Cercare la grazia di Dio attraverso il sesso. Questa era la missione della “setta della carità carnale” di Giulia di Marco, la suora che attraverso il suo corpo “purificava” gli animi e negli amplessi aveva visioni del Signore.

Attenzione, però. Forse era tutto un po’ esagerato.

Ci troviamo però nella cattolicissima Napoli del XVII secolo che, nonostante il fallimento dell’Inquisizione introdotta da Pedro di Toledo un secolo prima, era dominata dalla Chiesa e dalle sue rigidissime regole morali e di vita: gli amici e i nemici dei precetti morali di Roma erano decisi spesso attraverso processi truccati, testimonianze false e fiumi di calunnie e fantasie eretiche attribuite ai nemici di questo o quell’ordine religioso.

La storia di Suor Giulia era tutt’altro che una semplice e isolata storia di scandali sessuali.

Si inserì in un movimento popolare stranissimo: quello delle “sante vive”, donne che erano venerate dal popolo che credeva fossero portatrici di poteri magici o di soluzioni per la beatitudine. Un fenomeno che durò fino alla fine del ‘700, come ci racconta anche la storia della Setta dei Sabelli, con la povera Isabella Mellone.

Suor Giulia Di Marco
Suor Giulia Di Marco vista dalla nostra Claudia Cerulo

Dal Molise alla santità

Di Giulia di Marco non sappiamo quasi nulla. C’è solo un libro che parla di lei, “Istoria di suor G.d.M.“, per giunta stranamente senza alcuna firma: si sa solo che fu compilato da un padre teatino, che ha realizzato un racconto di parte e volutamente esagerato, proprio con l’intenzione di farlo riprendere da fonti future come esempio massimo di orrore eretico.

Conosciamo la sua origine: Sepino, in Molise, e i suoi genitori, che erano un bracciante molisano e una schiava di origini saracene. La piccola Giulia passò prima per Campobasso e poi giunse a Napoli per farsi ospitare dalla sorella. Proprio qui, sul finire dell’adolescenza, ci fu il suo primo amore: ebbe un figlio, ma fu costretta ad abbandonarlo alla ruota degli Esposti, dopo essere stata lasciata dall’uomo con cui ebbe il primo rapporto. Fu in quel momento che, spinta dal dolore dell’abbandono di un figlio o dalla fuga da una vita in miseria, decise di diventare terziaria francescana.

Sant'Antonio Abate Giulia di Marco
Suor Giulia di Marco fu rinchiusa a Sant’Antonio Abate

La setta della carità carnale

Suor Giulia si dice fosse una donna bellissima, un po’ come la monaca di Monza di manzoniana memoria. Conobbe nel 1605 un tale padre Aniello Arciero, con il quale ebbe un rapporto di amicizia davvero molto intima che diventò anche a sfondo erotico. Non deve meravigliarci: era un fenomeno molto frequente, spesso fra uomini e donne costrette a voti di castità per volontà della famiglia o per non finire nel mare di disperati della plebe napoletana.

Fu poi un caso l’incontro con il terzo fondatore della setta: era Giuseppe De Vicariis, un uomo di mezza età dai modi galanti e raffinati, un tempo avvocato di successo nel foro di Castel Capuano, abbattuto dalle delusioni della vita e dalla routine monotona del tribunale. Pur non essendo più un leone come quand’aveva trent’anni, era dotato di un grandissimo fascino e di ampia cultura. E questo bastò per completare il trio sacrilego.

Attorno alle divine forme di Giulia Di Marco, nacque così la “Setta della Carità Carnale“. Lo scopo? Raggiungere le visioni di Dio attraverso il sesso.

Giulia Di Marco diceva di ispirarsi a Suor Orsola Benincasa, la mistica teatina considerata anche lei “santa viva” che diventò famosa per le sue visioni di Dio e per il suo ordine monastico dalle regole severissime. I metodi di Suor Giulia, però, erano una libera interpretazione dello stile di vita della cattolicissima Orsola (che, in passato, aveva anche lei avuto diversi problemi: nel 1584 fu inquisita per stregoneria, poi assolta: era una “prassi” che capitava a tutte le donne che avevano estasi mistiche. Da quel momento fu citata come un esempio virtuoso per l’ordine teatino, che la sponsorizzava come ideale di donna sottomessa a Dio).

