Nelle inutili risse fra ragazzini per questioni di “appartenenza” al quartiere che ogni tanto infangano la cronaca cittadina c’è un rituale antichissimo e violento che, inconsapevolmente, si porta avanti dal medioevo fino al III Millennio. In passato si chiamava petriata ed era letteralmente la “sassaiola”, un duello fra poveracci a suon di sassi. Spesso era famosa anche come “guainella“.
C’erano alcuni punti della città in cui il popolo napoletano si dava appuntamento per fare dei violentissimi regolamenti di conti fra quartieri tirandosi i sassi addosso. Nel resto della Campania, invece, le petriate avvenivano fra città e paesi vicini: memorabile è ad esempio quella fra due frazioni di Santa Maria Capua Vetere, Sant’Andrea dei Lagni e Macerata: nonostante i lutti per la guerra contro i garibaldini dell’anno passato, il popolo non poteva rinunciare al suo passatempo violento. E il 15 agosto 1861 ci fu una delle petriate più violente che la Storia ricordi, in cui 50 persone si sfidarono addirittura a colpi d’arma da fuoco, che normalmente erano proibite.
Quando intervennero i bersaglieri piemontesi per sedare il combattimento, dato che non erano abituati ad osservare questi comportamenti, tutti i cittadini smisero di ammazzarsi fra loro e concentrarono il fuoco sul reggimento, costringendoli alla ritirata. Poi ripresero la guerra.
Un dilemma violento di tutto il popolo italiano
Strano a dirsi, ma di quest’usanza riusciamo a tracciare una storia frammentaria. Era diffusa un po’ in tutte le grandi città d’Italia sin dal Medioevo ed era un’usanza particolarmente famosa a Roma, a Milano, Mantova e Firenze, dove annualmente si registravano decine di morti e feriti.
Proprio la sassarolata romana era una delle manifestazioni più violente, pacificamente tollerata ai tempi dello Stato Pontificio sin dai tempi del medioevo: solitamente ci si radunava in zona Trastevere o Testaccio e si lanciavano sassi e oggetti per ferirsi gravemente. Nel frattempo, il popolo non belligerante si radunava attorno per godersi lo spettacolo e ridere di chi stava male. Fu una pratica abolita solo ai tempi della Repubblica Romana del 1849 e molti, per protesta, decisero semplicemente di cominciare a darsele di santa ragione in altri quartieri. Abbiamo notizie di sassarolate nel quartiere San Lorenzo addirittura nel 1941, in piena guerra. A Firenze è invece un’usanza rimasta in voga fra i bischeri fino agli inizi del XX secolo.
C’è addirittura una pergamena di Modena, datata 1188, che spiega come “extra urbem nostrani erat pratum de batalia” (al di fuori della nostra città c’era un campo di battaglia), riferito a queste guerre di sassi fra cittadini.
Paradossalmente Napoli e il suo regno conobbero questo rituale molto tardi: la colpa fu del dominio Spagnolo, che la portò qui nel ‘500. Ci sono diverse prammatiche dei viceré spagnoli che provarono a limitare questo fenomeno violentissimo che, tutto sommato, era visto come una valvola di sfogo del popolo. D’altronde, dal loro punto di vista, meglio farli ammazzare fra loro che farli unire contro il potere come nel caso del massacro di Storace. Anche Carlo di Borbone provò a limitare questo fenomeno, ma a quanto pare non ci fu molto effetto, se abbiamo notizie di petriate fino alla fine del XIX secolo: De Blasio ci riferisce di un combattimento talmente violento al Vomero nel 1871, in zona Pagliarone, che la Questura fu costretta a inviare un reggimento di cavalleria!
Basta un pretesto per far scattare la petriata
La ragione che muoveva una petriata fra quartieri sorgeva semplicemente per pretesti assolutamente banali e imprevedibili: bastava un’offesa, un’occhiataccia o uno sgarbo ad un ragazzo di un altro quartiere che, ritiratosi a casa, raccontava la cosa a tutti i parenti, gli amici e i conoscenti. Si faceva un gran vociare e poi partiva subito la spedizione punitiva nel quartiere avverso, con gruppi di guagliuncielli che andavano a urlare minacce, insulti e offese agli abitanti dell’altro quartiere. Chiaramente allora i ragazzi del quartiere minacciato si riorganizzavano e lanciavano la propria controffensiva. Si cominciava sempre con le maleparole, le bestemmie e gli insulti personali perché, se venivano coinvolte le famiglie, scendevano in campo anche i genitori. E lì solitamente si poteva finire addirittura con i coltelli.
Le fonti più dettagliate sulla vicenda sono quelle di Raffaele D’Ambra, storico napoletano, e Abele De Blasio, studioso di antropologia criminale particolarmente appassionato di stranezze varie: ci spiega che la zona prediletta per il regolamento di conti era inizialmente San Giovanni a Carbonara, poi con l’espansione della città si andò dalle parti dei Ponti Rossi, che nel ‘700 e nell’800 erano ancora una zona immacolata con un grosso acquedotto romano rimasto in superficie. Anche la zona della Marinella (dove oggi si trova il porto commerciale) era un luogo usato per questa usanza.
In generale dove c’erano sassi, si combatteva tirandosi pietre con le fionde con lo scopo non di uccidere, ma di ferire gravemente il prossimo: era infatti famoso il detto “prendi le grandi, che le piccole vanno negli occhi!“.
Lo schema era questo: piglia, mira, mena e fuje (prendi, mira, lancia e scappa). Chi riceveva la sassata, invece, aveva un altro codice: guarda, scansa, piglia, mena e scappa.
“Ma lasciali sfogare, sono ragazzi!”
Era un “gioco” per lo più giovanile che, nel tempo, fu legato agli scugnizzi: i giovani nati fra i fondaci senza speranza, l’aspettavano con grande ansia e bastava qualsiasi pretesto per far scattare la violenza. Era il momento in cui si poteva sfogare la propria frustrazione sociale, divertendosi in una violenza tollerata allo stesso modo delle feste della Cuccagna, che invece coinvolgevano gli adulti.
Spesso si uccideva o si feriva gravemente per ragioni assolutamente futili, altre volte c’erano regolamenti di conti dettati da antipatie e rivalità fra vicini di casa.
I residenti di Capuana erano infatti odiati da quelli di Montesanto; quelli dei Quartieri odiavano la Pignasecca; l’antica zona del Porto odiava quelli di Piazza Mercato. Insomma, tutti odiavano tutti. E l’unico modo per risolvere queste divergenze era picchiarsi selvaggiamente senza un senso. Se andiamo in provincia, invece, De Blasio ci ricorda che Cerreto Sannita era uno dei paesi più famosi per le sue petriate contro la vicina San Lorenzello, che contava alcuni tiratori talmente bravi che riuscivano a lanciare pietre con la fionda sincronizzandola alla perfezione con i propri occhi.
“Puozz’ avé mez’ora ‘e petriata dinto a nu vicolo astritto e ca nun sponta, farmacie ‘nchiuse e miedece guallaruse!“.
Letteralmente: che tu possa essere lapidato per mezz’ora in un vicolo stretto e cieco, con le farmacie chiuse e i medici che ti soccorrono lentamente.
Basta una maledizione del popolo per riassumere più o meno tutto il senso inutile, primitivo e violento della petriata.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Abele De Blasio, Usi e costumi dei Camorristi, 1889
Museo del Risorgimento di Santa Maria Capua Vetere, La Guardia Nazionale, Santa Maria Capua Vetere, 2004
Carlo D’Addosio, Il duello dei camorristi, Pierro Editore, Napoli, 1893
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