Il vicolo si dipana in un dedalo ipnotico, uno accanto all’altro appaiono i vasci, in italiano i bassi, locali al medesimo livello della strada, trasformati nei secoli dai napoletani in abitazioni. Una casa al piano terra di un edificio, di solito composta da una sola stanza con o senza finestra, che si affaccia direttamente sulla strada, o leggermente sotto. La medesima stanza svolge sia la funzione di camera da letto, che da cucina. In alcuni casi vi sono anche spazi sotterranei o al primo piano. Ogni metro quadro viene utilizzato senza sprecare nemmeno un centimetro.
Alcuni sono nascosti da autentiche giungle di piante. Ognuna dalle foglie di forma e tonalità di verde diversa. Altri vantano una collezione di statue degna di nota, come Biancaneve e i sette nani, altri ancora diventano templi dell’iconografia cristiana.
Il vascio, un teatro del doppio
Il vascio, per sua stessa natura si proietta per la strada, pezzi di marciapiede vengono mangiati, per creare piccoli balconcini o per mettere stendini per i panni appena lavati. Ma anche le vite delle persone che vi vivono vengono proiettate nella strada. Impossibile non scorgere la vita di chi li abita e allo stesso tempo non essere visti.
I vasci hanno occhi che tutto sentono e tutto vedono. Svolgono spesso il ruolo di portierato, di antico “google maps” se ci si è persi, di assistenza sociale, se i è soli, anziani o troppo piccoli, infatti ci sarà sempre un vicino che butterà un occhio sul prossimo.
Scontato paragonarli a un teatro vivente, ma allo stesso tempo difficile non farlo. Si tratta di un doppio teatro, in quanto dalla strada, si scorge la vita dentro, ma da dentro si scorge la vita della strada. Abitanti e passanti sono allo stesso tempo entrambi attori e spettatori.
Luoghi iconici nonostante le difficoltà
Sono luoghi talmente connaturati nella cultura napoletana da essere diventati iconici, pop.
Questo nonostante viverci non sia affatto facile e che per molti secoli abbiano rappresentato tutte le difficoltà abitative di una città in piena esplosione demografica, che non sapeva più dove mettere i suoi abitanti.
I bassi sono molto umidi, spesso dai soffitti bassi, se non fosse stata per l’incredibile vitalità dei suoi abitanti, per la loro esplosiva creatività, non sarebbero mai diventati iconici. Senza i napoletani, sarebbero luoghi da cui fuggire. Spesso vi si trovano anche laboratori clandestini, vere piccole fabbriche con donne e uomini che cuciono.
I più fortunati hanno comprati il piano di sopra, ampliando così la metratura del vascio.
Oltre a molti napoletani, oggi vi vivono tanti stranieri, soprattutto cingalesi, che spesso accanto ai santi locali, hanno aggiunto le loro divinità nelle edicole votive.
I vasci tra tradizioni e nuove mode
Gli abitanti dei vasci da sempre costruiscono, prendendosene cura, edicole votive a pochi metri dalle proprie case. Spesso, osservando senza saperlo, l’antica tradizione romana degli altari per i Lares, spiriti degli antenati defunti che proteggevano la famiglia, nelle edicole votive. Oggi invece che le statue dei Lares, si mettono immagini di Cristo, della Vergine e di Santi, e le foto dei propri parenti defunti.
Anche il mobilio dei bassi, spesso ricco di mobili dorati o argentati in stile finto barocco, ha ispirato artisti, fotografi, scrittori.
Oggi i vasci da luogo considerato non ideale, si stanno trasformando, soprattutto quelli a due piani, in luoghi di moda, diventano bed&brekfast, ristoranti, studi di architetti, abitazioni chic.
Con qualche investimento, si può ridurre l’umidità e rendere i bassi spazi molto piacevoli.
Storia dei vasci
Non si sa esattamente quando i bassi cominciarono a essere abitati, ma si possono citare gli autori che ne parlano. Molti riferimenti ai vasci si trovano nei testi di Boccaccio nel XIV secolo, in epoca Barocca se ne parla nel Pentamerono di Gianbattista Basile. Ma è nell’Ottocento che si comincia a chiamarli vasci e se ne trova menzione precisa sia negli atti notarili, sia nei testi di Antonio Ranieri.
Gli abitatori dei bassi continuavano la loro attività commerciale, e casa e negozio diventarono una sola cosa. Da qui la celebre espressione “fare casa ‘e puteca”.
