Corradino di Svevia
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Le sorti di Corradino di Svevia guadagnarono una triste fama già nel medioevo. Nipote di Federico II provò ad invadere il Regno dopo la conquista angioina, volendo quindi riacquistare la Sicilia dopo la sconfitta di suo zio Manfredi presso la battaglia di Benevento. Giunto in Abruzzo con un contingente di guerrieri tedeschi fu tuttavia sconfitto presso Tagliacozzo da Carlo d’Angiò. Il giovane Svevo tentò la fuga, tuttavia il suo tentativo a nulla valse e, catturato dai soldati di Carlo, fu condotto a Napoli come prigioniero.

La sfortunata sorte del giovane è assai nota: condannato per lesa maestà fu decapitato presso l’odierna piazza Mercato nel 1269, chiudendo in tal modo l’epopea sveva nel Regno. Meno note, tuttavia, solo le sorti delle sue spoglie, il cui riposo sarà disturbato in numerose occasioni nei secoli successivi. Del loro destino, e di quello dell’esimia opera d’arte in cui tutt’oggi riposano, ci si occuperà nel seguente articolo.

Dal Duecento al Seicento: le spoglie dell’ultimo Svevo nel corso dei secoli

La sorte del feretro del giovane Corrado fu, sin dall’inizio, alquanto sventurata. Il corpo, dopo la decapitazione, fu posto sotto un cumulo di pietre vicino al mare. Una sorte non dissimile da quella di suo zio Manfredi, le cui ossa furono poste sotto un tumulo sconsacrato di pietre e, successivamente, trascinate via dal fiume Calore. Si racconta che la madre, giunta a Napoli per cercare di aver salva la vita del figlio, arrivò tuttavia dopo la sua esecuzione.

Volendo dare sepoltura cristiana al figlio decise di porre il feretro nella vicina basilica del Carmine Maggiore, elargendo donazioni al complesso religioso affinché si celebrassero messe in onore del defunto principe. L’Angioino, a quanto pare, non si oppose, concedendo una sepoltura cristiana al suo defunto avversario.

Dando per buona questa versione, e non un’altra, la quale vuole che la madre dello Svevo abbia riportato in Germania il feretro del figlio, si giunge poi alla seconda metà del Seicento. Il celebre erudito napoletano Carlo Celano, nel suo famoso Notizie del bello dell’antico e del curioso della città di Napoli, riporta che, durante alcuni lavori compiuti presso l’altare della basilica, fossero state riesumate al di sotto di esso alcune casse tombali.

Una di esse, in piombo, recava la sigla R. C. C., interpretata dall’erudito come “Regis Corradini Corpus”. All’interno della cassa furono effettivamente ritrovate le ossa di un giovane, con il cranio reciso e posto su ciò che rimaneva della cassa toracica, accanto al feretro fu riposta una spada. Il Celano quini riconobbe in tale sepoltura quella di Corradino di Svevia, e tale ipotesi fu considerata veritiera dagli studiosi che lo seguirono.

La statua di Corradino di Svevia: una tomba per il giovane re

In un soggiorno napoletano nel 1830 il giovane Massimiliano, principe ereditario del regno di Baviera, conoscendo le triste sorti di Corradino di Svevia, desiderò dedicare una più consona sepoltura al defunto sovrano, riuscendoci solo nel 1847. Nella visione romantica dell’Ottocento il medioevo incarnava il principio delle identità nazionali, e grande considerazione era serbata in Germania per il periodo imperiale e per quello svevo, a cui la Baviera era fortemente legata:

Nel programma politico-culturale di Ludovico e del figlio Massimiliano, l’ultimo degli Hohenstaufen incarnava il simbolo della identità nazionale tedesca e di quella bavarese in particolare per due motivi: la Baviera era il paese natale di Corradino di Svevia, mentre in linea materna il giovane discendeva dalla casa di Wittelsbach, una dinastia tedesca i cui principali domini sono stati la Baviera e il Palatinato” (Kreisel 2018, 57).

La ricerca del feretro di Corradino di Svevia si concentrò, dopo alcuni tentativi infruttuosi, sotto l’altare principale della basilica dove, effettivamente, qualcosa saltò fuori. Tra le sepolture di alcuni viceré fu identificato un sarcofago di piombo, contenente le ossa di un giovane. Un dettaglio parve esplicativo: nonostante il marcato stato di decomposizione furono identificati alcuni pezzi della mandibola del giovane posti su ciò che rimaneva della cassa toracica.

La sigla R. C. C., identificata dal Celano, non era visibile sulla cassa, tuttavia la presenza delle ossa di un giovane, probabilmente decapitato, e una parziale coincidenza con alcune parti della descrizione del Celano, portarono a credere che il sarcofago lì rinvenuto fosse proprio quello descritto due secoli prima dall’erudito napoletano, contenente il feretro di Corradino di Svevia.

