Il periodo vicereale, nonostante i suoi ben noti elementi di tensione e crisi, fu per il meridione un’epoca di grande vivacità artistica e culturale. Moltissimi furono gli uomini di cultura nati e vissuti nei regni di Napoli e Sicilia sotto l’egida degli Asburgo: Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Bernardino Telesio, Torquato Tasso, Giambattista Marino per citare solo alcuni tra i nomi più noti. Non a tutti però è stata destinata la stessa fama presso la posterità. Sono moltissimi i personaggi che, nonostante il loro indubbio contributo alla vita culturale del meridione e dell’Europa intera, risultano per lo più sconosciuti al grande pubblico.

Tra di essi va sicuramente annoverato Torquato Accetto. Esimio poeta attivo nella Napoli barocca che ebbe una discreta fama letteraria all’epoca, per poi venir dimenticato fino alla sua riscoperta negli anni 20 del 900. Le sue opere giunte fino a noi, per quanto esigue, tracciano la figura di un intellettuale dalle larghe vedute e capace di riflessioni di ampio respiro, veicolate da una profonda conoscenza letteraria e filosofica dei classici antichi e moderni.

veduta di Napoli, primi del 600. Veduta priva del Vesuvio, come in uso presso la paesaggistica di Napoli fino al 700

Torquato Accetto: una biografia problematica

Su Torquato Accetto si hanno ben pochi riferimenti biografici, per lo più derivanti dai suoi stessi componimenti poetici. Nacque verso la fine del 500 a Trani, da Baldassare Accetto e Delia Sangiorgi. In alcuni suoi sonetti nomina anche un fratello minore di nome Rodrigo. Non si dispone al momento di altre informazioni sulla sua vita familiare. La sua educazione dovette essere di grande qualità, legata principalmente alla filosofia ed alle lettere seguendo principi pedagogici simili a quelli umanistici.

Tuttavia le sue condizioni economiche non gli permisero di seguire la vocazione letteraria in maniera indisturbata. Spinto da necessità si spostò nel 1612 ad Andria, dove divenne segretario presso i duchi Carafa. Un destino comune a molti letterati dell’epoca che spesso, spinti da motivi economici, si dedicavano all’amministrazione dei beni feudali del patriziato meridionale. Si pensi che anche il Basile, per buona parte della sua vita, affiancò all’impegno letterario mansioni di tipo amministrativo.

cartina seicentesca di della città di Andria con stemma dei Carafa

Fu probabilmente durante il periodo di servizio presso i duchi Carafa che Torquato Accetto maturò molte delle sue idee morali. Il contatto con la cruda e violenta realtà delle corti feudali ebbe una profonda influenza sulle riflessioni del poeta riguardo la dissimulazione ed il suo rapporto con la Verità che troviamo esemplificate nei suoi lavori letterari. Nel 1618 è attestata la presenza di Torquato Accetto a Napoli presso l’Accademia degli Oziosi.

All’epoca l’Accademia, fondata da Giovan Battista Manso, era probabilmente l’istituzione letteraria più attiva presso la capitale del regno, frequentata da personaggi del calibro di Giovan Battista Della Porta e John Milton. Proprio presso l’accademia fu pubblicata la prima raccolta di Rime di Torquato Accetto, edita in calce alle Poesie Nomiche del Manso. Le Rime furono oggetto di numerose revisioni e riedizioni dal 1621 al 1638. La poesia di Torquato Accetto fu quindi sovente oggetto di un puntiglioso labor limae sia concettuale che stilistico.

stemma dell’Accademia degli Oziosi

Le Rime di Torquato Accetto

Il modello di riferimento di Torquato Accetto dal punto di vista formale e linguistico era il petrarchismo Bembiano collimato, in campo tematico, con i classici della sua epoca (primi tra tutti Torquato Tasso e Giambattista Marino). L’influenza dei classici moderni si riscontra anche nell’organizzazione dell’opera: nelle Rime Torquato Accetto adotta un modello di suddivisione delle poesie per tematiche seguendo l’esempio di Giambattista Marino.

