Nel 1992, mentre l’Italia viveva l’anno più drammatico della sua storia repubblicana tra stragi di mafia e inchieste di Mani Pulite, a Napoli si consumava un esperimento politico tanto coraggioso quanto controverso. Rino Formica, ministro delle Finanze socialista, decise di fare una proposta che lasciò tutti a bocca aperta: trasformare i contrabbandieri di sigarette in dipendenti dello Stato. Un’idea folle? Forse. Ma in quel “ristorante partenopeo La Bersagliera”, dove il giornalista Lino Jannuzzi raccolse le donne contrabbandiere dei vicoli di Napoli, si stava scrivendo una pagina inedita della storia italiana.

Era il tentativo disperato di spezzare un circolo vizioso che costava vite umane e miliardi allo Stato. Un patto tra stato ed anti-stato alla luce del sole, annunciato sulla Tivù di stato: l’idea di Formica era tanto semplice quanto rivoluzionaria. Se non puoi sconfiggere il nemico, assumilo.

L’Italia del 1992: quando tutto sembrava possibile

Quell’anno infernale aveva già visto cadere certezze che sembravano eterne. Se potevano finire in manette politici intoccabili come Bettino Craxi, se la mafia poteva far saltare in aria i giudici Falcone e Borsellino, perché non provare anche a trasformare i contrabbandieri in onesti lavoratori?

Per realizzare questo progetto, che di fatto avrebbe tagliato le gambe a camorra e sacra-corona, Rino Formica tentò un faccia a faccia televisivo con i contrabbandieri. Non era una boutade mediatica, ma una strategia precisa: davvero un coraggioso contatto tra stato ed organizzazione criminale, e per dire basta alle uccisioni di uomini della Guardia di Finanza che quotidianamente si consumavano in Puglia e, in percentuale minore, in Campania.

L’occasione fu una puntata dell’Istruttoria di Giuliano Ferrara dedicata interamente al fumo e al contrabbando di sigarette. Formica accettò di dialogare con i contrabbandieri, garantendo loro che non avrebbero avuto nulla a temere se si fossero rivelati in televisione. Era un gesto senza precedenti: un ministro della Repubblica che si sedeva virtualmente al tavolo con chi violava le leggi dello Stato.

L’incontro alla “Bersagliera”: quando la politica incontrò la strada

La scena aveva qualcosa di surreale: in quel rovente 1992, Rino Formica e il neodirettore generale del ministero delle Finanze Giorgio Benvenuto dialogarono a lungo con un gruppo di contrabbandieri ed ex contrabbandieri. Non erano i boss delle organizzazioni criminali, ma la manovalanza: pescatori costretti dalla necessità, donne dei vicoli che vedevano nel contrabbando l’unica forma di sostentamento per le loro famiglie.

La prospettiva di poter lavorare per lo Stato non veniva del tutto scartata dai malviventi, che comunque chiedevano una specie di sanatoria per tutte le loro pendenze. Era il nodo cruciale: come si fa a trasformare in dipendenti pubblici persone che hanno violato la legge per anni? L’amnistia era inevitabile, ma proprio questo aspetto scatenò le critiche più feroci.

Il momento più emozionale della trasmissione televisiva arrivò quando l’armatore di una flotta contrabbandiera si mise in contatto telefonico con Formica. «Lei è il criminale – esclamò Formica – con lei non parlo»: il ministro voleva che quell’occasione di lavoro onesto potesse assaporarla i tanti costretti a fare i contrabbandieri per mero bisogno, non i veri boss dell’organizzazione.

Le resistenze politiche: quando l’Italia si divide su tutto

Ma questo accordo, che sapeva tanto d’amnistia, non piaceva al Msi ed a parte della DC, e poi il PCI non era granché convinto. Era l’Italia dell’epoca: anche di fronte a una proposta innovativa per risolvere un problema grave, i partiti si dividevano seguendo logiche di schieramento più che di merito.

I legulei che sempre hanno appestato le Camere ricordarono al ministro delle Finanze la lunga serie di amnistie precedenti: dal decreto del 1981 a quello del 1990, sembrava che l’Italia non sapesse fare altro che perdonare i reati invece di prevenirli. I missini sbraitavano: «ogni anno c’è un’amnistia, vogliamo carcere duro per i contrabbandieri».

Ma Formica aveva fatto i conti: su alcuni contrabbandieri gravano multe anche di 13 miliardi di lire. Era evidente che nessun malvivente avrebbe mai pagato simili multe, anche perché i loro beni venivano regolarmente intestati ad altri soggetti. Il ministro dimostrava al paese tutto che la lotta era impari, che per vincerla necessitava ripartire da zero, da un accordo.

