Palazzo Como: storia del palazzo che cammina
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Palazzo Como si trova, scendendo Via Duomo, sulla destra, accanto alla chiesa di San Severo a Pendino. Il Palazzo è caratterizzato dalla facciata principale in bugnato di piperno, da un alto portale, da cinque finestre a croce guelfa e da un aspetto severo. Palazzo Como, ci porta alla mente i palazzi del rinascimento fiorentino. Conosciuto anche come Palazzo Cuomo, dalla napoletanizzazione del cognome dei proprietari, e come “il palazzo che cammina” ed è attualmente sede del Museo Civico Gaetano Filangieri.

Palazzo Como: i modelli fiorentini

Nel 1404 la famiglia Como possedeva un palazzo nei pressi dell’antica basilica di San Giorgio Maggiore. Nel 1451 i fratelli Giovanni e Fabio Como decisero di modificare e ampliare il palazzo unendo diversi edifici preesistenti. La facciata di Palazzo Como è stata ideata ispirandosi alla facciata del Palazzo di Diomede Carafa di Maddaloni sito in Via S. Biagio dei Librai e mostra con chiara evidenza la derivazione da modelli fiorentini.

La facciata di Palazzo Como è in piperno, al pianterreno ha un bugnato rustico, mentre al piano superiore presenta un bugnato liscio. L’autore del progetto è pero ancora incerto e sono stata fatte varie ipotesi riguardo la paternità del progetto del palazzo. Lo storico dell’arte Carlo Celano lo attribuisce al napoletano Agnolo da Fiore, per le affinità con palazzo Carafa, ma si sostiene che al palazzo vi abbiano lavorato artisti toscani operanti a Napoli. Il critico d’arte Gustavo Frizzoni ne attribuisce la paternità a Benedetto da Maiano, mentre per Lionello Venturi il progetto è da attribuire al fratello Giuliano da Maiano, che ha disegnato anche importanti palazzi appartenuti alla nobiltà fiorentina.

Un atto notarile del 1490 attesta che a Palazzo Como hanno lavorato lapicidi toscani come Francesco di Filippo, Ziattino de Benozzis da Settignano e Domenico de Felice da Firenze, tutti e tre operanti nella cerchia di Giuliano da Maiano. Nel 1464 Angelo Como, figlio di Giovanni commissiona allo scalpellino Rubino di Cioffo da Cava e Evaristo da San Severo l’esecuzione di cinque porte e cinque finestre.

Palazzo Como: un’amicizia illustre

Angelo Como è stato uno degli uomini d’affare più facoltosi della Napoli quattrocentesca, infatti, era a capo di numerose attività commerciali. Le sue principali attività mercantili, che consistevano nel commercio di stoffe preziose, lo portarono a spostarsi in varie città italiane, e con una rete di potenti amicizie, riuscì a espandersi anche oltralpe.

Si dedicò anche all’attività creditizia, che gli permise di stringere rapporti con i re aragonesi. Insieme al figlio Leonardo, il 17 agosto 1488 ospitò nel suo palazzo il duca di Calabria Alfonso d’Aragona che, sapute delle difficoltà del suo fedele consigliere Angelo, acquistò a proprio nome il giardino adiacente per poi donarglielo. Per dimostrare la sua gratitudine, Angelo appose sulla facciata di Palazzo Como, oltre al suo stemma, anche lo stemma aragonese.

Nel 1492, grazie alle sue amicizie, Angelo Como divenne primo barone di Casalnuovo. Nel 1499 il suo palazzo era terminato e aveva una vista mare. Superato l’androne posto alle spalle del portone principale, si usciva in un cortile, ornato sui lati meridionale e occidentale da un porticato oltre il quale si apriva un giardino.

Palazzo Como: un vicino invidioso

L’amicizia tra Angelo Como e l’erede al trono fece ingelosire un loro vicino. Francesco Scannasorice era proprietario di un giardino adiacente a Palazzo Como e, alle richieste della famiglia Como, non volle vendere per nessun prezzo e per nessun motivo il suo giardino. Alla fine però dovette arrendersi quando il duca di Calabria comprò a nome suo il giardino e lo regalò ai Como.

