“Napoli, città industriosa” è un articolo pubblicato sul numero 2 de “Il Politecnico” il 27 ottobre 1945 e, affiancato ad altri due testi (la testimonianza letteraria di Goethe su Napoli e una poesia di Gatto), propone una lettura della città partenopea.

“Il Politecnico” fu una rivista che analizzò continuamente le varie realtà regionali e urbane. Il caso di Napoli fece da exemplum per tutte le città italiane che si trovavano nella medesima condizione nella metà del secolo scorso: apparentemente in stato di ozio e di abbandono.

“Il Politecnico”

Il primo numero del settimanale “Il Politecnico”, fondato da Elio Vittorini, fu pubblicato il 29 settembre 1945. Il giornale di Vittorini apparve fin dal principio come un contenitore di molteplici tematiche e discipline: disposta su quattro pagine (formato tipico del quotidiano) vi era “un’eterogenea varietà di articoli, dalla letteratura in prosa e in versi all’economia contemporanea, alla politica, alla scienza, alla sociologia e alla storia”.

Una caratteristica che si poté riscontrare non solo nella prima pubblicazione, ma anche in tutte le restanti, era, infatti, la compresenza, all’interno della stessa pagina, di articoli di economia, di letteratura, di arte, di politica o di qualsiasi altra disciplina del sapere.

Ciò rimarcava l’idea di Vittorini secondo cui la cultura fosse soltanto una e, quindi, il lettore, sfogliando il quotidiano, doveva necessariamente rendersi conto di vivere all’interno di un sistema culturale complesso, unico, indivisibile e accessibile a tutti (non di certo settorializzato o riservato agli specialisti). Una volta lette le quattro pagine del giornale, dunque, si possedeva una ben più profonda conoscenza della cultura attorno a sé, analizzata sotto ogni punto di vista possibile. Il titolo per intero del quotidiano di Vittorini era, perciò, quello di “Il Politecnico – Settimanale di cultura contemporanea”.

“Napoli, città industriosa”

“Napoli, città industriosa” è il titolo che Tommaso Giglio, giornalista e letterato del ‘900, diede all’articolo nel quale cercò di rendere giustizia al popolo napoletano. Infatti, la città partenopea era, al tempo come oggi, ingiustamente considerata come “oziosa” e “torpida” agli occhi degli italiani. Secondo Giglio, invece, Napoli presentava una “smisurata possibilità di sviluppo e progresso”. La città doveva acquisire fiducia in se stessa e ciò la avrebbe portata, un giorno, a imparare a conoscersi e ad esprimersi.

Tommaso Giglio notò, inoltre, che solo poco tempo prima, quando il Nord era occupato dai nazifascisti e gli alleati non superavano la linea di Cassino, Napoli era divenuta la capitale economica e industriale del Mezzogiorno. Infatti, erano sorte fabbriche di vernici, di scarpe, industrie di farmaci, di cosmetici, di automobili e stabilimenti per la produzione di alcolici. Napoli si era trasformata, perciò, da città artigianale a città industriale e industriosa, avviando un processo di sviluppo economico che avrebbe interessato l’Italia intera.

“Viaggio in Italia” di Goethe

Accanto all’articolo di Giglio, “Il Politecnico” propose quello su Goethe, letterato tedesco del secondo ‘700. Questi raccontò, nella raccolta “Viaggio in Italia”, l’esperienza del suo viaggio a Napoli, compiuto tra il settembre 1786 e l’aprile 1788. Lui osservò attentamente e da vicino il popolo napoletano e modificò il suo pregiudizio secondo cui la gente di Napoli fosse tutta inoperosa. Si rese conto, infatti, del contrario: tutti lì si muovevano e facevano qualcosa, nessuno stava mai fermo, nemmeno i più miserabili.

Goethe fu a contatto stretto con gli strati più umili del tessuto sociale urbano napoletano, girovagando nei quartieri più malfamati. Nessuno stava mai in ozio: chi sembrava star fermo, era un facchino aspettando che qualcuno si servisse di lui, oppure un pescatore fermo a terra a causa del vento contrario alla pesca.

Tutto il resto della popolazione venne descritta da Goethe per il suo stare in continuo movimento. In particolare, la sua attenzione fu attratta dalle persone che portavano via la spazzatura caricandola su asini.

Insomma, a conclusione della sua esperienza a Napoli, Goethe poté affermare certamente che nella città non vi fossero fannulloni, vagabondi o rubatempo, anzi, proprio fra la gente meno abbiente regnava l’industriosità.

Da “Napoli, città industriosa” a “Alla mia terra”

Una terza immagine di Napoli, successiva a quella offerta da Giglio e da Goethe e riportata sul secondo numero de “Il Politecnico”, fu quella del poeta Alfonso Gatto. Il componimento del 1943, “Alla mia terra”, racconta della Napoli degli anni della guerra, straziata dai bombardamenti e dalla miseria. In 22 versi, Gatto esprimeva il dolore di una città che contava sempre nuove morti (specialmente nel periodo del novembre 1942 e dicembre 1943).

Dalla Napoli settecentesca priva di vagabondi descritta da Goethe, divenuta poi città industriosa nel periodo della Seconda Guerra Mondiale come raccontava Giglio, fino alla Napoli massacrata dai bombardamenti nella poesia di gatto, <<Il Politecnico>> offriva una visione a tutto tondo della realtà partenopea, capace di cadere e di rialzarsi contando soltanto sulle proprie forze.

L’invito generale de “Il Politecnico”, attraverso le tre immagini sopra descritte, era quello di avere fiducia in Napoli. In realtà, dato che Napoli rappresentava un esempio sull’intero territorio della penisola, il giornale voleva trasmettere il messaggio di avere fiducia in tutte le città d’Italia.

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