“… Quanto alle opposizioni – scrive Giovanni Amendola – è chiaro che in siffatte condizioni, esse non hanno nulla da fare in un Parlamento che manca della sua fondamentale ragione di vita. […] Quando il Parlamento ha fuori di sé la milizia e l’illegalismo, esso è soltanto una burla”.

I comuni destini di Giacomo Matteotti e di Giovanni Amendola

Così, dalle colonne del quotidiano politico “Il Mondo” – da lui stesso fondato il 26 gennaio 1922 – all’indomani dell’assassinio del collega parlamentare Giacomo Matteotti, inviso al regime fascista di Benito Mussolini. Le analogie tra i due, però, non finiscono qui: anche Amendola subisce la barbarie delle squadracce nere al soldo del Duce e, come Matteotti, morirà per le conseguenze di una aggressione violentissima.

Giovanni Amendola
Giovanni Amendola. Photocredit: wikipedia.org – Immagine di Pubblico dominio

Nella memoria collettiva, però, i due delitti non hanno avuto la medesima eco. Forse perché il decesso di Amendola sopraggiunge 10 mesi dopo l’aggressione subita. O forse perché un interminabile quanto tardivo processo, tenutosi a 20 anni di distanza dai fatti, si concluderà senza veri colpevoli.

Socialista, radicale e giornalista

Giovanni Amendola nasce il 15 aprile 1882 a Napoli, ma infanzia e adolescenza le trascorre prima a Firenze e poi Roma, dove il padre, carabiniere originario di Sarno, presta servizio. Ha soltanto 15 anni quando si si unisce alla Gioventù Socialista e subisce il primo arresto per motivi politici: in seguito ai moti popolari di Milano, il governo impone lo scioglimento di molte sedi socialiste in tutta Italia e il ragazzo viene arrestato per aver opposto resistenza alla chiusura della sede romana.

Quindi,  nel 1898, entra come apprendista al quotidiano politico del Partito Radicale Italiano “La Capitale” e qui scopre altri interessi oltre la politica: esoterismo e teosofia. Così, finisce con l’aderire alla Loggia della Società Teosofica capitolina, per lasciarla quando ne comprende l’orientamento tutt’altro che scientifico. Nel frattempo, però, le sue frequentazioni gli valgono l’introduzione in una dimensione cosmopolita e multiculturale e il giovane Amendola coltiva rapporti e relazioni con personalità di mezzo mondo.

Giovanni Amendola studia, scrive e si innamora

Parla ormai correntemente francese ed inglese ed è in quel periodo che incontra, si innamora e sposa, nel 1906, Eva Oscarovna Kühn, brillante intellettuale lituana che gli darà quattro figli: Giorgio, Adelaide, Antonio e Pietro.

Giovanni Amendola
Eva e Giovanni Amendola con i figli Giorgio e Ada, 1915. Photocredit: Wikipedia.org da sacampania.beniculturali.it, immagine di Pubblico dominio

Studia e scrive, Giovanni Amendola e, intanto, scopre il mondo della massoneria romana, abbandonandola dopo poco e, alla fine di un girovagare per mezza Europa, si stabilisce con la famiglia a Firenze, chiamato a dirigere la Biblioteca filosofica.  Torna a scrivere per Giuseppe Prezzolini sulle pagine del neonato quotidiano “La Voce” per poi fondare e dirigere, insieme a Giovanni Papini, una propria rivista: “L’Anima”. E’ ormai il 1911 e, finalmente, si laurea in filosofia con una tesi su Immanuel Kant.

L’intervento militare in Libia e il sostegno alla politica interventista

In quel periodo, a tenere banco nel panorama politico italiano, è il possibile intervento militare in Libia. Inizialmente critico nei confronti della campagna di espansione coloniale in Africa, Amendola decide di schierarsi a favore della causa bellica, sostenendo la politica interventista dalle colonne de “La Voce”.

Da “Il Resto del Carlino” al “Corriere della sera” e, nel mezzo, la Grande guerra

Collabora, poi, con “Il Resto del Carlino”, di cui diventa corrispondente del quotidiano da Roma e, in vista delle elezioni del 1913 – le prime a suffragio universale maschile – spinge i radicali a staccarsi dai socialisti per schierarsi con il capo del governo uscente, Giovanni Giolitti.

Giovanni Amendola
Giovanni Amendola e Luigi Albertini, direttore del Corriere della Sera nel 1920. Photocredit: Wikipedia.org, da Ottavio Barié, Torino, UTET, 1972. Immagine di Pubblico dominio

Ormai pienamente coinvolto nell’agone politico, abbandona completamente il miraggio di una carriera accademica per lavorare alla redazione romana del “Corriere della Sera”, trasferendosi nuovamente nella capitale. 
Soffiano venti di guerra – quella del ’15-’18 – e Amendola, ancora una volta, non ha dubbi: l’Italia deve entrare in guerra e riprendersi i territori italiani sotto il controllo del dominio austriaco. Così imbraccia il fucile e si ritrova a combattere sul fronte dell’Isonzo, da cui ritorna con una medaglia al valor militare.

1919, Giovanni Amendola in Parlamento

Ormai a capo dell’ufficio romano del “Corriere” – già all’epoca il più importante quotidiano del Paese – Giovanni Amendola si candida con il partito Democrazia Liberale alle elezioni politiche del 1919, entrando per la prima volta in Parlamento da deputato a sostegno della corrente del leader radicale Francesco Saverio Nitti. Nel maggio del 1921, viene nuovamente eletto e lascia definitivamente il “Corriere della Sera “ per fondare un nuovo quotidiano: il 26 gennaio del 1922 esce il primo numero de “Il Mondo”, destinato a diventare la più autorevole voce politica democratica dell’epoca. 

