L’Umanesimo a Napoli, rispetto agli altri centri italiani, quali Firenze, Roma, Ferrara e Venezia, si sviluppò con qualche decennio di ritardo, ovvero a partire dagli anni ’40 del XV secolo.
Ciò che distinse il periodo dell’Umanesimo a Napoli da quello delle altre città fu, però, in particolar modo, la centralità di Alfonso V d’Aragona. Questi, infatti, pur non essendo realmente interessato alla letteratura, comprese che, per legittimare e rafforzare il suo potere al trono, doveva rivestire i panni del mecenate incline a promuovere attorno a sé le più brillanti attività e iniziative umanistiche dell’epoca.
Il trionfo dell’Umanesimo
L’Umanesimo è un movimento culturale che coinvolse – fra la fine del ‘300 e gli inizi del ‘500 – gran parte d’Italia, tra cui anche la Campania e, in particolar modo, la corte napoletana di Alfonso V d’Aragona.
Al tramonto del XIV secolo, l’Umanesimo prese vita grazie ad autori che, seguendo l’esempio di Petrarca, si accinsero a recuperare le opere perdute o dimenticate degli autori della classicità, o a rileggere con un nuovo approccio quelle già in circolazione.
Nella fase dell’Umanesimo, infatti, si mirò a cogliere il significato profondo di tutte le opere classiche, non interpretandole più esclusivamente secondo un’ottica cristiana e moralista come era avvenuto nel corso del Medioevo.
Fu così che questo movimento culturale prese vita: gli scrittori si posero con un nuovo atteggiamento verso i testi dell’antichità, sia letterari che filosofici, al fine di coglierne una corretta interpretazione e di farne i nuovi modelli di formazione e di imitazione.
L’Umanesimo a Napoli: la corte di Alfonso I
Se l’Umanesimo si diffuse anche nel napoletano, questo si può dire essere merito specialmente di un sovrano: Alfonso V d’Aragona, ribattezzato come Alfonso I re di Napoli o Alfonso il Magnanimo.
Egli assunse le redini del regno nel 1442 e, fin da subito, mirò a farsi circondare da uomini di cultura, contribuendo alla diffusione di attività letterarie. Infatti, Alfonso I creò un’istituzione per supportare la formazione di giovani studenti, e arricchì la biblioteca napoletana procurandosi un numero sempre maggiore di codici. Tale biblioteca divenne anche il luogo di dibattito intellettuale, al quale Alfonso I gradiva assistere in prima persona.
L’Umanesimo aragonese-napoletano assunse, infatti, una forte impronta monarchica. L’obiettivo del sovrano era quello di far produrre, da parte degli intellettuali di corte, una corale di encomi che lo descrivessero come un re virtuoso e illustre, princeps ideale, interessato alle lettere e alla cultura: un re, appunto, “Magnanimo”.
Nacquero, così, opere frutto degli umanisti e delle loro ricerche sui modelli della classicità, e che, in ultima analisi, miravano alla celebrazione del re stesso. Tra questi, vale la pena ricordare quelli che furono maggiormente legati alla figura del sovrano: Antonio Panormita, Masuccio Salernitano e Giovanni Pontano.
Antonio Panormita
Nato a Palermo, ma spostatosi nel 1434 nella corte napoletana, il Panormita strinse un rapporto di collaborazione di circa un ventennio con il re Alfonso I, rivestendo la figura di intellettuale al governo.
Ovviamente, il Panormita non poté esimersi dal celebrare pubblicamente il suo sovrano, allestendo una raccolta dal nome “De dictis et factibus Alphonsi regi” (“Intorno alle parole e alle azioni di re Alfonso”).
L’autore lasciò un segno profondo nella cultura dell’Umanesimo grazie alla propria iniziativa di accogliere in casa i suoi colleghi intellettuali, allestendo una sorta di “Accademia domestica”, in cui trattare e analizzare i modelli della classicità, ovvero dove svolgere il tipico lavoro dell’umanista. Tale Accademia, vedremo, avrà lunga vita.
Masuccio Salernitano
Poco dopo, la corte aragonese accolse a sé anche un salernitano, Masuccio, che, a differenza del Panormita, non svolse incarichi ufficiali a corte, ma si focalizzò particolarmente sul mettere in pratica il suo talento letterario.