I numeri di un’economia parallela

Le cifre del fenomeno erano impressionanti. Un contrabbandiere, dall’altra parte della barricata, in un mese mette insieme uno stipendio da venti milioni di lire, mentre tutti i mesi allo scoccare del 27, un milione e ottocentomila lire in busta paga era l’onesto stipendio di un finanziere. La sproporzione era enorme: i corrieri del contrabbando, nel 1992, riuscivano con dieci viaggi mensili a mettere insieme venti milioni, per una forbice tra i 120 e i 250 milioni annui.

«I contrabbandieri consegnino i mezzi e noi li acquisteremo, provvedendo contemporaneamente al loro assorbimento nel mondo del lavoro», ripeteva il ministro: un messaggio indirizzato a pescatori e povera gente costretta per bisogno a fungere da manovalanza di camorra e sacra corona.

Ma le mafie non volevano perdere questa fetta di guadagni. Non dimentichiamo che i boss del contrabbando erano riusciti a far eleggere dei sindaci sia in Puglia che in Campania. Il controllo del territorio passava anche attraverso questi voti comprati con il lavoro illegale.

Il fallimento di un’idea coraggiosa

Il 3 marzo 1992, la giornalista Patrizia Capua raccoglieva per Repubblica la risposta di alcuni contrabbandieri: «Grazie ministro Formica, ma resto contrabbandiere». La proposta Formica incontra il favore di uno scarso 10% di contrabbandieri, soprattutto dei corrieri che per pochi soldi rischiano la vita per fare ricchi i boss.

Angelo Montagna, 28 anni, disoccupato con tre figli a carico, risultò il primo nella lista dei contrabbandieri napoletani disposti a dismettere l’attività illegale. Ma rimasero in pochi a seguire il suo esempio. Il progetto si bloccò, osteggiato dalla stessa politica che pure aveva il dovere di trovare soluzioni innovative a problemi complessi.

Un’eredità che attraversa i decenni

Otto anni dopo, a marzo del 2000, l’allora sindaco di Brindisi Giovanni Antonino rispolverava l’idea di Rino Formica con una proposta diversa: «Vietare la vendita nelle tabaccherie delle marche di sigarette che vengono introdotte clandestinamente dai contrabbandieri». Era un approccio più pragmatico: colpire il doppio canale, quello legale e quello illegale.

«Si sequestra un certo quantitativo di una determinata marca? Viene vietata per un certo periodo la vendita della stessa marca nelle tabaccherie legali», spiegava Antonino. Una misura già prevista in un decreto del 1991 dell’allora ministro Formica, ma mai applicata con continuità.

Il problema, come ricordava Antonino, non era solo locale: il contrabbando non era e non è un problema di Puglia e Campania, è un affare internazionale. Il 20% delle sigarette che transitano clandestinamente nello Stivale finiscono in altri Paesi UE. Il volano del contrabbando aiuta le multinazionali che contano su intermediari tra stato e mala del contrabbando.

La lezione mancata

Oggi, più di trent’anni dopo quell’esperimento televisivo, la proposta di Formica appare ancora più coraggiosa e visionaria. In un’epoca in cui si parla di legalizzazione di droghe leggere, di reddito di cittadinanza, di reinserimento sociale, l’idea di trasformare i contrabbandieri in dipendenti pubblici non sembra più così folle.

Formica aveva capito una cosa che la politica italiana fa fatica ad accettare: a volte, per risolvere i problemi, bisogna essere disposti a sporcarsi le mani, a sedersi al tavolo anche con chi ha sbagliato, a cercare soluzioni creative invece di limitarsi alla repressione.

Quel ristorante “La Bersagliera” di Napoli, dove Lino Jannuzzi raccolse le donne contrabbandiere, è forse scomparso. Ma l’idea che lì prese forma – che lo Stato possa vincere il crimine non solo punendolo ma anche offrendogli un’alternativa – resta una delle più innovative mai pensate nella storia della Repubblica italiana. Un’idea che forse, in tempi meno ideologizzati, avrebbe meritato di essere provata davvero.


Bibliografia e fonti

  • “Il patto tra stato e contrabbando”, Opinione.it, 23 novembre 2012.
  • Archivi RAI, trasmissioni “L’Istruttoria” di Giuliano Ferrara, 1992.
  • Patrizia Capua, “Grazie ministro Formica ma resto contrabbandiere”, La Repubblica, 3 marzo 1992.
  • Documentazione del Ministero delle Finanze sui decreti anti-contrabbando, 1991-1992.

Link di approfondimento

Diventa un sostenitore!

Storie di Napoli è il più grande ed autorevole sito web di promozione della regione Campania. È gestito in totale autonomia da giovani professionisti del territorio: contribuisci anche tu alla crescita del progetto. Per te, con un piccolo contributo, ci saranno numerosissimi vantaggi: tessera di Storie Campane, libri e magazine gratis e inviti ad eventi esclusivi!