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Pochi studiosi possono vantare una carriera come quella di Salvatore D’Auria. Artista, numismatico, antiquario, medaglista ed incisore, il D’Auria fu un grande uomo di cultura che coltivò interessi estremamente vari, ma mai separati gli uni dagli altri. Appare quindi difficile attribuire ad un personaggio così poliedrico un aggettivo che lo leghi ad una singola disciplina.

Dal punto di vista storico e numismatico saranno in molti a ricordalo per la sua opera magna, Il Medagliere, ad oggi il più importante lavoro di studio e catalogazione dedicato settorialmente alle medaglie borboniche.

Dal punto di vista artistico è sicuramente da annoverare l’Oltrismo, movimento da lui creato e che ancor oggi vive nelle opere dei suoi partecipanti. In esso Salvatore D’Auria è conosciuto con il suo pseudonimo “Sarossa“, considerato come il principale maestro e fondatore dell’intero movimento.

Salvatore D'Auria mentre dipinge nella sua casa in Sardegna
Salvatore D’Auria mentre dipinge nella sua casa in Sardegna

Ho avuto la fortuna di conoscere Salvatore D’Auria all’età di 13 anni, assieme a mio padre. Per i sei anni successivi abbiamo continuato ad avere ad avere con lui stretti rapporti, avendo persino il privilegio di aiutarlo nella stesura e pubblicazione del suo ultimo lavoro: Il Medagliere dei Re, seguito dell’omonimo testo sopracitato.

Trovandosi a dover scrivere di una personalità così varia si è sempre in difficoltà. A tale difficoltà va poi ad aggiungersi il dolore di una perdita avvertita come subitanea ed inaspettata. Salvatore se ne è andato il 16 agosto 2021, in seguito a problemi cardiaci che lo attanagliavano da tempo. Questo articolo sarebbe dovuto essere un’intervista, ma purtroppo la sorte ha deciso diversamente. Spero di poter dare, con questo mio articolo, un degno tributo ad una persona che ha costituito una parte importantissima non solo del mio percorso culturale (così come in quello di tanti altri) ma anche della mia vita e delle mie passioni.

Copertina della prima edizione de “Il Medagliere”

I primi anni e gli esordi nell’antiquariato

Salvatore D’Auria nacque a Pozzuoli il due gennaio del 1947. Fu probabilmente l’infanzia trascorsa nella località campana, ricca di memorie del passato (specialmente classico) a generare in lui un vivo interesse per l’antichità e le sue attestazioni materiali. Pur avendo conseguito una laurea in giurisprudenza decise di dedicarsi completamente al commercio ed allo studio delle antichità, sua passione sin dalla gioventù.

Il suo negozio divenne in breve tempo tra i più conosciuti della Campania. Il suo primo periodo di attività lo vide principalmente legarsi al mondo dell’arte classica. Particolare interesse fu da lui profuso nei confronti della monetazione neroniana, argomento che lo affascinò sempre. Ciò che contraddistinse Salvatore D’Auria come studioso ed antiquario fu la sua attenzione non solo nei confronti dell’oggetto ma anche della sua produzione e lavorazione.

Era per Salvatore di centrale importanza comprendere le tecniche di lavorazione e produzione utilizzate nel passato. Tale conoscenza era da lui vista come unico metodo per comprendere veramente l’originalità di un pezzo. Nel concreto lo studio delle lavorazioni si traduceva in una sorta di attività di “laboratorio” da lui portata avanti per tutta la sua vita. Tale ricerca pratica delle tecniche del passato gli diede non solo una comprensione degli oggetti antichi radicalmente diversa da quella di un semplice collezionista o commerciante, ma lo rese anche abile restauratore.

Fu proprio in questo ambito “sperimentale” che Salvatore D’Auria maturò quell’insieme di conoscenze pratiche che gli furono di vitale importanza nella sua carriera artistica, di cui parleremo successivamente. In privato amava spesso definirsi “alchimista” per via della sua tendenza a sperimentare in vari ambiti. Conservo ancora il vivo ricordo del microscopio elettrico, da lui perfezionato e modificato, che utilizzava spesso nell’analisi dei pezzi da lui studiati, nonché dei numerosi attrezzi (per la maggior parte di sua fabbricazione) utilizzati per le sue opere.

L’incontro con le medaglie borboniche: il medagliere

Come già detto inizialmente gli interessi principali di Salvatore D’Auria erano legati all’arte e numismatica classica. Ciò andò a cambiare quando conobbe il mondo della medaglistica del regno delle due Sicilie. In una delle nostre conversazioni mi raccontò che l’incontro con questo genere numismatico avvenne nel corso di un’asta a San Marino: in una vetrina vide conservate alcune medaglie di epoca murattiana e ne fu fortemente colpito per via della loro bellezza estetica ed iconografica, avvertita come vicina a quella delle monete classiche da lui tanto apprezzate.