1922, fonda “Il Mondo” e il Partito Democratico Italiano

E anche in Parlamento, Amendola è ormai deciso ad unificare tutti i gruppi liberali dell’emiciclo. Fonda, prima, il Partito della Democrazia Sociale e, due mesi dopo, insieme all’amico Nitti, il Partito Democratico Italiano. Il giro di vite di Amendola ha delle ripercussioni all’interno del gruppo dei fondatori de “Il Mondo” e il collega e amico Andrea Torre abbandona il quotidiano e le idee liberali per aderire, l’anno dopo, al partito fascista.

Dopo una breve parentesi nel primo governo Facta – dove sarà ministro delle Colonie – Giovanni Amendola si ritrova, in Parlamento, all’opposizione del nuovo governo Mussolini – insediatosi dopo la marcia su Roma. Non vuole compromessi  e, per questo, rompe anche con i liberali Giolitti e Salandra che, invece, sono molto più tolleranti nei confronti del regime. “… Il fascismo – scrive – ha le pretese di una religione, e le supreme ambizioni e le inumane intransigenze di una crociata”.

1923, l’anno dell’Unione Nazionale e l’inizio della repressione più feroce

Cominciano, così,  le intimidazioni e le aggressioni ai suoi danni, che culminano in un agguato tesogli da quattro camice nere il 26 dicembre 1923, 6 mesi prima dell’assassinio di Giacomo Matteotti . Nell’aprile del 1924, per niente scoraggiato, si ricandida alla Camera dei Deputati e viene rieletto, diventando uno degli esponenti più in vista dell’opposizione e dando vita all’Unione meridionale che, nel novembre dello stesso anno, si trasforma in Unione Nazionale.

1924, elezioni farsa

Quelle elezioni plebiscitarie a favore di Benito Mussolini – una farsa secondo gli oppositori al regime – sono il fattore scatenante della risposta veemente di Giacomo Matteotti, che pagherà con la vita la sua denuncia.

Dopo l’omicidio di Matteotti, Amendola apre la Secessione dell’Aventino

secessione dell'Aventino
Discussione dei parlamentari di opposizione sulla proposta di secessione dell’Aventino. Photocredit: Wikipedia.org, immagine di Pubblico dominio

La reazione di Amendola all’assassinio del collega è fermissima e, forte del suo appeal, riunisce e coalizza i partiti centristi di opposizione – i socialisti, i cattolici e i liberali – in quella che passerà alla storia come la Secessione dell’Aventino”, rifiutandosi di partecipare a qualunque attività parlamentare. A fronte della responsabilità politica dell’omicidio Matteotti – pubblicamente rivendicata da Mussolini – Amendola decide di adottare una linea di opposizione non violenta, in attesa che re Vittorio Emanuele III sciolga il governo.  

Il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce

L’attesa, però, è vana.  Il Duce è nel pieno dei suoi poteri e, per scuotere le coscienze, Amendola affida a Benedetto Croce il compito di scrivere il Manifesto degli intellettuali antifascisti, da pubblicare su “Il Mondo”, coinvolgendo quante più possibili e autorevoli voci anti-regime.

20 luglio 1925, l’aggressione

La politica repressiva di Mussolini nei confronti delle opposizioni è al suo apice e, il 20 luglio 1925, toccherà a Giovanni Amendola subirne le conseguenze: mentre si trova a Pieve di Nievole per un soggiorno termale, viene aggredito da un commando squadrista composto da una quindicina di camice nere armate di spranghe e bastoni.

Sopravvive, Amendola, ma le sue condizioni sono gravi. Così, decide di farsi curare a Parigi, dove viene operato per rimuovere un ematoma all’emitorace sinistro: durante l’agguato, aveva tentato di proteggersi la testa dai colpi che gli venivano inferti ma, così facendo, aveva lasciato indifesa la schiena sulla quale si erano accaniti gli aggressori.

7 aprile 1926, Giovanni Amendola si spegne

Per favorire il decorso post-operatorio di Giovanni Amendola, tutta la famiglia si trasferisce a Cannes e, all’alba del 7 aprile 1926, nella clinica Le Cassy Fleur, “… Eravamo rimasti nella stanza la Pavlova, Ruini e io – racconterà poi il figlio Giorgio Il rantolo diventava sempre più straziante, poi egli si sollevò, si guardò attorno, levò una mano per farmi una carezza, ricadde, e fu tutto”.

Fu sepolto a Cannes, affidando alla lapide queste parole: “Qui vive Giovanni Amendola…aspettando”.

Soltanto nel 1950, le sue spoglie sono state trasferite a Napoli, dove ancora oggi riposano nel Quadrato degli uomini Illustri del Cimitero Monumentale di Poggioreale.

Diventa un sostenitore!

Storie di Napoli è il più grande ed autorevole sito web di promozione della regione Campania. È gestito in totale autonomia da giovani professionisti del territorio: contribuisci anche tu alla crescita del progetto. Per te, con un piccolo contributo, ci saranno numerosissimi vantaggi: tessera di Storie Campane, libri e magazine gratis e inviti ad eventi esclusivi!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

wpChatIcon
wpChatIcon