Orefici, che conserva ancora alla perfezione quell’antica aggregazione fra botteghe antiche, si può dire lo stesso per Rua Catalana.
Certo, i tempi sono cambiati rapidamente nell’ultimo secolo: moltissimi artigiani sono stati costretti a chiudere davanti ai colpi della concorrenza a basso costo e la strada, ormai, non è più quella antica decantata dai nostri nonni: tutti dicevano che, negli anni ’60, bastava andar qui per trovare qualsiasi oggetto di metallo o per farselo realizzare.
Gli ultimi lavoratori del metallo, però, regalano a questa strada un fascino antico da ammirare e conservare con orgoglio.
-Chiara Sarracino
Riferimenti:
Gino Doria, Le strade di Napoli, Ricciardi Editore, Milano 1982
Romualdo Marrone, Le strade di Napoli, Newton Compton, Roma, 1994
Amedeo Feniello, Napoli 1343, Mondadori, Milano 2010
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