Le fontane della Duchessa d’Aosta sono due delle opere pubbliche che quest’ultima, straniera d’origine, ma napoletana d’adozione, volle costruire a sue spese, come dono alla popolazione che risiedeva nelle aree meno urbanizzate della città.
Una fontanella rovinata, senza più rubinetto nè vasca e nella quale non scorre più acqua è l’ultima testimonianza delle antiche tradizioni contadine della periferia di Napoli. Tutt’oggi risulta completamente abbandonata e non più funzionante, destino analogo all’antistante complesso di edifici che un tempo era l’Ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi.
Il medesimo destino è toccato ad un’altra fontana, situata nei pressi del tondo di Capodimonte, nel piazzale della chiesa dell’Incoronata madre del buon consiglio.
La fontana di Capodichino
La prima delle fontane della Duchessa si trova su Calata Capodichino, una strada voluta da Ferdinando IV per collegare le terre di lavoro di Secondigliano al centro della città, in sostituzione della stradina di campagna che poi ha fatto assumere alla zona la denominazione di Capodichino, da “Caput de clivo“, proprio in riferimento al fatto che questa risalisse sulla collina fino al suo punto più alto, per poi discendere nuovamente verso l’area pianeggiante dove oggi sorge l’Aeroporto internazionale di Napoli.
Il cammino da Secondigliano a Piazza Mercato, però, era piuttosto lungo e gli animali avevano bisogno di un punto di ristoro a metà strada, in modo da bere e riposarsi.
Ci vorranno 150 anni dalla nascita della strada per vederlo sorgere: ci pensò, nel 1943, con una donazione spontanea la Duchessa Elena D’Aosta, discendente della nobilissima famiglia dei regnanti francesi D’Orleans.
Amatissima dai napoletani, ricambiava l’affetto della popolazione finanziando la costruzione di opere pubbliche, fra cui proprio questa fontana ed altre, come quella di Capodimonte, anch’essa oggi in stato di abbandono.
I residenti più anziani di Secondigliano e Capodichino ancora oggi ricordano i propri genitori che portavano gli animali ad abbeverarsi alla fontana, prima di scendere al mercato a vendere i prodotti della terra.
Poi finì la guerra, arrivò il benessere, i palazzi, l’urbanizzazione: le campagne diventarono cemento e gli animali nelle stalle furono sostituiti dalle autovetture nelle autorimesse, che cominciarono ad essere sempre più diffuse tra i cittadini di Napoli, una tendenza che tutt’ora è in crescita e che, chiaramente, ha sottratto sempre più spazio alle aree rurali entro i confini cittadini.
E la fontana, dopo gli anni ’80, fu definitivamente lasciata fra le erbacce e la spazzatura. Oggi il muro sul quale è posizionata è in pessime condizioni e rischia di trasformarsi nella lapide di una piccola parentesi della storia umile di Napoli, proprio come accaduto per l’altra fontana donata dalla Duchessa.
La fontana di Capodimonte
Nell’ultima curva di via Capodimonte, a poche decine di metri di distanza dall’omonimo tondo, che poi dà accesso al lungo Corso Amedeo, c’è la seconda delle fontane della Duchessa d’Aosta, donate alla popolazione di quelle che erano le zone più rurali e periferiche di Napoli.
Dotata di due archi, teste di leone decorative e ben tre vasche, è più appariscente rispetto alla “sorella” di Capodichino. Fu costruita nel 1939, con lo stesso scopo e anch’essa oggi verte in stato d’abbandono.
Elena d’Aosta era particolarmente affezionata alla zona di Capodimonte, infatti, trascorse molto tempo nelle aree ai piedi di quel che sarebbe diventato il futuro viale Colli Aminei: nel 1905, decise di trasferirsi a tempo pieno nella Reggia di Capodimonte, dove sarebbe rimasta fino ai suoi ultimi anni.
Di sua iniziativa è anche la conversione di una villetta non distante da lì in un ospedale per anziani, che successivamente le sarebbe stato intitolato. L’istituto Elena d’ Aosta è ancora oggi un presidio ospedaliero attivo, ma non più immerso nel verde come un tempo.
L’ultimo dono della Duchessa, prima di morire (oltretutto sempre in Campania, a Castellammare di Stabia”), fu una vasta collezione di volumi, circa undicimila, alla Biblioteca Nazionale di Napoli, oltre alla sua non meno vistosa collezione di trofei di caccia.
-Leonardo Quagliuolo
Per approfondire:
“Piazze e fontane di Napoli” di Felice de Filippis
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