Chi l’ha detto che Napoli è una città senza fiumi? I tre fiumi di Napoli, soffocati da due millenni di edilizia, in realtà facevano acqua letteralmente da tutte le parti. Nel senso buono, si intende.
Gli antichi corsi d’acqua di Napoli sono testimoniati quasi tutti nella toponomastica cittadina: quando ci troviamo davanti ai vari “cavone, cupa e arena”, infatti, possiamo essere quasi certi di trovarci davanti a un ex corso d’acqua.
Eppure, anche le strade più insospettabili ci raccontano la presenza di fiumi e torrenti che circondavano l’intera città di Napoli e la rendevano una vera fortezza inespugnabile: la città era infatti protetta dall’acqua e da mura altissime fino all’altezza dell’attuale Via Foria. E non dimentichiamo anche il Lago di Agnano, che aveva proporzioni immense e una fama pessima.
Il fiume di Via Chiaia
Per non spoilerare direttamente la storia del fiume più famoso e misterioso di Napoli, il Sebeto, cominciamo dai tempi più antichi che la nostra Storia ricordi: la fondazione di Partenope, la prima città greca nata sul territorio.
I primi coloni, presumibilmente cumani, scelsero un punto tipicamente greco per fondare la città: uno sperone sul mare oggi noto come Monte Echia o Pizzofalcone.
Notiamo questa filosofia in tutte le città greche della Campania: Pozzuoli, Cuma, Sorrento, Agropoli sono tutti insediamenti nati su colline a picco sul mare. Non fa differenza Partenope (e tantomeno Neapolis, nata sul Colle Monterone).
Secondo le fonti più antiche, l’antica Partenope\Palepoli era “circondata da tre acque”. Se i due lati sono evidentemente quelli del mare, l’acqua assente è quella di Via Chiaia, che ha proprio la forma di un alveo che, per ragioni a noi sconosciute, si è prosciugato in tempi antichissimi.
L’acqua delle mummarelle
A pochissimi metri dall’antico fiume di Via Chiaia c’è un’altra falda acquifera sotterranea diventata famosissima per l’acqua minerale che produceva, dal sapore unico e speciale. I napoletani più anziani ne ricordano ancora il sentore intenso e acidulo e raccontano che veniva conservata con un metodo millenario: nelle anfore, chiamate in gergo “le mummarelle”.
Ci si riforniva tramite una serie di pozzi e fontane, oggi tutti murati o abbattuti: dopo l’epidemia di colera del 1973, infatti, si prese la durissima decisione di chiudere qualsiasi corso d’acqua locale per paura di contaminazioni. Quest’acqua è per giunta riemersa nel 2021, in occasione degli scavi per il Molo Beverello. E già il nome è tutto un programma: nel medioevo la zona si chiamava “bibirellum“, proprio per indicare la grande quantità di acqua.
Il fiume Bellaria
È malconcio, ma è l’unico fra i fiumi di Napoli ancora esistenti in superficie. Scorre in gran parte sotto i Colli Aminei ed è stato trasformato in una fogna nella quale sono stati riversati per decenni gli scarichi abusivi di alcuni condomini di Via Nicolardi. Costeggia il Vallone di San Rocco, uno dei più grandi parchi urbani d’Italia, e arriva fino a Miano. Poi torna sotto terra. Della sua storia si sa pochissimo, se non per il nome che necessita di poche spiegazioni: l’intera Zona Ospedaliera era considerata infatti letteralmente un medicinale e l’aria di Napoli era consigliata dai medici come cura.
Questo corso d’acqua ha origine sulla collina dei Camaldoli e diventa, a valle, un affluente del Sebeto.
Il fiume Sebeto
Benedetto Croce diceva che si tratta di un fiume ricco di Storia e povero d’acqua. In realtà un tempo non era così. Il Sebeto era un corso d’acqua abbastanza tranquillo che lambiva la zona est di Napoli. Nel punto accanto all’attuale Rione Luzzatti, il fiume ristagnava fino a creare un’enorme palude bonificata solamente nel ‘900. Finiva nel mare placidamente all’altezza del Ponte della Maddalena, che oggi si distingue per la forma gobba, di certo non per la presenza d’acqua.
