Se dico “sirena”, cosa ti viene in mente? Probabilmente bellezza, pericolo, seduzione, musica. La sirena è, infatti, una delle figure più affascinanti e misteriose di sempre.

Descritta e rappresentata come un mostro degli abissi, caro al cinema horror, o come la bellissima principessa del mare di Hans Christian Andersen, la sirena è una creatura propria di quasi tutte le culture del mondo, dalla Ningyo giapponese a Sedna, la dea del mare Inuit.

La sirena è presente anche nel nostro folklore mediterraneo già dai tempi di Omero e chissà, forse anche da prima. Ma in origine non era descritta come la immaginiamo oggi.

L’evoluzione della sirena nella storia

Solo in epoca medievale, con la contaminazione culturale dei popoli provenienti dal Nord Europa, anche da noi è arrivata la sirena così come la conosciamo: dalla vita in su una splendida ragazza, dalla vita in giù una coda di pesce, una figura sensuale e ammaliatrice che, con il suo canto, invitava gli uomini a seguirla nelle profondità del mare, conducendoli a morte certa.

Con la visione del mondo allegorica dettata dal cristianesimo medievale, questa figura è diventata simbolo di lussuria e perdizione e, quindi, di peccato, e fu spesso associata al diavolo e al male.

Nella cultura dell’antica Grecia, invece, è rappresentata come un essere mostruoso e terrificante, metà donna e metà uccello, simile a quella che oggi chiameremmo “arpia”, dotata, però di un meraviglioso e dolce canto, irresistibile per i marinai e i viaggiatori che si imbattevano in loro. Le sirene li ammaliavano per poi ucciderli e divorarli. Alcuni autori riportano che il loro canto era incomprensibile agli umani. Omero descrive le sirene come creature che sanno tutto ciò che sulla Terra è accaduto e accadrà, sono depositarie di un sapere assoluto, e racconta di come tentarono di incantare Ulisse (dotato di un insaziabile desiderio di apprendere), promettendogli la conoscenza di tutte le cose del mondo. Ulisse volle ascoltare a tutti i costi il canto delle sirene, e per proteggere i suoi compagni disse loro di tapparsi le orecchie con della cera, mentre lui si fece legare all’albero maestro della nave vietando categoricamente ai suoi uomini di slegarlo o di cedere alle sue richieste, qualsiasi cosa fosse accaduta.

La sirena Partenope e il legame con la città

Il mito omerico è ripreso da Apollonio Rodio, il quale racconta che Partenope, una delle sirene respinte da Ulisse, andò a morire d’amore sull’isolotto di Megaride, dove ora sorge il Castel dell’Ovo. Lì venne trovata dai greci cumani, che le diedero una degna sepoltura e iniziarono a venerarla come dea protettrice, costruendole un santuario e edificando la città di Partenope (in seguito Palepolis e poi Neapolis) proprio a partire dall’isolotto di Megaride. Si dice che la sua tomba sia ancora da qualche parte in città.

La leggenda narra che Napoli sia nata proprio così, dalla morte per amore, dall’unione di eros e thanatos. Da una creatura capace di uccidere e di amare. Ma soprattutto da una figura femminile tradizionalmente caratterizzata da una sensualità pericolosa, una femminilità distruttiva e non creatrice; dalla sessualità ma non dalla maternità (parthenos significa “vergine” in greco antico), si potrebbe perfino definire un’anti-madre. Eppure ha dato vita a un’intera città: la sirena Partenope è vista, infatti, come una sorta di Madre dai napoletani.

D’altronde, si sa, il canto è una delle caratteristiche principali della sirena e a Napoli è vivo e risuona in ogni piazza, in ogni strada, in ogni casa. Perché, come dice la canzone: “E so’ napulitan, e si nun canto ij moro!”.

-Claudia Paesano

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