In questi componimenti l’autore manifesta una peculiare necessità di ricerca del Vero. Rispetto a tale tematica il poeta si lega a due tradizioni: la prima è quella del neoplatonismo rinascimentale inaugurata da Marsilio Ficino. La seconda (e forse la più sentita da Torquato Accetto) è quella che si lega ai Discorsi del poema eroico di Torquato Tasso. In essi il poeta sorrentino indica come fine ultimo della poesia la ricerca e lo svelamento della verità, intesa come elemento non solo tematico ma anche etico e morale.

Prevale quindi la concezione di una poesia pedagogica, il cui compito è quello di condurre il lettore verso il bene e la Virtù. Nelle Rime di Torquato Accetto si riscontra l’utilizzo di immagini neoplatoniche come il velo, la notte ed il giorno. Tra tutti questi simboli colpisce l’utilizzo dell’ombra, intesa come punto intermedio tra giorno e notte, tra verità e menzogna. L’ombra non costituisce uno stato negativo di per sé, ma rappresenta una condizione intermedia che tende sempre verso la luce e quindi verso la Verità e la Virtù.

“La Gerusalemme conquistata”, edizione definitiva de “La Gerusalemme liberata” composta dal Tasso secondo i dettami dei suoi “Discorsi del poema eroico”.

L’opera magna di Torquato Accetto: “Della dissimulazione onesta”

Il breve trattato edito a Napoli nel 1641 va ad inserirsi in un più ampio dibattito interno all’Accademia degli Oziosi. Esso infatti costituisce una risposta all’Apologia della menzogna, testo scritto dal letterato Giuseppe Battista atto a dimostrare come la menzogna fosse presente in ogni contesto, costituendo alle volte anche una preferibile alternativa alla verità. Entrambi i testi sono parte del grande discorso sulla ragion di stato che ebbe ampia popolarità in Italia sin dalla pubblicazione de Il Principe.

Nonostante ciò essi possono essere considerati anche trattati di etica, poiché l’utilizzo di determinati comportamenti non viene limitato solo all’ambito politico ma in generale esteso anche ai contesti della vita quotidiana. Ciò è soprattutto presente nel testo di Torquato Acceto. Nel Della dissimulazione onesta l’autore cerca di trovare un modo per sopravvivere alla brutalità del mondo senza abbandonare la virtù e la verità. Un’alternativa viabile è trovata nell’arte del dissimulare.

Lorenzo Lippi (1606-1665): “allegoria della simulazione”

Per dissimulazione si intende l’arte del nascondere la realtà senza mentire, coprendo quindi la Verità con un velo d’ombre per poi rivelarla al momento più opportuno. Tramite la dissimulazione, secondo Torquato Accetto, non si simula qualcosa di diverso dal Vero, limitandosi a nascondere la Verità senza mai distogliere la propria mente da essa, per poi raggiungerla al momento più opportuno.

Il dissimulare consente quindi agli uomini virtuosi di resistere ai rovesci della fortuna adattandosi alle difficoltà dettate dalla sorte senza però macchiarsi di alcuna empietà. “Estote prudentes sicut serpentes, et simplices sicut columbae” (“Siate prudenti come i serpenti, e candidi come le colombe“), così recita una delle citazioni più famose dell’opera di Torquato Accetto, ripresa dal Vangelo di Matteo.

La dissimulazione per l’autore è una vera e propria arte, intesa in senso rinascimentale, come una tecnica che si impara tramite una rigida disciplina morale. Tale tecnica è in linea con il concetto di prudenza tipica dei testi sulla ragion di stato di epoca rinascimentale (si pensi ai Ricordi del Guicciardini) e costituisce un elemento di derivazione ciceroniana. La prudenza rimanda inoltre alla tradizione Stoica, alla quale l’autore si collega in varie parti del testo. Basti pensare che il quindicesimo capitolo è completamente dedicato all’allontanamento ed al controllo dell’ira, intesa come “nimica della dissimulazione“.

