I banchieri fiorentini divennero, sotto il regno di Roberto I, uno dei principali elementi delle politiche fiscali ed economiche del regno di Sicilia. Le banche fiorentine, nel corso del Trecento, divennero tra le istituzioni più economicamente influenti dell’Europa e del mediterraneo. Agenti fiorentini operavano nelle maggiori città mercantili dell’epoca ed erano presenti presso le più illustri corti. Da Londra a Rodi, da Parigi a Palermo, la loro presenza era pervasiva e capillare: i fiorentini divennero “il quinto elemento del mondo”, per utilizzare una famosa citazione di Bonifacio VIII.
Fu tuttavia a Napoli che i banchieri fiorentini trovarono una sorta di seconda patria, un luogo di primaria importanza tanto per i loro affari politici quanto per quelli economici. Dalla fine del Trecento sino agli anni quaranta del secolo la presenza toscana nel Regno sarà di centrale importanza. La dinastia angioina era infatti impegnata politicamente nella difesa degli interessi guelfi nell’Italia settentrionale, cercando di ostacolare ad oltranza l’intervento imperiale nella penisola, che continuamente minacciava anche i confini del Regno.
In tale contesto la città di Firenze divenne un centro di coordinamento di primo piano per l’iniziativa militare , i suoi finanziamenti imprescindibili per la tenuta del fronte guelfo nel settentrione. La città, come del resto molti altri centri toscani, fu più volte soggetta a signorie angioine, della quali ricordiamo quella di Carlo di Calabria, forse quella più importante e maggiormente coinvolta nella vita istituzionale della città, alla quale abbiamo dedicato un articolo.
Se i legami politici con la città erano stretti, quelli economici lo furono ancora di più. I re di Sicilia, continuamente impegnati in lotte e conflitti tanto nel Mediterraneo quanto in Italia settentrionale, ma anche bisognosi di denaro e fondi per la corretta amministrazione del Regno, trovarono nei banchieri fiorentini una soluzione a numerosi problemi, come similmente accadde presso numerose monarchie europee.
Le grandi compagnie fiorentine, Bardi, Peruzzi e Acciaiuoli, prestarono ciclicamente ingenti somme alla dinastia, la quale poteva quindi beneficiare di una disponibilità di credito pressoché illimitata. La restituzione di tali prestiti aveva luogo concedendo alle compagnie creditrici entrate fiscali o monopoli regi, rendendole quindi partecipi dell’amministrazione fiscale del Regno.
Alle compagnie fiorentine fu quindi conferito un ruolo di primo piano anche nel campo dell’amministrazione fiscale: non solo erano coinvolte nell’esazione delle tasse, ma a loro fu anche affidata, per molti anni, la gestione della zecca, divenendo quindi responsabili anche della coniazione e circolazione della moneta nel Regno. I banchieri e le compagnie mercantili fiorentine erano inoltre coinvolte nel commercio dei grani e degli altri beni alimentari che provenivano dal Regno.
Tale traffico, di enorme importanza per i mercati e le città del Trecento, era essenziale anche per la stessa Firenze, il cui contado poteva sopperire al fabbisogno alimentare della città per soli cinque mesi all’anno. I fiorentini ricavarono inoltre ingenti profitti dall’importazione di panni nel Regno, industria tanto fiorente in Toscana quanto carente nel Mezzogiorno.
I banchieri di maggior rilevanza spesso risiedevano presso la stessa corte , il cui sfarzo spesso ammaliava gli stessi fiorentini molti dei quali, residenti per anni nella città, si naturalizzarono e adottarono gli usi e i costumi dei funzionari e cortigiani angioini.
Tra economia, politica e finanza furono numerosissimi i fili che legarono, e strinsero, le compagnie dei grandi banchieri fiorentini alla corona di Sicilia, divenuta per loro tanto un alleato politico di primaria importanza per mantenere l’indipendenza della propria città, quanto un cliente i cui continui bisogni costituivano per loro un lauto profitto. La corona, dal canto suo, vide nei banchieri fiorentini una modalità efficace per risolvere i loro problemi finanziari e, allo stesso tempo, impiegare personale competente e affidabile nelle maggiori istituzioni fiscali del Regno.
-Silvio Sannino
Bibliografia
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