Da lì iniziò un periodo di intensi studi tramite i quali venne a contatto con i più importanti personaggi della numismatica italiana. Ciò che affascinava Salvatore non era solo la bellezza estetica delle medaglie, ma anche il fatto che, tramite esse, egli era in grado di riscoprire il passato del suo territorio. Il suo studio andava quindi a configurarsi come una riscoperta della storia del meridione veicolata tramite le medaglie.

Tale concezione andò poi a concretizzarsi nei lavori del D’Auria. La medaglia non era solo un oggetto da collezionare, ma un vero e proprio documento storico che permetteva al suo possessore di toccare con mano gli eventi del passato. I testi di Salvatore D’Auria sono tutti corredati da una fittissima bibliografia che attinge in gran parte a fonti dell’epoca. Tramite la medaglia intesa come documento e testimonianza si andava così a costituire un vero e proprio quadro d’insieme della cultura, dell’arte, dei personaggi e dei maggiori eventi storici che caratterizzarono il meridione dal 1735 al 1861.

Rapportandosi ai lavori precedenti al suo il D’Auria fu portavoce di un consapevole scetticismo. L’ultimo testo legato alla medaglistica borbonica risaliva ai primi del 900: si trattava del Riccardi. Era un testo molto all’avanguardia per l’epoca, aveva al suo interno persino le foto delle medaglie trattate (cosa molto rara per un libro dei primi del 900). Pur trattandosi di un’opera di grande importanza era ormai percepita, a quasi 100 anni dalla sua pubblicazione, come fortemente limitata.

Di grande problematicità era la presenza di molte medaglie postume coniate presso la zecca di Parigi nonché di un criterio di catalogazione deficitario. Salvatore D’Auria ebbe premura di attuare una stretta distinzione tra esemplari coevi e postumi nonché di cercare di definire con più precisione cosa era una medaglia Borbonica. Secondo il D’Auria una medaglia può essere definita borbonica solo se la sua produzione si lega ad una diretta volontà della corona, comprovata dal riscontro documentale.

Alcune medaglie riportate nelle opere di Salvatore D’Auria esulano però da questo criterio. Sono inserite alle volte per trattare nel volume eventi storici legati al regno e percepiti come impossibili da escludere in una narrazione storica che si pone obbiettivi di completezza. I volumi del D’Auria non si limitano però alla semplice numismatica: essi comprendono opere d’arte, manufatti e monumenti legati all’epoca borbonica, rendendo così Il Medagliere un vero e proprio compendio della cultura materiale del meridione preunitario.

La medaglia viene intesa in tal modo come un’opera d’arte, espressione di un particolare contesto culturale, storico ed artistico. Particolarmente preziosa nel volume è l‘analisi iconografica: simbolismi ed allegorie presenti sulle medaglie vengono attentamente disaminate e spiegate, tramite uno studio dei singoli pezzi che definire analitico sarebbe un eufemismo.

La collezione di Salvatore D’Auria, ceduta nei primi anni 2000 nel corso dell’asta Nac 47, era probabilmente una delle raccolte numismatiche più importanti d’Italia se non dell’Europa intera. Essa comprendeva persino un esemplare unico di una medaglia in oro ritraente Murat, forse opera dello stesso Canova (si vedano qui gli studi del D’Auria come riscontro).

1813, per il ritorno di Murat a Napoli, ex collezione D’Auria.

Ci volle un lavoro decennale per portare a termine la prima edizione de “Il Medagliere”, pubblicata nel 2006. Occorsero altri 13 anni affinché la seconda versione de “Il Medagliere”, denominata “Il Medagliere dei Re”, vedesse la luce. La seconda versione, pur rimanendo uguale nell’impostazione della ricerca, comprendeva non solo nuovi esemplari ma anche una parte bibliografica ben più ricca. Il lavoro compiuto per l’ultimo volume fu di grandi dimensioni: il numero delle pagine era addirittura triplicato.

Ad oggi i lavori del D’Auria rimangono, nel campo della medaglistica del meridione, i più apprezzati al livello internazionale. I suoi testi sono presenti nelle maggiori biblioteche numismatiche d’Europa. Persino la casa reale si è spesso congratulata con lui, concedendo anche il suo patrocinio all’opera.

lettera di congratulazioni di Carlo di Borbone, duca di Castro, a Salvatore D’Auria

Sarossa: la nascita di un artista

Ricordo ancora, in uno dei tanti pomeriggi trascorsi nello studio di Salvatore D’Auria, la spiegazione di come lui fosse approdato alle concezioni estetiche ed ideologiche del suo movimento artistico: l‘Oltrismo. Dopo anni ed anni di antiquariato e contatto con l’antico si sentiva ormai quasi riempito e saturo di quegli stimoli estetici. Decise quindi di disfarsi della maggior parte dei pezzi di antiquariato rimasti dopo la fine della sua attività, per dedicarsi totalmente all’arte.

