In Piazza Giovanni Bovio a Napoli, nota ai più come Piazza Borsa, al civico 33, è possibile imbattersi in nove sanpietrini dorati incastonati nel selciato. Sono le pietre d’inciampo, dal tedesco Stolpersteine: blocchi di pietra, ricoperti con una piastra di ottone, su cui sono incisi i nomi di vittime delle deportazioni durante la Seconda guerra mondiale, apposte davanti alle loro ultime abitazioni a memoria futura dell’orrore che non deve più ripetersi.
Da un artista tedesco
L’iniziativa nacque agli inizi degli anni ’90, dall’artista tedesco Gunter Demmig. L’artista ebbe l’idea di depositare nel tessuto urbanistico e sociale delle città europee una memoria diffusa dei cittadini portati nei campi di sterminio nazisti.
Anche Napoli non fu estranea a questa pagina di storia nera. Molti cittadini napoletani furono strappati alle loro vite e deportati nel campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia.
Le pietre d’inciampo a Napoli
È lì che sono stati portati Amedeo, Aldo e Paolo Procaccia dove sono stati assassinati tra la fine del 1943 e gli inizi del 1944. Anche Iole Benedetti, Milena Modigliani e Luciana Pacifici hanno trovato la morte nel medesimo periodo nel famigerato campo polacco. Con loro anche Oreste Sergio, Loris Pacifici e Elda Procaccia assassinati tra il 1943 e il 1945.
Sono solo 9 dei circa 1000 gli ebrei che vivevano a Napoli negli anni ’40.
Storia della comunità ebraica napoletana
Quella napoletana è una delle comunità più antiche, risalente addirittura all’epoca romana. I primi insediamenti, infatti, sono attestati già a partire dal I secolo d.C.
Durante l’assedio bizantino, nel 536 gli Ebrei di Napoli, leali ai Goti, difesero la città. Nonostante le pressioni per la conversione e la progressiva limitazione dei diritti civili, Papa Gregorio Magno difese i diritti degli Ebrei napoletani. La comunità ebraica rimase stabile durante il periodo bizantino e normanno, raggiungendo il numero considerevole di cinquecento famiglie.
La comunità ebraica napoletana conobbe alterne fortune: dalle persecuzioni e conversioni nel periodo angioino, al periodo di stabilità e prosperità durante il dominio aragonese. Durante il Viceregno nel 1510 fu decretata l’espulsione di tutti gli Ebrei, portata a termine nel 1541. Fu con l’Età Borbonica, due secoli più tardi, grazie alle riforme avviate da Carlo di Borbone, che gli Ebrei furono temporaneamente riammessi, ma furono fortemente osteggiati dalle comunità ecclesiastiche.
La potente famiglia Rothchild a Napoli
Nel corso dell’Ottocento, gli Ebrei poterono ritornare a Napoli grazie alla protezione e all’influenza del ramo napoletano della potente famiglia ebrea Rothchild, che nel 1821 stabilì un’importante sede della propria banca a Napoli, stringendo solidi rapporti con la Banca Vaticana, che durarono fino al XX secolo.
Fu solo nel 1864, con l’Unità d’Italia, che gli Ebrei di Napoli riuscirono a costituire ufficialmente la Comunità Israelitica di Napoli.
Nel corso del XIX e del XX secolo la Comunità ebraica conosce una vera e propria rinascita, i cui meriti sono da attribuire all’arrivo di ebrei provenienti da altre aree d’Italia, come Roma, Toscana, Piemonte, ma anche l’Inghilterra, la Germania e la Polonia.
Le attività commerciali degli Ebrei napoletani
Napoli fu scelta quale sede strategica per insediare le proprie attività economiche, artigianali e imprenditoriali.
Sin dall’epoca borbonica, l’imprenditoria ebraica mostrò una grande vivacità, con alcuni primati, tra cui la prima produzione di fiammiferi e cerini, e grandi successi come la distribuzione e la vendita di macchine da scrivere Soria.
La comunità ebraica ebbe una grande influenza sulla vita della città, portando a Napoli il primo cinema, la Sala Recanati di Mario Recanati, la Fabbrica di calzature dei fratelli Coen, attiva fino agli anni ’30 del Novecento e la Fabbrica di guanti in pelle dei fratelli Temin, trasferitasi a Napoli da Padova nel 1935 e ancora attiva.
