La battaglia di Lepanto fu considerata dalla storiografia ottocentesca come uno dei punti di svolta centrali dell’Europa moderna. Ricerche più recenti, pur ridimensionando le conseguenze dell’evento, hanno comunque rimarcato la sua importanza , specialmente da un punto di vista tecnico-militare.
Quella di Lepanto fu l’ultima grande battaglia combattuta per l’egemonia mediterranea. Il contesto mediterraneo, centro del mondo afro-europeo per molti secoli, sarebbe divenuto ben presto periferico rispetto a quello atlantico. Una svolta in senso globale fu compiuta proprio dal sovrano che più spinse verso una piega egemonica mediterranea in chiave antiturca: Filippo II, il re prudente.
Ma quale fu il contributo dei regni di Napoli e Sicilia alla battaglia di Lepanto? Come contribuirono quelle terre, cuore del mediterraneo e possedimento centrale della corona spagnola, all’impegno militare contro i turchi?
Il meridione e la potenza turca
Nel corso dei secoli il sud Italia, pur caratterizzato (salvo ambiti relativamente delimitati dal punto di vista cronologico e territoriale, come la Sicilia Aghlabita) da una componente religiosa a maggioranza cristiana, non disdegnò quasi in nessuna epoca i rapporti commerciali e culturali con le potenze musulmane.
Partendo dai ducati indipendenti di Napoli, Salerno ed Amalfi fino ad arrivare alla costituzione del regno di Sicilia normanno-svevo il sud Italia fu interessato da un fortissimo legame con il mondo greco-ortodosso ed arabo-musulmano. Certo, sarebbe implausibile concepire tale rapporto in una “visione irenica” (Marco di Branco), tuttavia bisogna notare che tali rapporti, anche nei periodi di più esacerbata conflittualità, andavano purtuttavia a confluire sovente in un momento di confronto tra popoli diversi.
Ciò andò generalmente cambiando con due eventi: le crociate e l’espansione turca. Entrambi andarono a destabilizzare i precedenti equilibri mediterranei: le crociate inasprirono i rapporti tra mondo musulmano e cristiano, mentre l’espansione turca, oltre ad infliggere il colpo di grazia all’impero costantinopolitano, fu caratterizzata da una nuova tendenza all’espansionismo militare del mondo musulmano, il cui obbiettivo ultimo era conquistare non solo la seconda Roma, ma anche la prima.
Questa nuova espansione in occidente non poteva avere nessun altra via se non quella dell’egemonia mediterranea. Fu in questo periodo che andarono ad intensificarsi enormemente le incursioni piratesche, le quali danneggiarono pesantemente i commerci e la vita civile dei regni di Napoli e Sicilia. L’intervento turco non fu solamente navale: nel 1480 l’esercito turco espugnò Otranto e cercò di espandersi negli altri territori delle Puglie. La guerra d’Otranto risultò fallimentare per i Turchi sia per la risposta degli stati Italiani che per la prematura morte di Maometto II e lo scompiglio derivatone in territorio Ottomano.
Tuttavia le azioni militari dei turchi non si fermarono lì: la vita nel mezzogiorno, per alcuni secoli, fu contraddistinta dalla perenne minaccia ottomana. Si trattava di una situazione di forte mobilitazione: la rete dei castelli fu ristrutturata e riedificata, furono allestite varie squadre navali (specialmente nelle puglie), richiamati contingenti militari sia autoctoni che iberici.
Un apparato militare così vasto (di media grandezza nei contingenti militari, ma di dimensioni ben maggiori per quanto concerne le fortificazioni) necessitava di un continuo afflusso monetario. Tale spesa, sommata alle tasse richieste dal governo iberico per motivi di analoga mobilitazione militare, rese estremamente precaria la vita economica del mezzogiorno specialmente per i ceti subalterni, sui quali gravavano le numerose imposte dei due vicereami.
L’importanza geopolitica del meridione nei disegni di egemonia mediterranea di Filippo II era punto cardine delle sue strategie militari. E’ anche per questo motivo che i vari viceré dei due regni si concentrarono moltissimo sul miglioramento degli apparati difensivi. Il sud Italia costituì per Filippo II e per la Lega Santa un contesto di primaria importanza per l’organizzazione della flotta ed il suo approvvigionamento, come vedremo nei seguenti paragrafi.
