In uno scorso articolo abbiamo trattato della battaglia di Benevento e del suo retroterra militare e politico. Vi fu tuttavia uno scontro determinante che, antecedente alla grande battaglia campale, forse incise non poco sulle sorti del conflitto tra angioini e svevi. Si tratta della battaglia di San Germano, l’attuale Cassino, nella quale le truppe angioine si gettarono all’assalto del borgo, per la cui difesa Manfredi impegnò una buona parte dei suoi effettivi.

Le sorti della battaglia ebbero riverberi molto ampi: determinarono l’inizio dello sfondamento angioino in Campania e del declino di Manfredi. L’ultimo re svevo, nonostante le sue capacità politiche e militari, non riuscì a rifarsi di quella sconfitta, che contribuì a fiaccare il morale delle sue truppe e intaccare i legami interni al suo schieramento.

London, British Library. Royal MS 16 G VI (1332-1350 c.), Les Grandes chroniques de France, f. 432. La morte di Manfredi nella battaglia di Benevento.

La battaglia di Cassino, la difesa di Manfredi

San Germano, attuale Cassino, era ubicato ai confini settentrionali del regno: lambito dal fiume Gari, non troppo distante da Capua e dagli altri centri della Terra di Lavoro, la sua importanza strategica non era trascurabile. Di ciò Manfredi era ben consapevole, impegnò una buona parte dei suoi effettivi per difendere la città. Cercando di analizzare con raziocinio e realismo le diverse cifre fornite dalle varie cronache, probabilmente si trattava di circa mille cavalieri tra tedeschi e pugliesi e una forza di circa duemila arcieri e balestrieri saraceni, alcuni provenienti dalla guarnigione di Nocera.

In un periodo di tensione, in cui vari contingenti erano impegnati al confine degli abruzzi o locati in altri punti strategici del regno in uno stato di continua mobilitazione, gli effettivi del contingente presente a Cassino dovevano rappresentare un onere non indifferente per le già provate risorse, umane ed economiche, del fronte svevo.

Per la difesa di Cassino fu inoltre allestita una rete difensiva di grandi dimensioni. Gli svevi utilizzarono le antiche rovine della villa di Varrone, limitrofe al borgo, per erigere un’imponente rete di fortificazioni, sulle sponde del fiume Gari, che, secondo le cronache, arrivarono a comprendere persino il vicino anfiteatro romano.

Carlo d'Angiò
statua di Carlo d’Angiò presso piazza del Plebiscito

L’incipit della battaglia

La battaglia di Cassino ebbe un decorso abbastanza inusuale. Secondo i resoconti dell’epoca le truppe angioine, accampate sull’altra sponda del Gari, non erano ancora pronte ad attaccar battaglia. Similmente i difensori svevi erano ancora impreparati, non essendovi alcun elemento che potesse indicare un possibile attacco da parte degli assedianti. Tuttavia vi fu un incidente: dei garzoni dei due eserciti, giunti al fiume per far abbeverare i loro cavalli, si incontrarono. Questo sfortunato evento portò ovviamente ad una rissa tra i malcapitati.

Sentendo la confusione i contingenti angioini, credendo che si trattasse di un attacco da parte degli svevi, presero di colpo le armi attaccando la fortificazione. Le truppe sveve furono ovviamente colte di sorpresa: la resistenza non poté esser organizzata in tempo, determinando quindi un subitaneo sfaldamento nel fronte dei difensori.

Cassino
litografia seicentesca di San Germano, oggi Cassino

Al danno si aggiunse la beffa: a quanto pare i difensori, non riuscendo a difendere la prima cinta muraria, furono costretti a ritirarsi nella seconda. Durante tale ritirata gli angioini trovarono modo di inserirsi nel borgo tramite un passaggio lasciato aperto dai difensori. Per gli svevi, una volta entrati gli assedianti nella città, non vi fu più possibilità di difesa.

Le perdite per Manfredi furono di grande portata: probabilmente più di mille uomini caduti in battaglia, la perdita dell’intera città di Cassino, sede del cenobio di san Benedetto, nonché luogo di importanza strategica per la difesa del regno. I soldati cristiani che si arresero in battaglia furono risparmiati, presumibilmente alcuni di essi si unirono alle fila dell’Angiò.

Per i soldati saraceni non vi fu scampo: furono passati a fil di spada o uccisi armi alla mano. I pochi che riuscirono a fuggire si radunarono sulle sponde del fiume calore, per impegnarsi in un’ultima, strenua difesa alle porte di Benevento.

Silvio Sannino

battaglia di Benevento, miniatura della cronaca del Villani

Bibliografia

Paolo Grillo, L’aquila e il giglio, 1266: la battaglia di Benevento, Salerno editrice, Roma, 2017.

Andrea d’Ungheria, Massimo Oldoni (a cura di), Descrizione della vittoria riportata da Carlo conte d’Angiò, Francesco Ciolfi editore, Cassino, 2010.

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