La setta della Carità Carnale cominciò fra tre adepti, poi il culto fu esteso prima ad amici stretti e, una volta conosciuti i benefici, al ceto medio e al popolo. E infine anche i nobili, incuriositi dal clamore di Suor Giulia Di Marco, cominciarono a chiamarla nelle proprie case.

Le informazioni che abbiamo, derivanti dai registri dell’inquisizione, raccontano rituali grotteschi: come in un rito dionisiaco gli adepti si stendevano sul corpo nudo di Suor Giulia e veneravano i suoi genitali, spesso dopo essersi ubriacati e dopo aver fatto una serie di atti sessuali a metà tra il fetish e la perversione. Non sappiamo in alcun modo se queste cose siano realmente accadute o se fu una fantasia della fonte.

Pedro Fernandez de Castro viceré
Pedro Fernandez De Castro, VII conte di Lemos, viceré di Napoli ai tempi di Suor Giulia di Marco

Mandatela il più lontano possibile!

Scandalo, orrore, sacrilegio, bestemmia! Più cresceva la fama di Santa Giulia, più le accuse della Chiesa napoletana si scagliavano come pietre sull’eretica.

E più la lapidavano con accuse, più la donna dal corpo divino diventava famosa presso il pubblico: era conosciuta ovunque per le sue visioni mistiche e a Napoli non si parlava d’altro.

Allora la Chiesa cominciò ad agire: la prima testa a cadere fu quella di padre Aniello: fu chiamato a Roma presso il Santo Offizio per giustificare la sua condotta illecita ma, anziché essere punito, fu rinchiuso nel convento della Maddalena con il divieto di tornare a Napoli.

Era praticamente una carcerazione senza sentenza. Il silenzio, infatti, scongiurava il rischio di creare ulteriore clamore attorno al fatto.

Suor Giulia Di Marco fu mandata prima a nel monastero di Sant’Antonio da Padova, poi confessata numerose volte. Sempre stando alle notizie dell’Inquisizione, pare che riuscì a convincere anche i suoi confessori che era sinceramente legata a Dio attraverso l’estasi sessuale. Inaccettabile: fu buttata a Cerreto Sannita, con la speranza di vederla appassire fra le lontane colline del Sannio.

Non fu così: grazie ad una raccomandazione procurata dall’avvocato De Vicariis, che tornò a ruggire nelle sedi del potere con la stessa grinta di quand’era giovane, Giulia Di Marco tornò in città e fu accolta da un corteo in festa, si dice che intorno al 1610 si muovesse in carrozza ed era diventata addirittura amica della moglie del viceré, Pedro Fernandez de Castro, che fra le altre cose fu anche il promotore della costruzione dell’Università di Napoli nel palazzo che oggi ospita il MANN.

Quella di Giulia, anche se ottenuta non per vie lecite, era la vittoria dello spirito di ribellione sulla repressione durissima della Chiesa dei tempi della Controriforma. Uno smacco inaccettabile per i Teatini, che masticarono amaro assieme alla loro sponsor, Sant’Orsola Benincasa.

Era giunto il tempo di chiudere la partita con le cattive maniere.

Suor Orsola Benincasa
Suor Orsola Benincasa

Sant’Orsola contro Santa Giulia

Un po’ come nei film in cui il peggior nemico diventa proprio la persona ammirata dal protagonista, anche nel caso di Giulia Di Marco avvenne un fatto molto simile. La cronaca della sua storia menziona infatti un incontro con Sant’Orsola Benincasa, la sua “ispiratrice” da giovane diventata poi la più feroce accusatrice della Setta della Carità Carnale.

Suor Orsola voleva far sparire Suor Giulia per due ragioni: in primis vedeva in lei una minaccia alla sua posizione di “santa viva”, che era particolarmente pubblicizzata dai teatini. In secondo luogo la donna, fedele alle rigidissime regole dell’ordine femminile da lei fondato, considerava l’avversaria una donna dai costumi atroci.

