Yuri Buono è un giornalista dal 2010. Laureato in Scienze Politiche, ama Napoli e la sua terra sin da bambino. Oggi ha convogliato questo amore in una raccolta poetica, NapoletAnima. Innamorati di Napoli quanto lui, non potevamo non chiedergli di parlarcene.
Napoli trova narrazioni infinite, dal cinema alla televisione ai romanzi. Ma sono soprattutto i racconti, le novelle, le poesie a celebrarla nella tradizione. Tu hai scelto la poesia: credi che questa forma creativa, più delle altre, possa catturare l’anima della città?
Beh, credo proprio di sì. Il libro è suddiviso in quattro aree e per ognuna ho scritto una frase che ne esplicasse il senso. Bene, nella sezione dedicata a “Napule” ho scritto “Togliete la poesia da Napoli e ne avrete rimosso le fondamenta”. Più chiaro di così!
Mentre scrivevi, chi è stato il tuo riferimento tra i poeti della tradizione napoletana e non solo?
A dire il vero, nessuno. O meglio, è stato un compendio. Proprio nel tentativo di non “copiare” nessuno stile, ho lasciato il cuore libero di esprimersi e, alla fine, credo di aver racchiuso i sentimenti di malinconia e speranza molto presenti nei poeti della tradizione napoletana.
Che ruolo ha avuto durante la stesura la tradizione della canzone napoletana?
Un ruolo fondamentale. Ritengo che la maggior parte delle canzoni napoletane siano prima di tutto poesie. Scrivere “Vocca addirosa comme ‘a na viola, ‘a primmavera mia site vuje sola”, oppure “Stanotte Ammore e Dio songo una cosa” o, ancora, “Quanno tramonta ‘o sole e tutte cose, jenne pe s’addurmì dint’â nuttata, piglia ‘o culore ‘e na viola nfosa, tanno te penzo sora e nnammurata”, è poesia pura e solo poi anche canzone.
Consigliaci qualche lettura su Napoli che ti ha formato come persona e come poeta!
Beh, sicuramente “Napoli nella storia. Duemilacinquecento anni, dalle origini greche al secondo millennio” e, poi, tutta la filmografia e le poesie di Totò ed Eduardo.
Nel tuo lessico si nota la ricorrenza di una parola, a volte (come in apertura) protagonista di un intera poesia, altre volte come metafora e altre ancora come sottinteso: (m’abbastasse ca mpastasse…): la parola “pane”. Ho quindi intuito una valenza fortemente simbolica di questo “pane” (forse da relazionare a una delle sezioni del libro, “Fede”). Ce ne vuoi parlare?
Certo, e mi fa piacere che tu l’abbia notato. Credo che non esista similitudine migliore per spiegare l’amore. Il pane (e l’impasto per ottenerlo) e l’Amore sono perfetti per descrivere l’importanza delle attese, del sacrificio e della dedizione che occorrono per far lievitare bene entrambi. Nessun impasto sarà mai digeribile se non segue i suoi tempi e nessun amore durerà in eterno se sarà solo il frutto di scelte estemporanee, non basate sulla cura e sul dettaglio. Proprio come le nostre nonne rinfrescavano, ogni mattino, il loro “criscito”.
Un passato fatto di ricordi legati alla terra e alla tradizione. Ha a che fare con la tua vita?
In realtà il mio passato non ha mai avuto a che fare con la terra. Lo sto riscoprendo adesso, da adulto e mi sono innamorato di un mondo contadino e rurale, fatto di rispetto, pause e tutela di tutto ciò che ci è stato tramandato. Spesso mi fermo ad osservare i contadini vesuviani oppure le nonne cilentane che portano avanti gesti e riti ormai dimenticati e mi accorgo che solo quella è la vera ricchezza di cui l’uomo ha davvero bisogno.
Nelle poesie, Napoli è presente non solo attraverso scene e sentimenti ma anche (forse soprattutto) nella lingua. Scegliere il napoletano è coraggioso, ma ha anche una forte presa di posizione identitaria. Qual è il tuo rapporto con la lingua napoletana?
È la lingua del mio cuore. Non lo dico per fare il facile luogo comune, ma Troisi era solito ripetere “io penso in napoletano, sogno in napoletano” e…aveva ragione. Lo posso capire. Tutti i sentimenti più belli e profondi della vita, li sento in napoletano e riesco ad esprimerli solo nella mia lingua madre.
