La corte borbonica fu sempre nota in tutta Italia ed Europa per le sue sfarzose cerimonie. Esse proseguirono nel corso di tutta la dinastia, spesso con l’obbiettivo di rinsaldare i legami tra la famiglia reale ed il ceto nobiliare e dei funzionari statali. Alcune delle cerimonie più memorabili del periodo borbonico ebbero luogo sotto il regno di Ferdinando II, ed è proprio di una di esse che parleremo oggi: il carnevale del 1846 tenutosi a Caserta. La fonte primaria di questo articolo è il volume “Il torneo di Caserta nel carnevale dell’anno 1846 descritto ed illustrato”, scritto da Domenico Ventimiglia nello stesso anno. Tutte le citazioni presenti in questo articolo sono afferibili a tale testo.

Il carnevale del 1846 in un dipinto del Fergola

Un carnevale inusuale: una giostra medievale innanzi alla reggia di Caserta

Il carnevale del 46 voluto da Ferdinando II fu inusuale anche per gli standard convenzionali di tale festività: le danze di palazzo furono sostituite da una giostra medievale, riprodotta con accuratezza e dedizione. Sono numerosi i rimandi alla tradizione storico – erudita che il Ventimiglia pone all’interno del suo testo: dal Muratori al Villani fino a citare i dibattiti ottocenteschi legati all’analisi storica delle giostre cavalleresche. Una forte attenzione fu quindi posta sulla precisione storica (quantunque possibile in un contesto ottocentesco) relativa al cerimoniale ed alle armature, nonché alle tecniche militari.

Un peculiare ruolo fu svolto, all’interno della cerimonia, dalle armature medievali dell’armeria reale, le quali furono adoperate per adornare i combattenti più valorosi dei vari tornei. In tal modo il passato del regno andava ad inverarsi nelle gesta (seppur carnevalesche) dei suoi nuovi governanti.

Il conte Gaetani di Giacomo in armatura medievale

I partecipanti al torneo

Principalmente i partecipanti al torneo furono i più alti funzionari dello stato, quindi generalmente i maggiori esponenti delle famiglie nobili del regno nonchè i vari membri della casa reale. Gli schieramenti in campo erano due: il primo, capitanato da Ferdinando II in persona, era detto “rosso” per via del colore dei suoi costumi. L’altro schieramento, quello dei “bianchi”, era capitanato dal Marchese Ferdinando Nunziante, all’epoca gentiluomo di camera e capo dei reali eserciti.

Il Ventimiglia spende gran parte della sua narrazione nel descrivere i paramenti dei vari guerrieri, con enorme dovizia di particolari. A valore esemplificativo riportiamo qui la descrizione dell’armatura di Ferdinando II:

“Primo dei dodici, come duce e moderatore di quella schiera di valorosi, era S. M. il Re, il quale avea il capo coperto da un cimiero elegantissimo nella sua semplice forma, e terminato pittorescamente da piume rosse. Il gorzarino copriva la gola per forma, che abbassata la visiera restasser coperti di acciajo il capo ed il collo fin dove faceva al petto schermo contro i colpi nemici la corazza anch’essa di acciajo, alla foggia di quelle che vennero in uso dopo il XIII secolo.

E sulla corazza la M. S. vestiva il sorcotto in velluto rosso, terminato da frange di oro, stretto ai fianchi da una cintura, e che scendea fino a coprir le ginocchia. Portava inoltre bracciali, manopole e guanti, gambiere o schinieri, onde tutta la vestitura rispondeva mirabilmente ai tempi in che i cavalieri dimisero gli elmi. Una ciarpa bianca a liste giallo-dorato posta ad armacollo, scendendo dal destro omero legavasi con molta grazia sul fianco sinistro, più in su da dove, ritenuta dal cinto, pendeva la lunga spada a due tagli (estocade), dai più antichi tempi venuta in uso fra gl’ltaliani, come dimostra il dottissimo Muratori”

Ferdinando II in armatura da cavaliere

Il pubblico del torneo era però più eterogeneo dei suoi partecipanti: numerosi accorsero a Caserta per vedere le giostre del re, utilizzando le strade ferrate o venendo dalla capitale su un cocchio. Scrive infatti il Ventimiglia:

“E non si tosto l’alba del dì 8 Febbrajo e quella del 15, in cui lo spettacolo si riprodusse, imporporarono l’oriente, che questa Napoli bella parve agitarsi e rimescersi di quella vita, che straordinari avvenimenti soglion solamente destare. Per quell’ insueto commuoversi fu di breve tempo, e poco dopo la città tutta rimase come diserta ed abbandonata , tanta era l’onda del popolo, che da tutte parti riversavasi a Caserta.