Ad un lettore più attento saranno ben palesi le varie possibili incongruenze derivanti da tale identificazione: innanzi tutto la stessa descrizione del Celano, contraddistinta da una certa sinteticità, lascia molto al dubbio, per non parlare poi della difficoltà di attribuire con certezza a Corradino di Svevia un sepolcro rinvenuto in un’area continuamente rimaneggiata da lavori, ampliamenti, e numerose sepolture.

La certezza ostentata dalle descrizioni dell’epoca quindi non può esser certo accettata dal moderno lettore, tuttavia ciò poco importa: il vero elemento degno di nota fu il potere che la figura di Corradino di Svevia esercitò nel corso dei secoli che, come avremo modo di vedere, non cessò di avere una grande presa anche successivamente.

Tornando tuttavia alla precedente trattazione del monumento funebre, le ossa poste nella cassa di piombo, nonostante il marcato stato di decomposizione e ossidazione tanto delle ossa quanto della cassa, furono identificate con quelle di Corradino, e poste alla base di un nuovo monumento funebre, di meravigliosa foggia e commissionato dallo stesso Massimiliano all’artista danese Bertel Thorwaldsen, il quale ne realizzò un calco in gesso ma, morto nel 1844, non riuscì a scolpirne una versione in marmo, compito egregiamente portato a termine dal Bavarese Pietro Schoepf.

La statua raffigura Corradino di Svevia stante, con la mano sinistra posta sul fianco e quella destra sull’elsa di una spada, la cui punta è rivolta verso il terreno. Il giovane sovrano, ritratto con corona, ha affianco a sé anche un elmo da cavaliere. La statua, nella sua semplicità, costituisce una rappresentazione stereotipica della regalità medievale, filtrata attraverso le lenti del romanticismo ottocentesco.

A completare la statua furono posti due bassorilievi, ritraenti il congedo di Corradino rispettivamente dalla madre e dal compagno d’armi Federico di Baden. A corredare l’opera sei epigrafi, tre in tedesco, poste sotto le due scene e sul piedistallo della statua, e tre in italiano, poste ai piedi della suddetta. Le epigrafi di destra e sinistra riportavano la descrizione delle scene ritratte nei due bassorilievi, della centrale si riporta invece il contenuto nella traduzione italiana:

“MASSIMILIANO PRINCIPE EREDITARIO DI BAVIERA
ERGE QUESTO MONUMENTO
AD UN PARENTE DELLA SUA CASA
CHE FU RE CORRADINO
ULTIMO DEGLI HOHENSTAUFFEN
L’ANNO 1847 IL GIORNO 14 MAGGIO”
(Novi 1847, 23).

Nel 1943 un gruppo di soldati tedeschi, giunti nella basilica, provò a riesumare le ossa di Corradino di Svevia per portarle con sé in Germania. Non comprendendo che le stesse erano ubicate nel basamento della statua essi fallirono nel loro intento, riuscendo solo ad arrecare pesanti danni alle epigrafi poste attorno al sepolcro.

Ad oggi le spoglie di Corradino di Svevia riposano ancora al Carmine, nella stessa terra che diede i natali al suo ben più famoso nonno, e per la quale tanto lui quanto il suo zio Manfredi persero la vita. La sua figura, a di stanza di secoli, esercitò a più riprese fascino e compassione: basti pensare alla sopramenzionata storia relativa a sua madre che, per quanto forse artefatta, rende fortemente i sentimenti che l’Europa provò nel recepire i resoconti delle vicende del giovane svevo.

Corradino di Svevia annegò nel fiume della storia, lo stesso che disperse le ossa di Manfredi e portò in trionfo il primo angioino, il quale tuttavia non riuscirà a domarlo per molto: anche lui dovrà passare a miglior vita con attanagliato dall’amarezza, nel bel mezzo della guerra del Vespro, dopo aver con sofferenza assistito al tramonto dei suoi sogni imperiali.

Silvio Sannino

Bibliografia

Pietro Novi, Scavamento delle ceneri del principe Corradino di Svevia e loro traslazione nel monumento a lui eretto nella Reale Chiesa del Carmine Maggiore in Napoli, Napoli, 1847, dallo stabilimento tipografico di C. Gaetano.

Carlo Celano, Notizie del bello dell’antico e del curioso della città di Napoli, volume VI, Napoli, 1870, Tipo-Litografia di L. Chiurazzi.

Sybille Kreisel, I monumenti funebri di Corradino di Svevia a Napoli e Augusto Von Platen a Siracusa, Edizioni Incontri, 23 (2018).

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