Scannasorice morì di dolore e si dice che, sotto forma di fantasma, abbia tormentato per secoli la famiglia Como, tanto da costringerla a vendere la dimora. In effetti, con la fine della dinastia aragonese, i discendenti di Angelo Como andarono in disgrazia. Leonardo morì senza eredi diretti e lasciò i suoi beni al nipote Giovanni Angelo Como.

I suoi successori divisero Palazzo Como in vari appartamenti, per poi affittarlo ai canonici della cattedrale e venderlo nel 1587 alla congregazione di Santa Caterina da Siena che gestiva l’attigua Chiesa di San Severo al Pendino. Con la soppressione degli ordini monastici del 1806, la residenza passò alle vedove dei militari caduti durante la guerra e poi all’imprenditore Antonio Mennel che in un’ala del palazzo installò una fabbrica di birra, mentre altri locali furono adibiti ad archivio di Stato del Regno.

Palazzo Como: tagliato e spostato di 20 metri

In seguito ai lavori del Risanamento, si decise di modificare anche Via Duomo e nel 1879 Palazzo Como corse il rischio di essere abbattuto. Per fortuna fu trovata una soluzione. Gaetano Filangieri, Principe di Satriano e nipote del famoso giurista, propose al sindaco Nicola Amore di comprare Palazzo Como per usarlo come sede della sua vasta collezione d’arte.

A spese del principe, tra il 1881 e il 1887 il palazzo fu smontato e rimontato, arretrato di una ventina di metri, parallelo alla posizione precedente e posto sul sito già occupato dal cortile. L’incarico venne affidato a Antonio Francesconi e Enrico Alberella. Ad oggi, dell’originaria disposizione degli ambienti non rimane più traccia, a causa delle molteplici trasformazioni che Palazzo Como ha subito nel corso dei secoli. Mentre il prospetto principale e quello meridionale si sono conservati identici fino a oggi.

Palazzo Como: La collezione dei principe di Satriano

A lavori ultimati, il principe donò la sua collezione d’arte alla città. Il museo civico fu quindi inaugurato l’8 novembre 1888 e fu immaginato dal suo fondatore non solo come luogo di conservazione e fruizione della sua vasta collezione, ma anche come luogo di formazione destinato ai vari artisti, che avrebbero avuto la possibilità di trarre ispirazione dai manufatti della collezione.

Lo stesso principe disegnò il pavimento maiolicato della Sala Agata e il soffitto mosaicato della Sala Carlo. Inoltre, il fondatore immaginò di inserire il suo museo in una più ampia rete museale. Purtroppo il museo, dalla sua apertura, ha vissuto lunghi periodi di chiusura. Gli eventi bellici della seconda guerra mondiale portarono, oltre alla chiusura del museo, anche al danneggiamento della vasta collezione a causa di un incendio volutamente appiccato dai tedeschi nel 1943. Un’ulteriore chiusura si è avuta nel 1999, a causa di una carenza di fondi.

Armatura di samurai con armi antiche e una riproduzione in scala del palazzo all’interno della Sala Carlo a Palazzo Como

È solo dopo tredici anni, nel 2012, che il museo riapre di nuovo le porte al pubblico. Attualmente il museo ospita circa tremila esemplari di opere d’arte, come tele di Jusepe de Ribera, Luca Giordano e Battistello Caracciolo, sculture di Francesco Vaccaro e Giuseppe Sammartino, maioliche, porcellane delle migliori manifatture europee e italiane, medaglie, libri antichi, cartine, tessuti, monete, pastori presepiali, armi europee, asiatiche, africane e sudamericane, tra cui alcuni cannoni, e armature, tra cui alcune armature appartenute a samurai.

Il sogno del principe continua anche dopo la sua morte e oggi chi visita il museo che porta il suo nome resta incantato dalla bellezza e dalla particolarità della collezione. Riguardo al fantasma di Scannasorice, si dice che abbia smesso di tormentare la famiglia Como dopo che hanno venduto il palazzo.

Bibliografia

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