Oggi non esiste più traccia del fiume sul suolo cittadino napoletano: per metà è stato tombato sotto Corso Novara, all’altezza del Ponte di Casanova (nome non casuale. A guardarlo oggi, non ha più la forma di un ponte!), per altra metà è finito sotto il Centro Direzionale, che si regge in piedi grazie all’enorme lavoro di pompe idrovore nel sottosuolo. Si può invece vedere un rigagnolo d’acqua nella provincia, dalle parti di Volla.
Il fiume Rubeolo
Del Rubeolo ci sono diverse tracce in tutta la zona est di Napoli, arrivando fino al Corso Umberto. Proprio in zona San Marcellino, alle spalle della Fontana della Spinacorona, c’è infatti una targa che indica l’antica presenza di un corso d’acqua sotterraneo: “Acqua del Rubeolo detta della Bolla”. Si riferisce ad un corso d’acqua che, secondo Giovanni Antonio Summonte, cominciava dalle parti di Somma Vesuviana e, all’altezza di Casalnuovo, si allacciava ad altri corsi d’acqua fino a diventare affluente del Sebeto.
Il fiume di Via Foria
Della presenza di questo corso d’acqua abbiamo notizia fino al XV secolo e ci sono accenni da parte di Carlo Celano. Ancora oggi possiamo però notare alcuni dettagli che ci fanno capire la presenza dell’acqua. C’è infatti una strada che apparentemente ha un nome senza alcun senso: Via Pontenuovo. Si trova sommersa dai palazzi e lontana almeno un chilometro da qualsiasi goccia d’acqua che non venga da un rubinetto.
Questo tracciato ricorda invece il “ponte nuovo”, che fu costruito dagli Aragonesi quando furono ampliate le mura di Napoli. Lungo tutta via Rosaroll notiamo infatti tutte le tracce dell’antica cinta muraria di Napoli di epoca aragonese. Proprio in quel punto fu costruito un ponte per scavalcare il corso d’acqua che lambiva in alto la città. Non se ne fa grande menzione, ma probabilmente sparì nel secolo successivo. Sicuramente era un affluente del Sebeto e si univa al corso principale dalle parti del Ponte di Casanova.
Arene, arenacce, laghi e stagni fra i fiumi di Napoli
Per capire l’origine di buona parte dei corsi d’acqua napoletani, bisogna guardare in alto. La collina dei Camaldoli, infatti, è la principale responsabile di buona parte dei torrenti a Napoli, come ad esempio il Cavone o l’antico Largo delle Pigne, oggi Piazza Cavour, che è ricordata come un grosso stagno fino al XVIII secolo.
Sarebbe affascinante immaginare come potrebbe essere la città oggi se fossero rimasti in superficie tutti i corsi d’acqua antichi: probabilmente avremmo oggi un centro storico separato dal resto della città, come una vera e propria isola.
Ma la mano dell’Uomo è implacabile e, inconsapevole dell’eredità lasciata ai tempi futuri, ha sfigurato per sempre il volto del territorio. La storia, però, ha la memoria di un elefante. Ed è rimasta tutta conservata nei nomi delle strade che oggi, inconsapevolmente, frequentiamo ogni giorno.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Romualdo Marrone, Le strade di Napoli, Newton Compton, 1992
Giovanni Antonio Summonte, Historia della Città e del Regno di Napoli, Antonio Bulifon editore, Napoli, 1671
Gino Doria, Le Strade di Napoli,
Francesco Starace, L’acqua e l’architettura, edizioni del Grifo, Napoli, 2006
Giancarlo Alisio, Napoli e il Risanamento, Edizioni Scientifiche Italiane, 1984
Carlo Celano, Notizie del bello, dell’antico e del curioso della Città di Napoli, Edizione curata da Gianpasquale Greco, Rogiosi Editore, Napoli, 2020
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