Il busto reliquiario di San Gennaro

Il busto reliquiario di san Gennaro è forse il più superbo lascito dell’oreficeria angioina giunto sino a noi. La corte di Napoli si distinse, sotto il regno dei conti di Provenza, per sfarzo ed opulenza, manifestati sovente tramite il patrocinio alle arti. Tra di esse non potevano mancare le lavorazioni dell’oro e dell’argento, che occuparono un ruolo importantissimo presso la corte, la nobiltà e il clero del Regno.

Il precedente tessuto di maestri orafi e argentieri attivi già nelle maggiori città del Regno in periodo normanno-svevo subì, sotto gli Angiò, l’influenza dei grandi artisti d’oltralpe, attivi alla corte sin dai primi anni dell’insediamento della nuova dinastia, nonché dei grandi artisti toscani, specialmente senesi, maestri non solo nella lavorazione dei metalli ma anche nella produzione di smalti di altissima qualità.

Maria e Carlo in trono in una miniatura della Bibbia d’Angiò, 1340

Il fabbisogno della corte rese la nuova capitale un punto d’incontro di culture e pratiche artistiche diverse andando ad influenzare, con le sue tendenze estetiche, l’intero Regno. Fu nella proprio a Napoli, che gli Angiò profusero le maggiori risorse in campo artistico: la dinastia lasciò sulla città un segno indelebile, ben visibile ancora oggi.

In questo contesto, tra antiche tradizioni ed innovazione artistica, va a collocarsi la produzione del busto reliquario di san Gennaro, tramite il quale la dinastia angioina andò a rimarcare il suo legame con l Regno e con la nuova capitale, donando al suo maggior patrono un’incredibile opera d’arte.

saluto d’oro di Carlo I d’Angiò

Il busto reliquiario di san Gennaro

Il busto reliquiario di san Gennaro fu realizzato per volere di Carlo II d’Angiò tra il 1304 ed il 1305. In esso fu posto parte del cranio del santo, precedentemente conservato nella cattedrale di Napoli assieme ad altre sue reliquie. Furono adoperate per la sua realizzazione maestranze d’oltralpe: si tratta dei maestri orafi Etienne, Godefroy, Milet d’Auxerre e Guillaume de Verdelay, tutti attivi presso la corte Napoletana sin dalla fine del Tredicesimo Secolo.

Il busto fu realizzato principalmente in argento, a sbalzo o fuso a seconda delle parti della statua, successivamente cesellato, inciso e dorato. Possiamo immaginare quanto l’impiego di metalli così preziosi costò alla corte: solo nell’arco di due mesi l’artista Godey ricevette ben due libbre d’oro fino per la realizzazione della doratura.

busto reliquiario di san Gennaro
Busto reliquiario di san Gennaro

L’opera appare di forte realismo estetico, tant’è che si è pensato si tratti di un vero e proprio ritratto di un membro della famiglia reale o di un appartenente al clero della capitale. La casula del santo è rivestita di pietre preziose, in origine forse tutte cabochon rosse e blu, i colori della dinastia angioina, le cui vive tonalità dovevano risaltare spiccatamente sulla doratura originale. Ad oggi molte di queste gemme sono state sostituite.

Assieme alle gemme la casula del busto reliquiario di san Gennaro è costellata da 63 bottoni in smalto opaco blu e rosso: in essi lo stemma della casata angioina appare attorniato da figure di piccoli draghi d’oro, tratto iconografico e artistico tipico della tradizione gotica francese.

Nel busto del santo si va a concretizzare la volontà della nuova casata di prender possesso del Regno anche dal punto di vista religioso, proteggendo e sovvenzionando gli antichissimi culti meridionali. La stessa composizione artistica del busto appare sintomatica di ciò: san Gennaro, il cui culto era tra i più vetusti del Regno, veniva ritratto secondo il gusto dei nuovi regnanti, e sulle sue vesti veniva apposto il blasone angioino, legando indissolubilmente la figura del santo alla memoria degli Angiò.

Silvio Sannino

busto reliquiario di san Gennaro

Bibliografia

De Castris P. L. (a cura di), Ori, gemme argenti e smalti della Napoli angioina (1288-1381), Napoli, Arte’m, 2014.

De Castris P. L., Oreficerie e smalti primo-trecenteschi nella Napoli angioina: evidenze documentarie e materiali, “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia” , 3, 18, 1 (1988), pp. 115-136.

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