Nel cuore della Campania, tra Napoli, Casoria e Maddaloni, si consumò una delle pagine più controverse dell’Unità d’Italia. Protagonista ne fu Francesco Proto, duca di Maddaloni, un aristocratico napoletano che passò dalla speranza risorgimentale alla più feroce opposizione al nuovo Regno, diventando uno dei primi critici dell’unificazione. La sua storia è un viaggio attraverso un territorio che, nel 1861, si trovò improvvisamente catapultato in una nuova nazione, pagandone un prezzo altissimo.

Un aristocratico illuminato nell’era dei cambiamenti

Francesco Marzio Proto Carafa Pallavicino nacque a Napoli il 28 marzo 1821 in una delle famiglie più illustri del regno. Ereditò dalla madre Clorinda Carafa il titolo di duca di Maddaloni, antico feudo casertano ai piedi dei monti Tifatini, dove il palazzo della famiglia Carafa dominava ancora il borgo medievale. Ma Proto non era un nobile qualunque: aveva studiato con Basilio Puoti, maestro della cultura napoletana ottocentesca, e fin da giovane si era appassionato alla storia e alla letteratura.

Nel 1845 sposò una nobile inglese, Harriett Vanneck, scelta che testimoniava l’apertura europea della sua famiglia. Un anno dopo partecipò a Napoli alla settima adunanza degli scienziati italiani, evento che accese negli intellettuali meridionali la speranza di una modernizzazione del regno borbonico. Quando queste aspettative furono deluse, Proto scese in piazza: alla fine del 1847 partecipò alle manifestazioni che chiedevano una costituzione, sull’esempio di Pio IX. Fu arrestato insieme ad altri giovani aristocratici, ma l’episodio fece così tanto rumore che tutti furono rapidamente rilasciati.

Il 1848: tra ideali federalisti e delusioni politiche

L’anno 1848 fu cruciale. Quando Ferdinando II concesse la costituzione, Proto entrò nella guardia nazionale come maggiore e aderì al comitato per la “crociata italiana”, che sognava una federazione di stati costituzionali. Viaggiò fino a Roma per promuovere il progetto, ma il ritiro di Pio IX dal conflitto contro l’Austria fece crollare tutto. Tornato a Napoli deluso, fu eletto deputato di Casoria, piccolo comune a pochi chilometri a nordest della capitale.

Casoria, oggi inglobata nell’area metropolitana napoletana, era allora un borgo agricolo dove convivevano antiche masserie e piccole manifatture. Il nome stesso del paese, attestato per la prima volta in documenti del X secolo, derivava probabilmente dalla “Casa Aurea Raviosa”, una dimora nobiliare scomparsa. In questo territorio, Proto aveva le sue radici elettorali, tra contadini e piccoli proprietari che lo eleggevano per il suo prestigio nobiliare ma anche per le sue idee liberali.

L’avventura costituzionale napoletana durò poco. Dopo i tumulti del 15 maggio 1848, Proto fu coinvolto nei processi contro la setta dell’Unità italiana. Fuggì all’estero, venne condannato all’esilio e poté tornare a Napoli solo nel 1853, graziato dal re. Furono anni di amarezza, durante i quali si dedicò alla scrittura, pubblicando romanzi storici e drammi teatrali che la censura borbonica tormentava regolarmente.

Il 1861: dalla speranza alla denuncia

Quando nel 1860 Garibaldi entrò a Napoli e il regno dei Borbone crollò, Proto vide inizialmente con favore il cambiamento. Giuseppe Garibaldi gli offrì persino un incarico amministrativo a Nola, che lui rifiutò. All’inizio del 1861, alle prime elezioni del nuovo Regno d’Italia, Proto fu eletto deputato, ancora una volta nel collegio di Casoria. Su 871 aventi diritto, votarono 434 elettori: una lotta elettorale quasi simbolica, in cui Proto prevalse grazie al suo prestigio.

Arrivato a Torino, nella nuova capitale, Proto si scagliò contro la propaganda protestante e la soppressione degli ordini religiosi. Nel discorso “Delle cose di Napoli”, propose addirittura al conte Cavour di spostare la capitale a Napoli, anche temporaneamente, per riformare un’amministrazione che considerava corrotta fin dai tempi borbonici. Ma la morte improvvisa di Cavour, nel giugno 1861, troncò ogni dialogo.

La mozione che fece scandalo

Quello che accadde il 20 novembre 1861 segnò la rottura definitiva. Il deputato di Casoria presentò alla Camera una mozione d’inchiesta che era un atto d’accusa violento contro il governo. Proto denunciava con dovizia di particolari il modo in cui le province napoletane venivano trattate: fucilazioni sommarie, saccheggi, terrorismo militare. Le sue parole erano taglienti come lame: “Gli uomini di Stato del Piemonte hanno corrotto nel Regno di Napoli quanto vi rimaneva di morale. Hanno spogliato il popolo delle sue leggi, del suo pane, del suo onore”. Accusava direttamente i generali Pinelli e Cialdini di essere peggiori dei briganti che dicevano di combattere.