Perchè sulla via che là conduce era un brulicamento di uomini , di donne, di fanciulli, un correre incessante di cocchi , e direi quasi un urtarsi, in tanto gran numero essi erano, un echeggiar di canti e di suoni, uno scambiarsi di saluti e di cortesie

Nè meno bello e variato spettacolo si presentava agli sguardi di chi per la via ferrata recavasi a Caserta; chè là pure era un andare ed un venire di vagoni , un accorrer di uomini su tutti i luoghi ove i legni velocissimi soffermavansi“.

Ferdinando II a cavallo
Ferdinando II, capo della fazione rossa, a cavallo+

Lo scontro tra Ferdinando II ed il Marchese Nunziante

Tra le numerose prodezze che caratterizzarono il carnevale del 46 una tra tutte scosse l’animo degli spettatori: lo scontro decisivo tra le due fazioni. Iniziato come una lotta massiva tra tutti i partecipanti di entrambi gli schieramenti esso si protrasse lungamente, fino a che i due condottieri non decisero di decidere le sorti della battaglia in un duello alquanto violento: un vero e proprio scontro tra re Ferdinando II ed il marchese Nunziante. Ancora una volta ci affidiamo alle parole del Ventimiglia, dalle quali traspare al meglio il clima di quegli avvenienti:

“Ma la vittoria restò lungamente nel forse, fino a tanto che i capi delle opposte parti, vedutisi dalla lunga, dieder di sprone ai lor palafreni spingendoli a sfiatato corso, ed avvisaronsi di tratto, volendo con un parziale cimento decider la sorte della mischia. Violento fu il primo cozzo, e tale, che avresti detto basterebbe a metter giü di sella uno dei due combattenti ; ma essi stetter fermi sugli arcioni, e si strinser tanto l’un l’altro, che parea fossero un sol corpo, mentre i cavalli cozzavan pure fra loro quasi volessero a vicenda ferirsi col ferreo corno, di che irta la fronte.

Addivenuta impossibil cosa il combatter delle spade, impugnaron le mazze ferrate, e dopo non breve martellar di colpi con maestria avventati, con non minor maestria schermiti, il capo della fazion rossa, come più gli venne in taglio, aggiustò un colpo poderoso al nemico là ove l’elmo si univa al gorzarino a difesa del collo, ed allora i trombettini dier nelle trombe, ed il re delle armi dispiccossi onde metter termine al combattimento, perchè la vittoria stava per quelli che si accoglievano sotto il vessillo rosso.

“Il cavaliere nero col suo seguito”, altra immagine del carnevale di Ferdinando II

La vittoria di Ferdinando II fu probabilmente stabilita sin dall’inizio. Tuttavia lo spettacolo offerto da un evento simile doveva essere del tutto fuori dalla norma: un sovrano europeo che combatteva in paramenti medievali contro i membri della sua corte in una giostra carnevalesca.

Il carnevale del 46 e le sue implicazioni ideologiche

Le feste di corte, dietro lo sfarzo e la ricchezza che le contraddistinguono, nascondono spesso significati sottesi di natura ideologica o politica. Il carnevale del 1846 non è esente da tale connotazione. Innanzi tutto bisogna tenere ben presente cosa rappresentasse, nella mentalità europea ottocentesca, il periodo medievale. Una rinnovata tradizione di studi su tale arco cronologico interessò tutto l’ottocento: esso divenne elemento di legittimazione dei vari poteri presenti in Europa, nonché elemento fondamentale delle nascenti identità nazionali.

Come abbiamo precedentemente dimostrato una forte tensione verso un elemento storicizzante è presente anche nel carnevale medievale di Ferdinando II: nello scritto del Ventimiglia è centrale la figura di Carlo d’Angiò, il quale avrebbe portato la tradizione dei giochi cavallereschi in Italia. Particolarmente importante appare poi l’utilizzo delle armi dell’armeria reale come premio.

L’armeria di Capodimonte

Esse rappresentano “incominciando dalla spada di Ruggiero fino a quella di Carlo III otto secoli di monarchia”. L’utilizzo di tali armi come premi equivaleva quindi a riallacciarsi con la storia precedente del regno, in una visione di continuità tra le varie dinastie susseguitesi nei secoli. Si tratta palesemente di una rifunzionalizzazione del passato medievale del regno delle due Sicilie in una chiave che potrebbe esser definita, in maniera molto ampia, “nazionale”.

Ma gli elementi ideologici non si fermano ad un recupero del passato medievale in una dimensione meramente storica: il medioevo si configura, nello scritto del Ventimiglia, come sede naturale delle virtù aristocratiche e della serenità dei popoli in congiunzione con l‘autorità del sovrano, visto come padre amorevole.

Tutte queste categorie interpretative, tipiche dell’antico regime, appaiono riproposte nella narrazione del Ventimiglia in maniera non casuale: il carnevale voluto da Ferdinando II era sia un messaggio ideologico di natura storica che di natura politica con il quale andava a plasmarsi una determinata immagine delle politiche e degli schemi interpretativi che animavano la corte partenopea.

-Silvio Sannino

ritratto di Ferdinando II

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