Il Parco Archeologico di Pompei, dal 4 al 7 ottobre del 1971, divenne la cornice di un’opera resa leggendaria. Nell’Anfiteatro romano degli Scavi si esibirono i Pink Floyd, per un insolito concerto a porte chiuse. Lo scopo era realizzare uno straordinario film-documentario dedicato alla rock band britannica. L’ispirazione che avrebbe portato al progetto “Live at Pompeii” venne al regista Adrian Maben proprio durante la visita dell’antica città romana.

L’anfiteatro romano di Pompei durante l’orario di apertura al pubblico, dove fu girato Pink Floyd: Live at Pompeii.

La scelta di Pompei

Adrian Maben aveva studiato a Roma al Centro Sperimentale di Cinematografia e desiderava ritornare in Italia con la sua fidanzata. Fu proprio dopo la visita delle rovine pompeiane che il regista documentarista si accorse di aver smarrito il passaporto.

Ritornò quindi all’ingresso degli Scavi e gli fu permesso di rientrare per cercare il documento. Le strade dell’antica Pompei erano adesso vuote, così come deserto era l’anfiteatro. Maben racconta come riecheggiassero persino i suoni degli insetti. Fu in quel momento che realizzò di dover girare lì un documentario dedicato ai Pink Floyd, con cui aveva già avuto interlocuzioni in passato.

Quando mi arrampicai in cima alla struttura sentii uno straordinario concerto di pipistrelli e grilli che facevano eco tra le pareti in pietra.

Adrian Maben

Il progetto Live at Pompeii avrebbe previsto di lasciare l’anfiteatro vuoto. L’assenza di pubblico era motivata dalla volontà di realizzare un film-concerto opposto a quello Woodstock, dove quindi il silenzio facesse più rumore dei fan. Gli spettatori sarebbe stati in un certo senso i fantasmi dell’antica Pompei.

Pompei con il Vesuvio sullo sfondo.

Il sound dell’anfiteatro

Gli anfiteatri erano i posti dedicati agli spettacoli nell’antichità e quindi, secondo Maben, Pompei sarebbe stata una location perfetta per i Pink Floyd. L’ingegnere del suono della band, Peter Watts, quando i Pink Floyd iniziarono a suonare, riportò a Maben la straordinarietà del suono prodotto nell’anfiteatro. Il regista, durante un’intervista realizzata nel 2017, ricorda come le risonanze rimbalzassero sui muri di pietra, producendo effetti eco ancora non riproducibili in studio. La qualità acustiche dell’anfiteatro, risalente al I secolo a.C., si rivelarono impressionanti.

I giorni di registrazione

Maben riuscì a convincere la Soprintendenza archeologica a girare il documentario per il tramite del Prof. Ugo Carputi, tra l’altro fan dei Pink Floyd. Le registrazioni del documentario sarebbe dovute avvenire in sei giorni e per l’occasione il Parco di Pompei fu chiuso al pubblico.

L’anfiteatro doveva essere completamente vuoto, ad esclusione di tecnici, roadies e troupe. Solo nel 1999 Maben incontrò un gruppo di cinquantenni che dichiararono di essersi nascosti da adolescenti nell’anfiteatro durante le riprese, marinando la scuola. Erano noti come i “ragazzi degli scavi“.

I Pink Floyd, dopo aver accettato il progetto, pretesero che non fosse utilizzata in nessun modo la tecnica del playback. Volevano che il suono uscisse come durante la registrazione di un disco. Nacquero poi presto delle complicazioni nel far funzionare l’elettricità all’interno dell’anfiteatro. La soluzione, trovata soltanto dopo due giorni sprecati, fu trovata utilizzando un gigantesco cavo elettrico in grado di collegare l’anfiteatro con la Pompei moderna. Le riprese di Live at Pompeii durarono così solo quattro giorni, dal 4 al 7 ottobre 1971.

L’antica Pompei.

Dal concerto al documentario

La registrazione in audio e video del concerto fu pubblicata nel 1972, con il titolo Pink Floyd: Live at Pompeii, integrata con scene della band in altri luoghi, come alla Solfatara di Pozzuoli e allo studio cinematografico Europasonor di Parigi, oltre a materiale di archivio fornito dalla Soprintendenza. All’opera fecero seguito altre versioni a cura sempre di Maben.

Lo stesso David Gilmour, cantante e chitarrista della band, si esibì nel 2016 nell’anfiteatro romano, questa volta con pubblico. Dal concerto di David Gilmour scaturì poi un album nel 2017, chiamato ancora una volta “Live at Pompeii”.

Il grande filo che lega Pompei

Maben non ritrovò più il suo passaporto, ma Live at Pompeii ebbe una risonanza mondiale. La Pompei del passato, appesa ai fili elettrici della città moderna, riuscì grazie a lui a ospitare uno spettacolo come ai tempi degli antichi fasti. Lo show era questa volta condiviso con il mondo, ma allo stesso tempo rivolto al solo ricordo degli abitanti pompeiani di una volta.

Trent’anni dopo il regista tornò a Pompei e visitò l’hotel che aveva ospitato la troupe. La struttura ricettiva era però chiusa da anni. Il regista si ritrovò così a vagare in una proprietà abbandonata, definendola una sorta di seconda Pompei, in cui però il fantasma era lui.

– Gerardo Russo

Riferimenti:

Adrian Maben (Live At Pompeii) – 2003 – with Brain Damagel

La Repubblica; Adrian Maben, il regista di ‘Pink Floyd at Pompeii’. “Eravamo gli anti Woodstock”; 2017

http://pompeiisites.org/mostre/pink-floyd-live-at-pompeii-the-exhibition-by-adrian-maben/

The Lunatics; Pink Floyd a Pompei. Una storia fuori dal tempo; 2016

Nicola Acanfora; Saggio sugli usi, i costumi e la storia dei comuni della città metropolitana di Napoli; 2019

I misteri di Pompei – Antichità pompeiane nell’immaginario della modernità: atti della giornata di studio, Pavia, Collegio Ghislieri, 1 marzo 2007; 2008

Maria Paola Guidobaldi, Fabrizio Pesando; Pompei, Oplontis, Ercolano, Stabiae; 2018

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