Il vero e proprio cuore di una città non sembrerebbe il posto più indicato dove posizionare una struttura penitenziaria, un luogo creato per recludere criminali e nemici dello Stato, punirli delle loro azioni attraverso sofferenza, solitudine e controllo costante. Eppure, è proprio lì che si trova il Carcere borbonico di Avellino, testimone di due secoli di storia e di altrettante, singoli episodi drammatici delle persone che sono state rinchiuse in quelle spesse mura. Ad oggi, tuttavia, l’unica cosa “reclusa” lì dentro sono i documenti nei faldoni dell’Archivio di Stato, ospitato in una parte della struttura.
Da tempi recenti, infatti, è un luogo aperto al pubblico, contenente sale conferenze ed anche un museo che racconta l’evoluzione delle tradizioni d’Irpinia.
Un cantiere travagliato
I lavori per la costruzione del penitenziario iniziarono tra il 1826 ed il 1827, durante il breve regno di Francesco I, anche se già dal 1822, il re Ferdinando IV (I delle Due Sicilie) aveva approvato il progetto. Il ritardo fu dovuto alle molte discussioni su tutti i dettagli della realizzazione: dove si sarebbe dovuto costruire e soprattutto chi avrebbe dovuto farlo.
Per rispondere al “dove?”, fu scelta la città di Avellino poichè da poco era diventata il nuovo capoluogo del Principato Ultra e non disponeva ancora di un carcere, mentre, per quanto riguarda la domanda “chi?”, furisolutivo il nome dell’architetto Giuliano De Fazio, vicino all’ambiente di corte fin dalla nascita e che aveva realizzato opere pubbliche sia per conto dei Borbone che nel corso della reggenza napoleonica.
La prima pietra fu posta dal principe Capece-Zurlo e per vedere la fine dei lavori si sarebbe dovuto aspettare solo il 1837, ben dieci anni dopo l’inizio. Il progetto passò sotto gli occhi di ben tre sovrani, poichè, dopo il 1830, il trono del Regno fu ereditato dal figlio di Francesco I, Ferdinando II. Inoltre, dal 1835, i lavori proseguirono senza la supervisione di De Fazio, che morì proprio in quell’anno.
A lavori ancora in corso, fu svuotato il vecchio carcere di Montefusco, oramai fatiscente, per spostare i detenuti negli edifici che venivano via via costruiti.
La struttura e i suoi problemi
Il Carcere borbonico di Avellino fu pensato con dei criteri di sicurezza molto dettagliati: la struttura ha una pianta esagonale, delimitata da uno spesso muro perimetrale, solcato da dei corridoi per il passaggio delle guardie e che, al suo interno, accoglie cinque edifici, di cui tre connessi, disposti a raggi. Erano destinati ad ospiatre sia uomini che donne. Ce n’è anche un sesto, che costituisce l’ingresso e l’edificio di comando.
Al centro della pianta, c’è una struttura centrale, di forma circolare, la “tholos”, che è anche il punto di giunzione dei singoli padiglioni, collegati tramite dei corridoi.
Una torre di guardia, il “panopticon”, sovrasta il corpo centrale. Ispirata dai dettami del filosofo e giurista Jeremy Bentham, è stata pensata in modo tale da poter impiegare il minor numero possibile di guardie carcerarie per avere il pieno controllo a 360 gradi su tutti i padiglioni e scongiurare ogni tentativo di evasione, reso difficile anche dal fatto che le finestre degli edifici non affacciano sull’esterno.
Non è finita: il muro è circondato da un profondo fossato, oltrepassabile solo grazie ad un ponte levatoio.
La struttura presentava, però, dei problemi sostanziali: non enorme, già nel 1840 era satura con circa 600 detenuti. Inoltre, il modo in cui gli edifici sono stati progettati e gli spazi limitati non consentivano una ripartizione dei detenuti sulla base dei crimini commessi. In breve tempo, le celle erano piene e “miste”.
Una più precisa classificazione dei detenuti si ebbe solo nel 1845.
Dal ‘900 ai giorni nostri
Il carcere borbonico di Avellino, profondamente riformato nell’organizzazione a metà ‘800, continuò la sua attività ininterrottamente fin quasi alla fine del XX secolo, con un’intera città che gli si sviluppava attorno. Rischiò la chiusura e conseguente demolizione per la prima volta nel 1972, per via del piano regolatore generale che era stato emanato per la rapida espansione delle città a cui si assisteva in quegli anni, ma fu salvato dalla Soprintendeza ai monumenti della Campania. Infatti, anche dopo il terremoto del 1980, nonostante la struttura subì dei danni, continuò ad essere operativa fino al 1987, anno della definitiva chiusura.
Dopo alcuni anni di abbandono e dopo vari lavori di ristrutturazione, che però hanno mantenuto la conformazione originale della struttura, un novo destino attendeva il Carcere: nel 2007 divenne la sede dell’Archivio di Stato locale e Soprintendenza di Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, oltre che l’Amministrazione Provinciale, con la Pinacoteca Provinciale ed il Museo Irpino del Risorgimento.
Bibliografia e Sitografia
“Del migliore ordinamento del nuovo gran carcere de Avellino, e della introduzione della riforma penitenziaria nelle due Sicilie“, Pasquale Stanislao Mancini
“Storia civile della città di Avellino“, Giuseppe Zigarelli
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