Non bisogna cadere nell’errore di considerare l’Oltrismo come una negazione del passato di Salvatore né della valenza dei principi estetici da lui inizialmente coltivati e recepiti: il D’Auria fu sempre a stretto contatto con l’antico, attingendo sovente dalla tradizione. Lo stile da lui ricercato era però ben diverso: il focus della sua arte non era posto sulla bellezza estetica fine a sé stessa, ma sul significato simbolico di tale bellezza. La sua arte, ricca di rimandi esoterici e simbolismi di ogni genere, era ricerca dell’armonia interiore.

Tramite l’impegno artistico e il conseguimento della conoscenza l’uomo, per il D’Auria, era capace di superare la limitatezza della sua natura, della sua vita, dei suoi mali (anche se insormontabili) per attingere ad una dimensione del sapere e della vita radicalmente diversa. La dimensione poietica dell’artista era vissuta da Salvatore in maniera completa e costituì, negli ultimi anni della sua vita, una fiera resistenza alle difficoltà che dovette affrontare. Allego qui di seguito parte del “Manifesto dell’Oltrismo” scritto da Salvatore D’Auria, per rendere più esplicite le finalità del suo lavoro artistico.

L’OLTRISMO: Per andare oltre non basta la sola creatività, ma è la capacità della creatività di divenire cambiare e di superarsi, per raggiungere l’armonia. L’Oltrismo è un equilibrio in continua vibrazione, posto tra la follia e la razionalità. Come una bilancia in continua altalena, dove in un piatto c’è la follia, e nell’altra la razionalità. E’ quella forza che ci aiuta a superare gli ostacoli della vita, ed a condurci oltre, verso l’armonia. E’ come in natura che dal caos primordiale si giunge sempre ad un equilibrio che non è mai definitivo. I nostri lavori sono il frutto delle nostre scelte, che possono e devono andare oltre verso l’armonia. L’Oltrista è il libero arbitro delle sue azioni nel rispetto della vita che c’è stata donata, nel rispetto della natura che ci ha accolto e dell’ambiente che ci circonda, e nel rispetto di tutti gli esseri viventi, e del nostro pianeta, e dei nostri fratelli terrestri. L’Oltrista non permetterà mai alle proprie insufficienze di recare offesa alle arti. L’Oltrista ha sete di conoscenze per favorire ed aprire il percorso verso l’armonia, con le soluzioni più sagge ed opportune.

L’arte per Salvatore costituiva un vero e proprio trionfo della vita e dell’esistenza, colta nella sua molteplicità, con raziocinio ed irrazionalità, con gioia e dolore, con lo stupore dell’infante unito alla saggezza dell’adulto. In tale molteplicità ed apparente incongruenza il percorso da compiere è quello verso l’armonia, l’equilibrio; raggiungibili solo tramite la ricerca della conoscenza.

L’abilità tecnica di Salvatore D’Auria non si limitava alla semplice pittura: fu anche medaglista ed incisore, ripercorrendo in tal modo, tramite il suo itinerario artistico, anche la sua grande carriera di studioso. Ancora ricordo come, anche nei periodi di forte stanchezza derivanti dall’età, Salvatore fosse sempre dedito alla produzione artistica. Quella delle medaglie era forse la più particolare: per produrle adoperava un peculiare forno di sua creazione, adatto ai metalli duttili che utilizzava. All’interno delle medaglie di Salvatore D’Auria i simbolismi esoterici e filosofici si uniscono ad immagini artistiche e naturalistiche di grande impatto.

Arrivederci, Salvatore

Una delle più grandi fortune che abbia avuto nella mia vita è stata sicuramente vedere Salvatore all’opera. Vedere una dedizione tale da spingere uno studioso ad una ricerca pluridecennale, certosina e faticosissima, anche nella sua vecchiaia, mi ha davvero fatto comprendere la forza delle passioni che animano gli uomini. Un’attività così apparentemente contemplativa eppure intrisa di sentimenti, passioni, di amarezze come di soddisfazioni. Anche la storia era per Salvatore una forma d’arte, un modo di trascendere i limiti del proprio stato ed andare oltre. Forse è proprio nelle passioni che ognuno riesce realmente a far conoscere parte di sé, spogliato dalle maschere ed animato da un amore che rivela ogni piega dell’animo e per il quale si è pronti a farsi consumare senza esitazione. Arrivederci, Salvatore.

-Silvio Sannino

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