I preparativi per Lepanto: le flotte cristiane tra Napoli e Messina
Le flotte cristiane arrivarono, seppur in momenti diversi, presso Napoli, dove varie strutture erano state allestite per la manutenzione dei grandi vascelli. Il primo contingente ad arrivare fu quello dello stato pontificio guidato da Marcantonio Colonna. Lo storico Luigi Conforti, verso la fine dell’ottocento, dopo aver consultato numerose cronache dell’epoca, descrisse così l’entrata del Colonna a Napoli:
“Non si potrebbe narrare con quanta festa ed allegrezza fu Marcantonio accolto in Napoli . Erano alla riva per riceverlo il Cardinal Viceré ed i ministri regi. Da Santelmo, Castelnuovo e Castel dell’Uovo davasi foco alle più grosse artiglierie ed il popolo napoletano, versato a calca sul molo, acclamava strepitosamente l’arrivo dei Romani“.
Successivamente arrivò nella capitale anche il contingente di Don Giovanni D’Austria, condottiero dell’armata spagnola e fratellastro di Filippo II, tra i personaggi più famosi dell’epoca. Anche l’entrata a Napoli del figlio di Carlo V viene descritta dal Conforti:
“Ai 9 di agosto, fatta la solenne entrata nel porto di Napoli con le sue quarantaquattro galee, egli ebbe a provare di quanto entusiasmo sia capace il popolo partenopeo. […] In Napoli non poteva Don Giovanni ottenere migliore accoglienza di quella che gli Eletti della città col Cardinal Viceré vollero fargli. Gli Eletti di Napoli furono incontro al Principe su di un magnifico ponte, sul quale stavano il Cardinal Viceré e tutto il fiore della cittadinanza napoletana.
Don Giovanni fu accompagnato da Alessandro Farnese Principe di Parma e da Francesco Maria della Rovere Duca di Urbino. Il popolo, straordinariamente stipato sulle vie al passaggio del bellissimo principe, era incantato a vederlo duce di quell’armata detta poi l’Invincibile […]
Trattenutosi alcuni giorni in Napoli Don Giovanni per le provvisioni dell’armata, era sempre fatto segno alle più vive dimostrazioni d’affetto. A vederlo sul suo brioso destriero, a capo d’una immensa cavalcata di tutti i Prin cipi e Baroni del Regno, v’era di che esaltarsi”.
L’evento più importante tenutosi a Napoli nel corso della permanenza di Don Giovanni D’Austria fu la consegna a quest’ultimo del santo stendardo. Essa si tenne presso Santa Chiara, con grandissimo sfarzo e giubilo. Fu lo stesso Antoine Perrenot, cardinale e viceré di Napoli, a consegnare lo stendardo di Lepanto a Don Giovanni D’Austria. La scena è riprodotta in una famosa medaglia dell’epoca che, oltre a ritrarre la consegna fisica dello stendardo, riesce a farci intravedere una piccola parte delle fattezze cinquecentesche della basilica di Santa Chiara.
L’arrivo della flotta cristiana a Messina fu altrettanto festoso. I grandi della città accolsero calorosamente la flotta, anche se il suo arrivo fu contraddistinto da un forte ritardo (di circa quattro mesi) rispetto alla prestabilita tabella di marcia. L’organizzazione del coordinamento delle varie flotte all’interno del porto Messinese fu cosa alquanto ardua, tuttavia svolta con forte abnegazione dalle autorità cittadine.
Messina andava a configurarsi ancora una volta come porto centrale nello scacchiere mediterraneo, radunando nelle sue acque alcuni tra i più importanti uomini dell’Europa cinquecentesca. Con ogni probabilità le autorità siciliane furono estremamente favorevoli all’impresa di Lepanto: la pacificazione dei mari e la difesa dai turchi era una loro pressante sollecitudine.
Scrisse infatti lo storico Giuseppe Arenaprimo nel suo saggio “La Sicilia nella battaglia di Lepanto” che: ” (la città era) lieta di vedere radunate nel proprio porto le prime armi contro un popolo invasore , che per tanto tempo aveva messo a sacco ed a fuoco le sicule spiaggie, ed era stato di ostacolo al libero svolgimento del commercio, sorgente floridissima di prosperità alla nostra Messina“.
