Nel corso dei secoli, le incursioni dei pirati erano considerate una grandissima sciagura per le popolazioni delle città di mare: queste erano frequentemente saccheggiate e vandalizzate, ed agli abitanti non toccava un destino diverso, tra uccisioni e violenze di ogni sorta. Eppure, per un abitante di un piccolo borgo della Penisola sorrentina, proprio un’incursione si tradusse nella più grande occasione della sua vita.

Il rapimento

Mariano Stinga (anche noto come Stinca) era un giovane mozzo di Sant’Agnello, un piccolo comune nei pressi di Sorrento, intenzionato a continuare l’attività della sua famiglia, composta interamente da marinai. Il suo paese, così come anche altri centri abitati delle coste meridionali, era soggetto a frequenti assalti da pirati, soprattuto nordafricani.

Un giorno, un gruppo di pirati tunisini attraccarono presso Sant’Agnello, procedendo a saccheggiare il paese e prendendo in schiavi alcuni abitanti, come erano soliti fare. Lo scopo dei rapimenti era ricevere un riscatto da parte di alcuni enti fondati appositamente per questo genere di situazioni (i Monti di marinai schiavi) oppure vendere le persone sequestrate, o, in alternativa, impiegarli in pesanti lavori manuali.

Quel giorno, tra le persone ridotte in schiavitù, c’era proprio Mariano ed il suo equipaggio.

Ma non tutto il male vien per nuocere: nonostante la disavventura iniziale, giunto in catene insieme agli altri malcapitati a Tunisi, lui fu subito preso a lavorare dai suoi stessi rapitori. Molto furbamente, Mariano decise di collaborare con i tunisini con dedizione e obbedienza, imparando l’arabo e decidendo perfino, forse perchè realmente convinto dai tunisini, forse per opportunismo, di convertirsi alla religione islamica.

Passò del tempo e Mariano Stinga si fece notare dal Bey di Tunisi, Hamuda, la massima autorità di quella regione, che faceva capo all’Impero ottomano. Il sovrano rimase colpito dalla sua efficienza e collaboratività, oltre che dall’abilità linguistica del marinaio e della sua conversione, così decise di affidargli personalmente dei lavori, ospitandolo a tempo pieno nel Palazzo del Bardo, la residenza del sovrano.

Mariano Stinga Hamuda
Il Bey di Tunisi Hamuda ibn Alì

Un campano alla corte del Bey

Mariano strinse una solida amicizia con Hamuda, che lo apprezzò così tanto da nominarlo suo consigliere personale e poi perfino suo ministro, consentendogli di assisterlo nelle decisioni di tutti i giorni, nella traduzione delle lettere da parte delle principali cariche d’Europa e nella stipulazione di trattati.

Mariano Stinga palazzo del bardo
Tunisi, Palazzo del Bardo in una foto d’epoca. Oggi è un museo.

Tuttavia, Mariano aveva una grande influenza su Hamuda, al punto da scavalcarlo per alcuni aspetti. Infatti, quando i pirati riportavano in città degli schiavi prelevati dalle coste italiane, il loro “connazionale” aveva un occhio di riguardo nei loro confronti.

Una testimonianza dell’atteggiamento così generoso di Stinga lo si ha da un certo Gaspare de Martino, proprietario di alcune navi presso Meta di Sorrento. Durante un’incursione di pirati, fu rapito, proprio come accadde a Mariano, per poi essere portato fino a Tunisi in una nave, assieme ad altri schiavi.

Tutti gli uomini rapiti furono condotti a svolgere dei lavori molto faticosi per i loro carcerieri, tranne Gaspare, che fu molto sorpreso: fu assegnato, infatti, a custodire dei depositi di frutta. Poco dopo, Gaspare fu convocato dal ministro del Bey. La sua sorpresa fu ancora maggiore quando scoprì che si trattava di un suo connazionale, proprio Mariano Stinga, che gli si presentò calorosamente, parlandogli in napoletano.

Il favoritismo da parte di Mariano fu dovuto, in questo caso, al fatto che, riconoscendo Gaspare De Martino, si ricordò di aver lavorato per lui da ragazzo e che quest’ultimo fu molto benevolente nei suoi confronti. De Martino riucì a tornare a casa. E non fu l’unica persona aiutata da Mariano, infatti, sfruttando la sua posizione di potere, era solito mandare denaro alle famiglie degli uomini rapiti perchè potessero pagare il riscatto imposto, che non si sarebbero potuti permettere di tasca propria.

Durante la sua permanenza in Tunisia, sembra, inoltre, che avesse da tempo una relazione, in segreto, con la moglie del fratello di Hamuda, Othman.

La tragica fine di Mariano Stinga

L’attività di Mariano continuò indisturbata fino al giorno in cui, per una congiura di palazzo, il bey Hamuda fu avvelenato, il 15 settembre 1814.

Degli storici riportano che potrebbe essere stato lo stesso Stinga a somministrare un veleno al Bey, inserendolo nella sua pipa. Ciò che avrebbe spinto il ministro ad assassinare il suo sovrano è un ricatto: Othman avrebbe scoperto il tradimento della moglie, tuttavia decise di ribaltare la situazione, portandola a suo vantaggio. Avrebbe, infatti, ricattato Mariano, minacciando di umiliarlo pubblicamente e di farlo assassinare, se non avesse a sua volta ucciso l’uomo a cui doveva tutto il suo successo, il Bey in persona.

Mariano acconsentì, eliminando Hamuda dalla scena, con l’aiuto di un medico veneziano che aveva prodotto il veleno, liberando così la strada per il trono a Othman, che divenne il nuovo bey di Tunisi.

Ma Othman non si dimenticò dell’onta subita da parte di Mariano: decise di vendicarsi di lui, e ordinò a dei soldati di ucciderlo. Durante un normale giorno lavorativo al Palazzo, il 20 dicembre 1814, i soldati raggiunsero Stinga e lo decapitarono.

Ironia della sorte, lo stesso Othman fu vittima di una congiura, pochissimo tempo dopo il suo insediamento sul trono di Tunisi: appena un giorno dopo, nella notte tra il 21 e il 22 dicembre, fu ucciso da un cugino, anch’egli desideroso del titolo di bey.

-Leonardo Quagliuolo

Per approfondire:

Il Piano di Sorrento e la sua marineria” di M. Starita e A. Aversa

Gli stati dell’Africa settentrionale – Egitto, Cirenaica, Tripoli, Tunisi, Algeri, Marocco di Michael Russel

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