La nascita del Calcio Napoli di Giorgio Ascarelli
Tra l’Ottocento e il Novecento, gli Ebrei napoletani si distinguono in diversi settori commerciali e imprenditoriali: dalla produzione di vini ai prodotti ottici, passando per il settore tessile, dove spiccano le famiglie dei Campagnano e degli Ascarelli. Quest’ultima in particolare, grazie al capostipite, Giorgio Ascarelli, ebbe il merito di aver fondato nel 1926 l’Associazione Sportiva Calcio Napoli, finanziando al contempo il primo stadio di calcio professionistico della città, il Vesuvio.
All’interno di Palazzo Sessa in Via Cappella Vecchia sorse la Sinagoga: a pochi passi da Piazza dei Martiri, divenne un importante centro di riferimento e vitale per la comunità.
Molti membri della comunità ebraica si integrano perfettamente negli ambienti artistici, letterari e accademici della città, mantenendo una forte connessione con la tradizione.
Nei primi decenni del Novecento tanti membri della comunità erano stimati medici e docenti nelle scuole e nelle università, contribuendo significativamente alla vita culturale e accademica di Napoli.
L’incendio di Salonicco
La storia ebraica napoletana del XX secolo è legata ad un altro evento: l’incendio di Salonicco nel 1917. Un numero consistente di profughi ebrei giunse a Napoli, dove si stabilì e diede vita a una fiorente comunità. Napoli ebbe per circa vent’anni una delle comunità ebraiche più attive e vitali di tutta Italia.
L’ascesa del fascismo e la promulgazione delle Leggi Razziali sul finire degli anni ’30, segnò una battuta d’arresto e un duro colpo per tutta la comunità. Gli stranieri giunti in Italia dopo il 1918 furono obbligati a lasciare il Paese entro sei mesi e ciò decimò sensibilmente il numero di residenti, costringendo molte famiglie a una dolorosa quanto improvvisa emigrazione. Si stima, secondo un censimento del 1938, che a Napoli vi fossero 835 persone appartenenti a 151 famiglie italiane e 123 straniere.
Le Leggi Razziali a Napoli
Le Leggi Razziali limitarono fortemente la vita pubblica degli Ebrei, precludendo categoricamente ogni carica pubblica, impedendo di accedere a diversi posti di lavoro o di esercitare libere professioni e qualsiasi forma di docenza, sancendo al contempo l’esclusione da scuole e università. Furono vietati inoltre i cosiddetti “matrimoni misti”.
A Napoli, città inclusiva per definizione, ci fu quello che è forse un caso unico in Italia: l’iniziativa del direttore della Scuola “Vanvitelli” al Vomero di formare una classe di soli bambini ebrei, così da garantire loro il diritto allo studio e consentirgli di seguire le lezioni. La sensibilità odierna guarda a questa iniziativa con sentimenti avversi, che oscillano tra riconoscenza e risentimento per quell’ombra di discriminazione vista invece come risoluzione dei problemi.
Tra il settembre-ottobre 1943, anche grazie all’insurrezione popolare delle Quattro Giornate di Napoli, la città fu risparmiata dai rastrellamenti degli Ebrei e dalle deportazioni naziste, già programmate.
Le famiglie ebree di Piazza Bovio a Napoli
Ma i valorosi sforzi dei cittadini non riuscirono ad evitare la cattura di quattordici ebrei che trovarono la morte nei campi di sterminio. Tra questi i membri della famiglia Procaccia, arrestati a Cerasomma di Lucca insieme ai loro bambini, i piccoli Paolo Procaccia e Luciana Pacifici, morti in viaggio verso Auschwitz all’inizio del 1944.
La storia della comunità ebraica napoletana è un libro le cui pagine sono state scritte dalla sofferenza e dalla persecuzione, eppure ci ha lasciato un grande senso di resilienza, di responsabilità e di speranza. I tanti nomi degli ebrei vittime di questo genocidio sono scolpiti nella Memoria collettiva, così come nella pietra apposta nei pressi delle loro case, e oggi ci invitano a guardare quegli anni bui con senso critico e consapevolezza. Per non dimenticare, affinché l’orrore non si ripeta. Perché, come diceva Primo Levi, “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”.
Bibliografia
La Comunità Israelitica di Napoli, Vincenzo Giura
La storia del Napoli, Gianni Nicolini
Gli ebrei e la ripresa economica del Regno di Napoli 1740-1747, Vincenzo Giura
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