Così lo stesso storico descrive l’entrata di Marcantonio Colonna nel porto cittadino: “E dopo che sulle vetustissime torri del regio palazzo, come prima fortezza del regno di Sicilia, fu issato il vessillo di Spagna, il baluardo di S. Giorgio a Molovecchio ed il forte del SS. Salvatore, sull’estremo lembo del ricurvo braccio di S. Raineri, dieder fuoco alle più grosse artiglierie, rispondendo al saluto a nome della città […]
Marcantonio Colonna, invitato dagli ambasciatori del nostro Senato, ad entrare in città e di godere le feste che gli si erano preparate, ricusò di sbarcare in terra, scrive lo storico Gallo «accettando soltanto il dono che la Città era solita offrire ai generali delle Armate, ai viceré e ai signori di gran conto. »
I preparativi per Lepanto non furono però cosa facile: l’approvvigionamento della flotta fu uno dei problemi centrali della permanenza a Messina. Un repentino rialzo dei prezzi nonché un rifiuto, da parte dei commercianti Messinesi, di accettare valuta veneta, costituirono i maggiori ostacoli all’allestimento dei preparativi della flotta, tanto da spingere alcune navi (specialmente venete) a rifornirsi nei porti Pugliesi e Calabresi, dove i prezzi erano più favorevoli.
Nonostante le difficoltà nel 24 agosto del 1571 si celebrò, in acque messinesi, il primo consiglio di guerra della flotta. La flotta, prima di partire alla volta di Lepanto, venne benedetta nel duomo di Messina, all’epoca (probabilmente) ancora adornato da numerosi mosaici normanno-svevi.
Il contributo Napoletano e Siciliano all’armata di Lepanto
Appare difficile quantificare con certezza quanti meridionali parteciparono alla battaglia di Lepanto: le gesta dei condottieri meridionali sono famose, essi furono parte integrante degli strateghi che parteciparono allo scontro di Lepanto; il loro operato è ben documentato da una ricca tradizione biografica. Appare tuttavia ben più difficile definire il quantitativo di semplici fanti e marinai, siciliani o napoletani, che parteciparono alla battaglia.
Il loro numero dovette essere tuttavia relativamente consistente. Per riprendere nuovamente una formulazione del Conforti: “Volendosi infatti tessere la storia delle innumeri leve di soldati che questo regno ha largito ai despoti stranieri, meglio gioverebbe dire che in Napoli vi fu perenne arruolamento nelle storiche piazze , al batter del tamburo, quasi si trattasse d’un vero mercato d’uomini.“
Appare tuttavia più semplice valutare il contributo navale che i due regni diedero alla flotta di Lepanto. Per il regno di Napoli ci affideremo nuovamente al saggio del Conforti: “Per le Armate marittime, in quella della Sacra Lega erano, al dir del Costo : nove vascelli e trenta galere di Napoli, la cui capitana soccorse la Reale di Don Giovanni, azzuffatasi con l’opposta Turchesca. Trentasei galere nell’anno seguente all’armata della Lega si unirono”.
Per la Sicilia, invece, vi è la descrizione del già citato Giuseppe Arenaprimo: “dieci galere, fra le quali le sei ordinarie del Regno e le due ben fornite di ogni apparato di guerra presentate a Sua Maestá dalla città di Palermo“. Un contributo per nulla scontato e dalle dimensioni significative, specialmente se viene tenuta a mente la difficoltosa situazione dei due regni dal punto di vista finanziario e militare.
–Silvio Sannino
Bibliografia
Marco di Branco, 915. La Battaglia del Garigliano, Cristiani e Musulmani nell’Italia medievale, editore il Mulino.
Mario Gallina, la formazione del Mediterraneo medievale, manuale di storia medievale Donzelli.
Hugo Vazquez Bravo, Maria Sirago, José Ignacio de la Torre Rodriguez, Angelo d’Ambra, Davide Alessandra. I regni di Napoli e Sicilia nel XVI secolo, dalla battaglia di Cerignola alla conquista del Portogallo, quaderni di Historia Regni, D’Amico editore, dicembre 2019.
Giuseppe Arenaprimo, La Sicilia nella battaglia di Lepanto, Messina, Giuseppe Principato editore, 1892.
Luigi Conforti, I Napoletani a Lepanto, Napoli, casa editrice artistico-letteraria, 1886, prefazione di Bartolomeo Capasso.
Lascia un commento