L’antropologa Alessandra Broccolini scrive nei suoi studi che il nome basso deriva sia dalle caratteristiche proprie della struttura, posta al piano terreno, che al basso ceto delle persone che un tempo vi abitavano, in seguito a quel processo di differenziazione sociale e ambientale che caratterizza l’allocazione dei diversi spazi abitativi della città.
Il Ventre di Napoli
Ma è con il Ventre di Napoli, il libro denuncia della scrittrice e giornalista Matilde Serao, che il vascio diventa il simbolo di un popolo che vive in condizioni disagiate. Tanto che diventa il simbolo di un’architettura da superare. La Serao scrive nel suo celebre testo, rivolgendosi al politico Agostino de Pretis:
“La via dei Mercanti l’avete percorsa tutta? Sarà larga dieci palmi, tanto che le carrozze non ci possono passare, ed è sinuosa, si torce come un budello: le case altissime la immergono, durante le più belle giornate, in una luce scialba e morta: nel mezzo della via il ruscello è nero, fetido, non si muove, impantanato: è fatto di liscivia e di saponata lurida, di acqua di maccheroni e di acqua di minestra, una miscela fetente che imputridisce.
In quella strada dei Mercanti, che è una delle principali del quartiere Porto, c’è di tutto: botteghe oscure, dove si agitano delle ombre, a vendere di tutto, agenzie di pegni, banchi lotto; e ogni tanto un portoncino nero, ogni tanto un angiporto fangoso, ogni tanto un friggitore, da cui esce il fetore dell’olio cattivo, ogni tanto un salumaio, dalla cui bottega esce un puzzo di formaggio che fermenta e di lardo fradicio.
Da questa via partono tante altre viottole che portano i nomi delle arti: la Zabatteria, i Coltellari, gli Spadari, i Taffettanari, i Materassari, e via di seguito. Sono — questa è la sola differenza — molto più strette dei Mercanti, ma egualmente sporche e oscure; e ognuna puzza in un modo diverso: di cuoio vecchio, di piombo fuso, di acido nitrico, di acido solforico.
Varie strade conducono dall’alto al quartiere Porto: sono ripidissime, strette, mal selciate. La via di Mezzocannone è popolata tutta di tintori: in fondo a ogni bottega bruna arde un fuoco vivo sotto una grossa caldaia nera, dove degli uomini seminudi agitano una miscela fumante; sulla porta si asciugano dei cenci rossi e violetti; sulle selci disgiunte cola sempre una feccia di tintura multicolore.
Il risanamento
Le buone intenzioni degli intellettuali dell’epoca non furono però trasformate dai politici e dagli speculatori edilizi in progetti efficaci.
Infatti, il cosiddetto “risanamento”, il controverso piano di demolizioni edilizie, che avrebbe dovuto servire a migliorare le condizioni di vita e sanitarie dei napoletani, radendo al suolo i quartieri ad alta densità di vasci, non si dimostrò risolutivo.
Infatti il piano, più che fornire abitazioni adeguate ai napoletani più poveri, distrusse intere aree storiche della città e favorì molte speculazioni edilizie in favore dei più ricchi.
Gli abitanti dei bassi furono semplicemente spostati in altri quartieri popolari e si persero interi quartieri antichi. Un criterio di risanamento che oggi risulta del tutto sorpassato, grazie alle nuove scoperte mediche e della chimica, che permettono di vivere rispettando le norme igieniche, senza dover abbattere interi quartieri storici.
Nel 900, fu nel teatro di Raffaele Viviani e di Eduardo De Filippo che i vasci e suoi abitanti diventano centrali nei racconti di Napoli, tanto da rendere questi luoghi difficili, ma pieni di fascino, iconici nell’immaginario comune della gente.
Il futuro
Oggi per fortuna si è compreso che non è abbattendo palazzi storici, come si faceva con il “risanamento”, che si risolvono problematiche sanitarie o abitative, ma è risanando i bassi stessi e favorendone la rinascita. Il tutto aiutando i proprietari a trasformali in fattore di rinascita economica e riscoperta culturale. Infatti, molti di essi, oggi diventano studi di artisti, bed and breakfastat, piccoli home restaurants, abitazioni dove si nota la mano di un architetto. I vasci, da simboli di popolarità, stanno diventando segni architettonici alla moda.
Bibliografia
I Vicoli di Napoli, Luigi Argiulo, Newton & Compton Editori, 2004
Matilde Serao. Il ventre di Napoli, Napoli, Bur. Presente in Google Books
Sitografia
https://issuu.com/intramoenia/docs/ovascio_estratto
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