Nel territorio tra Casoria e Maddaloni, la situazione era effettivamente esplosiva. A Maddaloni stessa, a gennaio del 1861, gli operai delle ferrovie erano entrati in agitazione. Le campagne circostanti erano teatro di continue guerriglie tra bande di “briganti” – che spesso erano ex soldati borbonici, contadini disperati o semplici fuorilegge – e l’esercito piemontese. Il nuovo stato aveva promesso perdono a chi si arrendeva, ma molti di coloro che si presentarono furono fucilati senza processo, proprio come denunciava Proto.

Il governo reagì con durezza. Invitarono il duca a ritirare la mozione e, al suo rifiuto, la Presidenza della Camera non solo ne vietò la discussione in aula, ma addirittura la pubblicazione negli Atti parlamentari. Era un episodio di censura parlamentare senza precedenti. Proto, disgustato, si dimise dopo una settimana di pressioni politiche e giornalistiche. Ma la sua mozione venne pubblicata clandestinamente a Nizza nel 1862 dalla tipografia Gilletta, e poi ristampata a Napoli, Firenze, Roma. Fu tradotta in francese, inglese, tedesco. Divenne un caso internazionale.

Dopo la politica: l’ultimo dei napoletani

Terminata la breve parentesi parlamentare, Proto tentò di riavvicinarsi a Francesco II in esilio a Roma, ma poi tornò definitivamente a Napoli. Nel 1864 pubblicò sotto pseudonimo “Il conte Durante”, una satira pungente in cui immaginava Dante Alighieri redivivo che viaggiava nell’Italia unita, constatandone tutte le contraddizioni. Era il suo modo di continuare la battaglia politica con le armi della letteratura.

Negli anni Settanta si dedicò al teatro, ottenendo successi alterni. Un lutto terribile lo colpì nel 1875: perse il figlio Carlo Alberto, di soli 29 anni, e l’anno seguente morì anche la moglie Harriett. Rimasto solo con la sorella Anna, si avvicinò a padre Ludovico da Casoria, il frate francescano che aveva fondato l’Ospizio Marino di Posillipo per accogliere i marinai bisognosi. Proto finanziò con i proventi delle sue opere il monumento a san Francesco che ancora oggi si erge a Posillipo.

Nel 1883 fu eletto nel Consiglio comunale di Napoli nella lista cattolica, ma partecipò svogliatamente alla vita amministrativa. Preferiva frequentare i salotti letterari, dove era ricercatissimo per i suoi epigrammi mordaci. Nel suo palazzo Cellamare, da un incontro tra Benedetto Croce e Salvatore Di Giacomo nacque la rivista “Napoli nobilissima”, che avrebbe segnato la cultura napoletana del Novecento.

Quando morì, il 25 aprile 1892, ai suoi funerali il drammaturgo Achille Torelli disse che era stato “davvero l’ultimo dei napoletani”. Un’espressione che racchiudeva un mondo: quello di un’aristocrazia illuminata che aveva creduto nell’Italia unita, per poi scontrarsi con una realtà ben diversa da quella sognata.

Un territorio tra due epoche

La vicenda di Francesco Proto è indissolubilmente legata al territorio campano tra Napoli e Caserta. Casoria, il suo collegio elettorale, era uno snodo cruciale: qui passavano le vie di comunicazione tra Napoli e l’entroterra, qui si incrociavano gli interessi dei contadini, dei piccoli artigiani e della nobiltà terriera. Maddaloni, il feudo da cui prendeva il titolo, era un centro strategico dominato dal palazzo della famiglia Carafa, simbolo di un potere feudale che l’Unità voleva cancellare ma che nei fatti sopravviveva sotto altre forme.

La denuncia di Proto non era solo quella di un nobile nostalgico dei Borbone. Era la voce di un territorio che aveva visto promesse di libertà trasformarsi in repressione militare, che aveva sperimentato il passaggio traumatico da un regno secolare a uno stato centralizzato che ignorava le specificità locali. Le sue parole sulla corruzione, sulle fucilazioni, sui saccheggi trovavano riscontro nella quotidianità di migliaia di persone che vivevano tra Casoria, Maddaloni, Afragola, nell’agro campano dove la guerriglia post-unitaria aveva lasciato cicatrici profonde.

Oggi, passeggiando per questi luoghi, è difficile immaginare quella stagione convulsa. Eppure, la storia di Francesco Proto ci ricorda che l’Unità d’Italia non fu solo l’epopea gloriosa dei Mille, ma anche un processo complicato, contraddittorio, talvolta violento, che nel Mezzogiorno incontrò resistenze e generò sofferenze che avrebbero segnato per decenni il rapporto tra Nord e Sud del Paese.


Riferimenti bibliografici e link

Fonti principali:

Documenti originali:

  • Duca di Maddaloni. La mozione d’inchiesta del duca di Maddaloni. Nizza: Società tipografica, stamperia A. Gilletta, 1862. Disponibile su Internet Archive: https://archive.org/details/bub_gb_r0QmOPHWIrwC
  • Proto, Francesco. Delle cose di Napoli. Torino, 1861.

Approfondimenti sul contesto storico:

Studi successivi:

  • Croce, Benedetto. Gli ultimi borbonici. Napoli, 1926.
  • Di Giacomo, Salvatore. Gli epigrammi del Duca di Maddaloni. Napoli, 1894.

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