Tiziano (1490-1576), allegoria della prudenza

Peculiare appare nell’opera l’utilizzo di innumerevoli citazioni. Il materiale utilizzato dall’autore è estremamente vario: si va dai testi sacri a Dante, dalla poetica rinascimentale ai classici moderni come Marino e Tasso, ponendo peculiare attenzione verso la tradizione della classicità latina. La citazione non costituisce semplicemente un motivo erudito tipico dell’epoca, bensì parte integrante delle finalità argomentative del testo. I riferimenti ad altri autori non sono slegati dal discorso principale, anzi, sono sua parte integrante e dimostrano la profonda cultura ed elasticità mentale dell’autore.

Per Torquato Accetto un unico giorno sarà libero dalla necessità del dissimulare: il giorno del giudizio universale. In quel giorno essendo “finiti gli interessi umani, i cuori più manifesti che le fronti […] non averà a che far la dissimulazione tra gli uomini“. L’orizzonte concettuale dell’autore è quindi di tipo escatologico ed inscritto nella tradizione cristiana. Appare anche peculiare, verso la fine del capitolo, un possibile attacco al Machiavelli. Per l’autore durante il giorno del giudizio “non gioverà cucire la pelle della volpe dove non arriva quella del leone“.

Il testo del letterato fiorentino non poteva essere citato in maniera esplicita, essendo stato posto nell’indice dei libri proibiti. Questa ipotetica stoccata al machiavellismo può essere considerata sia come una dimostrazione di ortodossia religiosa sia come una sincera presa di posizione da parte di Torquato Accetto, andando così a legarlo al filone dell’antimachiavellismo, popolarissimo nel meridione seicentesco.

La conclusione del trattato costituisce un vero e proprio elogio della dissimulazione. La dissimulazione viene qui intesa come “decoro di tutte l’altre virtù“, poiché esse “son più belle quando […] son dissimulate“. La dissimulazione, per l’autore, si crea tramite “il non creder a tutte le promesse, il non nudrir tutte le speranze“, configurarsi in tal modo come una vera e propria protettrice non solo degli uomini di stato, ma di tutti gli uomini virtuosi. L’elogio si chiude con queste parole: “di renderti grazie, offenderei le tue leggi non dissimulando quanto per ragione ho dissimulato“.

Della dissimulazione onesta, Torquato Accetto
Della dissimulazione onesta, Torquato Accetto

La riscoperta

Fu il grande filosofo Benedetto Croce a riscoprire i testi di Torquato Accetto negli anni 20 del 900. Il Croce ne riconobbe l’indubbia validità riportandoli all’attenzione della critica dopo quasi 300 anni di oblio. E’ anche probabile che il Croce, nei duri anni del ventennio, abbia trovato conforto e rifugio nei testi dell’Accetto.

Oggi, nonostante la poca notorietà presso il grande pubblico, i lavori di Torquato Accetto hanno acquisito una certa importanza presso gli studiosi, considerati come importanti attestazioni del seicento Italiano ed Europeo, nonché come opere letterarie di spessore. Il lavoro di Torquato Accetto, nonostante le differenze dovute ai secoli che ci distanziano da lui, è ancora capace di parlare all’animo dei lettori, costituendo un grande elemento di riflessione per un’epoca come la nostra, così distante da quella di Accetto eppure, per molti aspetti, molto vicina ad essa.

Silvio Sannino

foto d’epoca di Benedetto Croce

Bibliografia

Torquato Accetto: della dissimulazione onesta

Giancarlo Alfano – Paola Italia – Emilio Russo – Franco Tomasi: Letteratura italiana: da Tasso a fine Ottocento, Mondadori

Damiano D’Ascenzi: Ricerche sulle prose di Torquato Accetto e altri studi, edizioni Nuova Cultura, 2016

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