Raccontaci un po’ la genesi di questi componimenti. Li hai scritti in sequenza o negli anni?
Sono poesie scritte negli anni e che, complice il lockdown, ho pensato di raccogliere in un libro. Sono tutte basate su esperienze reali di vita. Luoghi visitati, persone conosciute, emozioni provate. Nessuna poesia è stata “inventata”. Sono tutte espressioni di quell’anima che si emoziona e compone. Io non sono in grado di scrivere “a comando”, ma – è difficile da esprimere – mi rendo conto di non scriverle da solo. È come se mi fossero dettate da dentro e, infatti, sono poesie composte a volte anche in meno di un minuto.
Si nota spesso una contrapposizione di ombre e luce; il sole viene chiamato in ballo spesso, come simbolo e come elemento, mentre ricorre spesso anche l’idea della notte o del nero. Questa scelta è legata a un intento poetico preciso?
Esatto. Sono ossimori che credo rendano l’idea di un’anima napoletana e combattuta. Perché per questa città è un continuo “odio et amo” e, pertanto, la contrapposizione la vivo quotidianamente. È una città difficile, particolare, ma ritengo che sia sempre la mia meravigliosa città. Passi in un attimo dallo scoramento alla Speranza, dal brutto al bello, dall’inferno al paradiso. È così! E credo sia anche inutile spiegarlo. È come passare continuamente da “nu vico niro” a “na jurnata ‘e sole”.
Napoli è presente come musa, come donna amata, come ricordo, come sogno; però c’è prevalenza delle sue connotazioni naturali e la presenza della Napoli urbana è praticamente assente (il che ha senso in riferimento anche all’esergo, con la citazione di Totò che in qualche modo respinge “Il mondo moderno”). Qual è il tuo rapporto con l’aspetto “geografico” della Campania e di Napoli? E qual è invece il tuo rapporto con la “città fisica” in senso stretto?
La frase iniziale di Totò dice tutto ed esprime al meglio il mio pensiero. Certo, un pensiero sicuramente a prima vista pessimista, fatto di una realtà attuale sicuramente volgare e lontana dalla Napoli nobile che ha animato il cuore dei poeti che ci hanno preceduto, eppure, in essa io trovo ancora una Speranza che non muore. E, cioè, in una Napoli “carta sporca”, ma anche “mille culure” io ritrovo ancora la flebile certezza che il mondo è fatto di corsi e ricorsi storici e che quella nobiltà che abbiamo abdicato prima o poi riusciremo di nuovo a ritrovarla. Difficile, forse impossibile, ma avere centinaia di Chiese, di monumenti, di opere d’arte uniche, mi fa pensare di partire avvantaggiati.
Come hai scelto la foto in copertina?
Chiesi a Federico Quagliuolo di scrivermi la prefazione perché apprezzo da anni ciò che fa personalmente e con il gruppo di Storie di Napoli e, al contempo, gli chiesi anche una foto. Mi mandò questa. Ne rimasi folgorato. Ovviamente, per scrupolo, me ne feci mandare tante altre. Niente. Erano tutte belle, ma nessuna mi faceva venire i brividi come questa. In questa foto c’è tutto. Ci sono due innamorati che si abbracciano, lei si appoggia sul suo petto, lui la protegge e la stringe a sé, c’è la scala che è sinonimo di una vita percorsa insieme, ci sono i panni stesi, la maglietta del Napoli, il paniere e l’edicola votiva. In una sola parola, in questa foto è racchiusa tutta Napoli. Sembra una foto fatta ad arte e, invece, è solo fatta da un artista.
Il che è diverso. Ecco, se dovessi esprimere il mio concetto di Speranza, credo che Storie di Napoli la interpreti al meglio. Un gruppo di giovani, anche giovanissimi, che invece di pensare alle inutilità del mondo, si sono messi a raccontare la propria città. E qui rivedo ciò che dicevo prima e, cioè, che l’idea è stata bellissima, ma si è partiti avvantaggiati perché viviamo in una città che non è altro che un tesoro a cielo aperto. E chi ‘stu tesoro nun riesce a vvede’, cecato nun è, chiude sultanto ll’uocchie, pe nun ‘o vede’!
Per ottenere la tua copia di NapoletAnima, manda una mail a napoletanima@blu.it
Lascia un commento