Nonostante l’ampia attività di marketing portata avanti dall’ordine fondato da San Gaetano, infatti, il popolo era chiaramente innamorato e sostenitore di Suor Giulia, che frequentava con le sue estasi mistiche sia i popolani che i nobili. Fra le due nessuno avrebbe avuto dubbi su chi scegliere come esempio di santità.

In quell’incontro fra le due sante si scontrarono lo spirito di ribellione con lo spirito di rigore, l’antica tenaglia delle regole morali della Chiesa con la voglia di libertà.

Lo scontro degenerò in un braccio di ferro fra lo Stato e la Chiesa, con i Teatini che, furiosi, cercavano di sguinzagliare ogni sorta di potere ecclesiastico per perseguire e intimorire i seguaci e gli amici di Suor Giulia e lo Stato che, invece, chiudeva più di un occhio sui fatti.

Il Viceré minacciò addirittura di espellere i Teatini da Napoli quando fu imprigionato il suddito Giuseppe De Vicariis a Roma, condannato dal Tribunale dell’Inquisizione. I tribunali religiosi napoletani, infatti, erano segretamente a favore dell’innocenza Suor Giulia: anche fra gli ordini religiosi c’erano infatti molti attriti di potere e per i Gesuiti era l’occasione ottima per sabotare i Teatini.

Insomma, una semplice storia di sesso “peccaminoso” diventò l’occasione per imbastire un intricatissimo thriller politico fra Roma e Napoli.

Prigioni Castel Sant'Angelo
Le prigioni di Castel Sant’Angelo: un posto terribile e angusto

La vendetta dei Teatini e le testimonianze dubbie

La tenaglia d’odio partita da Roma si stava però stringendo sempre di più attorno a Giulia Di Marco. Calunnie, arresti, interrogatori, testimoni falsi e “convinti” con metodi inquisitori spuntavano come funghi e il carico criminale attribuito alla “setta della carità carnale” cominciò ad assumere dimensioni colossali e grottesche. Insomma, ci fu per quest’occasione l’equivalente della Psicopolizia di cui parlava George Orwell in 1984.

C’erano testimonianze di preti che, nell’atto del coito, avevano urlato “Gesù mio, gesù mio!”, dimostrando di aver avuto davvero visioni del Messia. Il prete Arciero, il primo ad aver beneficiato dei rituali, fu chiamato a dimostrare che non provava alcun desiderio sessuale nei suoi confronti e, quando fu costretto ad abiurare, dovette toccare il corpo nudo della donna e commettere una serie di molestie sessuali su di lei, cercando di dimostrare agli attenti ufficiali del tribunale ecclesiastico chenon provava più alcun diletto carnale“.

Il cerchio stava chiudendosi sempre di più attorno alla povera Suor Giulia che, come prevedibile, era rimasta abbandonata da tutti: la nobiltà e i suoi difensori più appassionati, ritenuti coinvolti negli atti sessuali, avevano resistito stoicamente per quasi 15 anni alle accuse dei Teatini ma, di fronte al potere devastante dell’Inquisizione, si poteva fare ben poco. E allora tutti ben pensarono di salvarsi la pelle, abiurando oppure addirittura aggiungendosi al sempre più vasto e corposo numero di accusatori che denunciava le nefandezze di Giulia Di Marco.

Poi, con una soluzione all’italiana, l’intero baraccone di accusati, testimoni e partecipanti alle orge sparì nel nulla, anche per non creare un caso diplomatico fra la corona di Spagna e Roma, essendo coinvolti nel processo anche gli uomini della corte del Viceré.
Padre Aniello Arciero abiurò e passò tutta la vita in un monastero a Roma. Rimasero l’avvocato e Giulia Di Marco che, con il peso del mondo addosso, finirono i loro giorni senza luce nelle prigioni di Castel Sant’Angelo.

-Federico Quagliuolo

Riferimenti:
Fabio Romano, La carità carnale. Cronaca dell’eresia di suor Giulia di Marco inquisita nella Napoli del Seicento, Edizioni Intra Moenia, Napoli, 2016
Treccani

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