Infatti, lavorò fino alla morte a una raccolta di novelle, ispirata senza dubbio a Boccaccio, ovvero il “Novellino”. L’opera è divisa in cinque parti: ciascuna di esse si incentra su uno specifico tema ed è costituita da dieci novelle, per un totale di cinquanta brevi racconti. Essi sono dedicati soprattutto al mondo della corte napoletana, a dimostrazione del fatto che Masuccio intendesse proporre dei valori cortesi al fine di migliorare eticamente l’ambiente. A maggior ragione, ogni novella si conclude con un commento morale proposto da Masuccio stesso.
Dopo la scomparsa dell’autore, il “Novellino” fu censurato e distrutto dall’autorità ecclesiastica, probabilmente per il suo contenuto satirico nei confronti degli ordini della Chiesa, i quali venivano accusati da Masuccio di essere depositari di vizi e non di virtù.
La corte napoletana ne autorizzò comunque la stampa, e ad oggi si conserva l’edizione allestita a Milano nel 1483.
Giovanni Pontano
Nel 1448 è la volta, presso Alfonso I, del letterato Giovanni Pontano. Dopo appena quattro anni, egli divenne Cancelliere del regno e alternò la sua vita a corte fra gli incarichi ufficiali e le prove poetiche.
Accanto alla produzione lirica latina, di contenuto amoroso, egli scrisse anche opere più colte e formali, collegate alle sue mansioni presso Alfonso, prima, e Ferrante d’Aragona in seguito.
Per esempio, una volta eletto precettore dell’erede al trono Alfonso duca di Calabria, Pontano compose il “De principe liber”, in cui gli consigliava i migliori comportamenti da esibire a corte per assumere le vesti del sovrano ideale.
Nello stesso periodo in cui prese le redini dell’Accademia formata dal Panormita, ribattezzata allora come Accademia Pontaniana, Pontano si dedicò alla stesura di dialoghi in latino, che meglio di tutti rappresentano il modello di dialogo umanistico in cui si dibatte, con pungente ironia, dei temi della cultura contemporanea.
Tra il 1486 e il 1487 Pontano divenne poeta laureato e primo segretario reale, ma lottò anche in prima linea per difendere il regno aragonese dalla celebre congiura dei baroni. Da lì in avanti, una volta toccato il culmine di una brillante carriera da umanista e politico, dovette arrendersi al rovescio della fortuna.
Infatti, nel 1494 Carlo VIII si impossessò del regno di Napoli e Pontano stesso pronunciò pubblicamente un’orazione in cui dichiarava la resa della città ai Francesi. Fu questo il motivo per cui, negli anni seguenti in cui gli Aragonesi tornarono a governare su Napoli, Pontano fu bruscamente allontanato e costretto a vivere gli ultimi anni ritirato a vita privata, non abbandonando mai, però, il suo amore per la scrittura, la letteratura e la politica.
Pontano e la sua amicizia con Iacopo Sannazaro
Giovanni Pontano, che dal 1471 dirigeva l’Accademia Pontaniana, fu un modello per tanti umanisti della generazione successiva, tra cui, in particolar modo, per Iacopo Sannazzaro.
Infatti, il giovane Sannazaro, nato a Napoli un anno prima della morte di Alfonso I, si formò nella Napoli aragonese, riuscendo ad entrare in contatto con la corte stessa grazie all’intermediazione di Pontano e a servire Alfonso duca di Calabria. Al tempo stesso, Sannazaro si inserì nell’Accademia Pontaniana, per poi assumerne le redini una volta defunto il suo amico, nonché guida.
Inoltre, poco prima di andarsene, Pontano compose un trattato che scelse di dedicare alla figura di Sannazzaro: “Actius”, nome con cui quest’ultimo si faceva chiamare all’interno dell’Accademia e suo alter ego nella celebre opera “Arcadia” (prosimetro pastorale, composto in Francia nei primi anni del ‘500, a seguito della cacciata degli Aragonesi da Napoli).
La stagione dell’Umanesimo alla corte aragonese-napoletana, prese dunque avvio con l’eccentrica personalità di Alfonso I per poi concludersi negli anni del Sannazzaro e dei suoi sodali. Gli umanisti sopra menzionati e tanti altri ancora, raccolti tutti intorno alla Accademia Pontaniana, riuscirono a proiettare in una dimensione europea la cultura napoletana in una maniera tanto efficace che, ancora ad oggi, Napoli viene ricordata come la sede delle più intense e floride attività umanistiche.
Bibliografia
G. Alfano, P. Italia, E. Russo, F. Tomasi, Letteratura Italiana, Dalle origini a metà Cinquecento, Mondadori, Milano, 2018.
G. Vitolo, Medioevo, i caratteri originali di un’età di transizione, Sansoni, Milano, 2000.
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